Il sisma abbatte i campanili, crollano memoria e identità

ROMA – Il campanile di San Michele Arcangelo a Poggio Renatico (FE), l’antica torre dell’orologio di Novi di Modena (MO), la chiesa di Moglia (MN), San Francesco di Mirandola (MO), la Torre dell’orologio a Finale Emilia (MO) che, con il suo quadrante spaccato esattamente a metà, è diventata l’immagine simbolo dell’intera emergenza sismica, sono soltanto alcuni degli esempi tra migliaia di edifici (la stima esatta non è stata ancora redatta) parte del patrimonio culturale crollati, lesionati e sfigurati dagli eventi sismici che dallo scorso 20 maggio stanno interessando la pianura padana.

Un comunicato del Ministero dei Beni culturali MIBAC, in cui si presenta un primo bilancio a distanza di un mese dall’inizio dell’emergenza, segnala che ” Alla data del 17 giugno sono arrivate dalle quattro province di Ferrara, Bologna, Modena e Reggio Emilia, 1335 segnalazioni di danni a beni mobili ed immobili tutelati ai sensi del codice dei Beni Culturali.”, nei giorni scorsi sono state, invece, ricoverate in appositi spazi allestiti nel Museo di Palazzo Ducale e nel Museo di Suzzara ” 96 opere d’arte provenienti dagli oltre 100 edifici sacri del mantovano considerati a rischio”.

I campanili dunque come vittime emblematiche, come i caduti di una guerra, come i simboli di un sisma che ha, forse irreversibilmente, modificato la linea dell’orizzonte urbano emiliano romagnolo dove lo “skyline” dei campanili dei borghi ha da sempre rappresentato, ancor prima che un elemento di identità culturale, un punto di riferimento visivo, quello che altrove è rappresentato dai profili delle montagne dalle valli, dai limiti dei boschi e le anse dei fiumi. Proprio sulla necessità di non perdere identità e “orientamento” si sono concentrate le dichiarazioni di molti esponenti della cultura italiana. Tra i primi Salvatore Settis, docente di storia dell’arte e dell’archeologia classica alla Scuola Normale Superiore di Pisa e presidente del Consiglio superiore per i Beni culturali e paesaggistici al MIBAC che insiste sulla  necessità di fare fronte al crollo della memoria, dell’identità storica rappresentata dal patrimonio culturale, “che va reintegrato e restaurato al più presto possibile”.

Settis.ricostruzione dei luoghi dell’identità

Aggiunge, amareggiato, “il contrario, per intenderci, di quello che è successo a L’Aquila” dove i cittadini sono stati costretti ad abbandonare il centro storico, esiliati “nelle cosiddette new towns che hanno disgregato la struttura sociale della città”. Settis conclude con l’auspicio che, con il nuovo Governo, a differenza della gestione Berlusconi-Bertolaso che ha rappresentato un’inversione di rotta rispetto alle politiche che miravano alla ricostruzione dell’esistente e dei luoghi dell’identità,  si generi “una nuova consapevolezza di quello che la nostra Costituzione vuole quando dice, all’articolo 9, che la Repubblica tutela il paesaggio e il Patrimonio Storico e Artistico della nazione”.
Il decreto-legge sul terremoto dell’Emilia (DL n.74/2012), presentato dal governo il 6 giugno e adesso all’esame del Parlamento, interviene, all’articolo 4, con delle disposizioni ad hoc per la messa in sicurezza, rimozione e recupero dei beni culturali oltre che per la rimozione controllata e per il ricovero delle macerie del patrimonio culturale danneggiato delle zone terremotate.

Polemiche sugli “ abbattimenti controllati”

Proprio queste ultime attività hanno scatenato le prime polemiche relative ad alcuni “abbattimenti controllati”, come quello del campanile della chiesa di San Michele Arcangelo a Poggio Renatico, dello storico Mulino Parisio o del campanile di Buonacompra, stigmatizzati già da Vittorio Sgarbi e bollati dall’ex soprintendente e direttore generale dei beni culturali dell’Emilia Romagna, Elio Garzillo, come ”azioni di pulizia etnica nel campo dell’ edilizia”. Immediata ed unanime è stata la risposta dei funzionari del MIBAC che hanno sottolineato il carattere di estrema emergenza degli interventi effettuati e la difficoltà di prendere decisioni in questo senso. Decisioni, queste, sempre attentamente soppesate e frutto di un processo travagliato e perfino doloroso, tanto da parlare di liste delle opere da abbattere stilate “in lacrime “, come si difende Carla Di Francesco, direttore regionale dei Beni culturali dell’Emilia Romagna.
 Molte voci si sono sollevate per chiedere più attenzione per le risorse culturali dello Stato  anche in relazione dell’apporto economico che  sarebbero in grado di portare, se adeguatamente valorizzate. Tuttavia, afferma Mario Resca, direttore generale del Mibac per  la Valorizzazione del Patrimonio culturale, “fa più danni la burocrazia del  terremoto.

Impossibile fare business culturale

La macchina pubblica e’ obsoleta, burocratica, antiquata e  corrotta” aggiungendo che “anche questo governo non parla di cultura  come fonte di reddito e di posti di lavoro. Non c’e’ comunicazione  sufficiente per attirare flussi dall’estero. Fare business culturale in Italia e’ impossibile”. Dello stesso avviso  il ricercatore dell’Istituto per i beni archeologici e monumentali del Consiglio nazionale delle ricerche (Ibam-Cnr) e docente all’università del Salento, Marcello Guaitoli che dice: “La perdita del patrimonio culturale ci costa circa un punto percentuale del Pil, calcolando il solo valore economico e non quello culturale, incalcolabile. Se adeguatamente conosciuto, conservato e tutelato, tale bene è una fonte inesauribile di reddito, in grado di muovere un indotto notevole in numerosi settori”.Insomma il “made in Italy”, un marcho derelitto e abbandonato.

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