Maroni, intransigente con gli studenti, dimentica le sue origini paramilitari

ROMA – Oggi, parole di fuoco al senato pronunciate dal Ministro Maroni che riferisce in merito ai disordini e ai fermi del 14 dicembre 2010. Inizia l’intervento elencando le provincie di provenienza dei manifestanti fermati, quasi a colpevolizzare la regionalità dei partecipanti alla manifestazione.

Poi, sferra un colpo alla magistratura che ha gestito i fermi. “Ieri, l’autorità giudiziaria ha convalidato gli arresti, ma tutta via ha rimesso gli stessi in libertà con limitate e differenziate limitazioni di movimento per sette di loro. È una decisione che rispetto ma non condivido. Questi  violenti fermati, e subito rilasciati, hanno ora la possibilità di reiterare le violenze messe in atto martedì scorso. Sarebbe stato più giusto – suggerisce – mantenere le misure restrittive, almeno  fino alla conclusione dell’iter di approvazione dei provvedimenti legislativi che hanno determinato le violenze di cui essi si sono resi responsabili”. Le dichiarazione del Ministro leghista sono ardue. Sembra accusare la magistratura di superficialità e di faciloneria. Insinua possibili future responsabilità. La prossima settimana si discuterà  definitivamente la riforma per l’istruzione della Gelmini e, nel caso in cui, scoppi qualche disordine, che sia ben chiaro, la magistratura si deve, fin da ora, ritenere responsabile per quei rilasci. Nulla dell’intervento di Maroni lascia pensare che la protesta, che monta da ben due anni, possa far maturare una sana autocritica.

 

Ancora un volta, il Governo si comporta come una locomotiva, in discesa senza freni, che  travolge tutto e tutti. Un Governo cieco e sordo, insensibile alle problematiche della popolazione ma ipersensibile a quelle del suo leader Silvio Berlusconi. La rigidità delle dichiarazioni dimostrata dal Ministro, registra una stonatura. Una grave incongruenza. A ottobre di quest’anno, con un subdolo colpo di spugna, viene eliminato il reato di “costituzione di banda armata di tipo politico” (codice dell’ordinamento militare), cioè quella norma che stabiliva il carcere da uno a dieci anni, per chiunque promuove, costituisce, organizza o dirige associazioni di carattere militare, che perseguono, anche indirettamente fini politici, organizzando per compiere azioni di violenza o minaccia. Così si è consumato il lodo leghista di cui hanno beneficiato componenti della “guardia nazionale padana” tra cui in origine, Bossi, Maroni, Borghezio, Speroni; insomma la leadership leghista. Sono fatti che risalgono al 1996, quando fu costituita la ormai nota “Guardia Nazionale Padana”, un minestrone di secessionisti in divisa che, in alcune intercettazioni, parlavano liberamente di depositi segreti di armi in “Padania”.

 

Con l’abolizione del decreto legilativo n. 43/1948 il processo, che si è consumato a Verona, a fine luglio 2010, a carico di esponenti leghisti, grazie al lodo, finisce in una bolla di sapone. Decaduta l’accusa, tutti liberi e contenti. Firmatari delle norme, oltre al Capo dello Stato, sono Silvio Berlusconi, Ignazio La Russa, Roberto Calderoli, e Angelino Alfano. L’onorevole Ministro sembra abbia dimenticato l’ispirazione para militare clandestina, sua e del suo partito, e ostenta intransigenza verso studenti e magistrati.

La pressione che ogni cittadino l’italiano, dal più giovane al più anziano, sta subendo, purtroppo non trova ne ascolto ne risposte. La politica, secondo antica definizione, è “l’Arte di governare le società”, ma purtroppo l’impressione e che in Italia si impera e si pratica il “fatte quel che dico ma non quel che faccio”.

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