Quando il centro sinistra è alternativo vince. Altro che larghe intese

ROMA – Enrico Letta può dire quello che vuole, ma questo voto amministrativo non rafforza l’innaturale alleanza che in parlamento sostiene il suo governo. In particolare il voto a Roma con il successo clamoroso (quasi 30 punti di distacco) di Ignazio Marino dimostra che quando il centro sinistra è chiaramente alternativo al centro destra vince.

E si vince anche senza avere pudore nell’affrontare temi sociali importanti come i diritti della comunità Lgtb, le coppie di fatto, il testamento biologico e la cittadinanza estesa. Marino è stato percepito così: un uomo di sinistra, avversario radicale della destra e del berlusconismo, che mira a un rinnovamento dell’azione politica in termini di trasparenza e responsabilità e che ha una visione ben chiara di quello che chiede in termini di modernità e di diritti la società italiana. Il successo del centro sinistra a Roma, e questo a dimostrare la bontà di un’azione politica diametralmente opposta anche al partito indistinto tenuto insieme da un leaderismo indiscusso come la intende invece Matteo Renzi, è ancora più evidente e dirompente quando si legge il risultato sull’intero territorio urbano: quindici presidenti di municipio su quindici al centro sinistra. Un risultato mai raggiunto nella capitale. Ed è questo successo diffuso, territorialmente omogeneo, che fa capire che a Roma si punterà a un lavoro di squadra e a un forte decentramento verso i municipi. Sempre che il gruppo dirigente romano e nazionale del Pd non imponga nomi e ruoli a uomini di apparato. In questo caso l’azione di Marino – indispensabile davanti alla drammatica situazione che sta vivendo Roma dopo cinque anni di guida Alemanno – non potrà avere quel valore che invece tutti si augurano.
È proprio leggendo il voto a Roma, al nord – in particolare a Brescia e Treviso -, in Sicilia che si percepisce quanto sia distante il governo delle larghe intese dal paese. Il centro sinistra che vince è lontano galassie dal non progetto del Pd nazionale. Vince la sinistra quando non offre sponde al centro destra, si oppone duramente al berlusconismo, non insegue Berlusconi nel suo eterno muoversi fra “offerta” e “ricatto”. Perde il Pd quando non è chiaro nel disegnare e soprattutto nel portare avanti una netta avversione sul piano politico e culturale alla destra e al moderatismo (tecnico e politico che sia) che lo appoggia.

Mai come questa volta è leggibile il valore nazionale di un voto amministrativo. Sia in termini di promozione di un centro sinistra (o meglio sinistra) chiaro e coerente che davanti al fenomeno impressionante dell’astensionismo. L’astensionismo ha riguardato soprattutto (e questo è nei numeri) il centro destra e Grillo. Ha colpito chi si muove e si mostra attraverso processi senza visione del futuro e schemi demagogici. Grillo, in particolare, ha esaurito il suo potere di attrazione del voto di chi è stato deluso dai partiti e sembra destinato implodere nel piagnisteo vittimista e rabbioso. Il centro destra regge solo se Berlusconi rimette al centro l’illusione e il sogno, ma davanti alla realtà della quotidianità che si vive suo territori la fragilità del suo carisma va a rotoli. E quindi vince quella sinistra che non ha dismesso la sua relazione storica – e organizzata – con la società. Vince un progetto alternativo a Berlusconi e a Grillo. Vince l’Italia delle città. Perde quindi il Pd delle larghe intese, del ceto politico inamovibile, degli ambiziosi che si propongono il dominio del leaderismo e del battutismo senza visione progettuale. Il partito liquido che vorrebbe dominare Renzi è esattamente il contrario a quello radicato e strutturato (sia internamente che verso le altre forze alleate) che ha vinto questa tornata elettorale.

La voragine che si è aperta fra il piano nazionale e quello locale sembra incolmabile. E stritola di fatto l’esecutivo Letta e gli esperimenti di Napolitano. E la stretta per il Pd diventa ancora più soffocante davanti al processo che, per mancanza di coraggio, si è messo in atto: inventarsi lo specchietto di un processo di ridisegno costituzionale evidentemente al ribasso e soprattutto che non avrà mai approdo per nascondere l’ultima e imperdonabile vigliaccheria del sistema consociativo che si è innescato a livello nazionale, ovvero evitare di mettere mano alla legge elettorale. Nonostante le promesse e le garanzie annunciate all’insediamento del governo. Un insuccesso catastrofico per il Pd che diventa apocalittico davanti alla vittoria del centro sinistra alle amministrative. Un corto circuito ingestibile che imporrebbe una presa di coscienza e un’assunzione di responsabilità sia in sede di governo che di partito. Ma che davanti al miserabile spettacolo della rimozione che il Pd sta mandando in scena giorno dopo giorno, temo non avverrà in tempi utili per questo paese.
È quindi necessario, ora, accelerare un processo forte di critica e di proposta a sinistra, per portare alla luce un’idea di politica che, è evidente, non è stata definitivamente tumulata dal correntismo sterile e opportunistico e premere per arrivare subito alla cancellazione del porcellum per ripristinare quelle reali regole democratiche trasformate in questo vent’anni in parodia.

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