Il dolore ai tempi dei social network

ROMA – Il fatto è di cronaca, come purtroppo se ne sentono tanti. Alessandro Favilla, un bambino toscano di 10 anni è morto nell’ottobre del 2012 per un’insufficienza cardiaca.

Alessandro aveva una deformità del rachide, per la quale era stato sottoposto ad un intervento nell’ospedale pediatrico Bambin Gesù di Roma alcune settimane prima della sua prematura scomparsa. Nei giorni precedenti la sua morte il bambino aveva lamentato stanchezza e difficoltà respiratorie, questi disturbi erano stati trattati come una forma di bronchite dai medici dell’ospedale di Lucca presso il quale si erano rivolti i genitori di Alessandro, Emanuele ed Alessia.
Il piccolo Alessandro è deceduto, lasciando sotto choc e pieni di interrogativi i genitori. La Procura ha inviato otto avvisi di garanzia per l’ipotesi di omicidio colposo a carico di sei pediatri lucchesi e di due chirurghi romani. Così un’orribile attesa sui perché della morte del bimbo si aggiungono al dolore della mamma e del papà e dei nonni del piccolo.
Come dicevamo, l’accaduto non racconta qualcosa di particolare in se, è delle indagini della magistratura il compito di stabilire se sia un caso di mala sanità, ciò che invece attira l’attenzione è come i famigliari del piccolo abbiano deciso di affrontare il dolore. In particolare la mamma Alessia Marraccini e la nonna Annalisa Martinelli gestiscono una pagina facebook dedicata “al loro angelo” in cui con una sorta di diario parlano direttamente ad Alessandro, declinando per iscritto in mille modi il proprio tormento per la sua mancanza.

Ecco la spiegazione della decisione di creare una pagina facebook nelle parole dei parenti “ perchè il ricordo del nostro bambino che è volato in cielo all’età di soli 10 anni e 5 mesi resti indelebile x sempre nel cuore di chi gli ha voluto bene…La sua mamma, il suo papà, i suoi nonni e i suoi zii hanno piacere che chiunque abbia condiviso anche un solo attimo con lui nella sua breve vita lo scriva qua x condividerlo con noi…e chi invece non lo ha conosciuto possa farlo ora attraverso i video, le foto e i ricordi di chi lo ha tanto amato…grazie di cuore a tutti”
Ma con più di 11.000 mi piace, la storia di Alessandro e il dolore dei suoi cari diventa quello della comunità virtuale che si stringe attorno alla disperazione della famiglia commentando puntualmente con affetto e appartenenza ogni “ricordo” che viene pubblicato.

Ancora una volta il social network più famoso al mondo mostra a tutti la sua camaleontica capacità di adattarsi alle pulsioni più profonde delle persone, diventando in questo caso la poltrona del terapista che fa elaborare il lutto ai parenti, la piazza del paese dove raccogliere le condoglianze dei compaesani, il luogo fisico della morte della vittima dove conoscenti e non portano il proprio epitaffio, che sia uno scritto, un’immagine o un fiore (in questo caso virtuale). Diventa, ancora, l’altare dove tutti in processione rivolgono il proprio rispettoso saluto e il proprio voto al santo sia esso Elvis o Padre Pio.  
E’ sempre più evidente come sia vitale per la specie umana del terzo millennio non solo la condivisione, ma soprattutto la visibilità, la notorietà e la fama,  che diventano l’antidoto per il più amaro di tutti i veleni, la consapevolezza della caducità del nostro passaggio su questo pianeta, che viene scongiurata attraverso l’essere riconosciuti. L’essere famosi dilata la nostra presenza sulla terra, ci rende immortali, si rimane in vita nella memoria dei posteri.
L’amaro della morte di un figlio è difficile da togliere dalla bocca e dall’anima, molto coraggio serve ai sopravvissuti per andare avanti e continuare la propria vita, proprio quando viene meno il frutto del primo e più naturale istinto umano, quello della riproduzione punto cruciale dell’esistenza stessa che permette che la vita vada avanti. Per questo per una volta il non senso dello “share” a tutti i costi diventa comprensibile, si spoglia della sua veste virtuale e assume un valore davvero “social”.

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