Anno 1731. L’assassinio di Elena Sciarles e Laura Mattiuzzi, un caso mai risolto

VENEZIA – La notte dell’ultimo di gennaio 1731 del fumo usciva dalle finestre del palazzo in calle della Pegola, in corte di Ca’ Rizzi, dove abitava il duca Annibale Moles.

La gente correva con i secchi d’acqua che prendevano dai canali adiacenti. Alcuni erano riusciti ad aprire il portone ed entrare. Il capo contrada, Pietro Basilisco di San Marcuola, coordinava gli interventi. A Venezia il fuoco faceva paura, il popolo si ricordava ancora di come la zona di Rialto nel 1514 era stata distrutta da un incendio. Dopo alcune ore il pericolo era terminato. Le pareti annerite, l’odore di fumo, non era però tutto quello che restava di quella notte. Nella stanza principale, nei due letti, erano rimasti due corpi di donne. Due corpi in parte bruciati ma ancora riconoscibili.

Il giorno successivo il capo contrada stava riferendo ai Signori di Notte al Criminal della macabra scoperta. Da una prima analisi poteva sembrare che le donne fossero morte a causa dell’incendio. Verso mezzogiorno il chirurgo Iseppo Breve della fondamenta degli Ormesini di San Marcuola viene accompagnato dal Mattio Callura, fante del collegio dei Signori di Notte al Criminal, nel palazzo del duca. Sui letti anneriti vi sono i due cadaveri  bruciati parzialmente. Del primo restava solo parte del tronco superiore, testa e petto, del secondo, invece, il fuoco aveva risparmiato solo parte del petto e dell’addome. Ma non è tutto. Il chirurgo sa fare il suo mestiere e sul secondo corpo trova qualcosa. Una ferita laterale al petto fatta con arma da taglio. La ferita è sottile ma decisamente può essere la causa della morte. Quella donna non era morta soffocata dal fumo ma era stata accoltellata. Non è più un semplice incidente ma un omicidio e se era stata assassinata una delle due donne doveva essere già morta anche la seconda.

Lo stesso giorno viene richiesta un altra perizia al chirurgo Giovan Battista. Il risultato è lo stesso. Gli inquirenti mantengono il riserbo e non fanno circolare nessuna voce sull’omicidio.
Ma chi erano quelle donne? La prima si chiamava Laura Mattiuzzi ed era amica di Elena Sciarles, il secondo cadavere. La Sciarles era stata al servizio del duca Moles prima che quest’ultimo morisse.
Il 2 febbraio in quella casa compare il capo contrada Pietro Basilisco per rimuovere le vittime e dare degna sepoltura ai corpi. Gli effetti personali sono riposti in due scatole. Nella prima vengono collocati gli oggetti ritrovati appresso al primo cadavere di Laura Mattiuzzi ovvero, un manino di cordon d’oro, un altro in tre pezzi, molte monete d’argento leggermente bruciate, una vera d’oro ed una chiave. Nell’altra scatola ci sono gli effetti personali di Elena Sciarles, ovvero una fonte da deo, una catena con due medaglie, due chiavi, quarantacinque denari in moneta e tre bezzi.

Questo è alquanto strano. Dopo aver appurato che le due donne sono state uccise ora ci si domanda la motivazione. Ma il denaro che si ritrova addosso fa scartare l’ipotesi di un omicidio per furto. Inoltre il fuoco fu appiccato volontariamente?

Qui la storia inizia a farsi interessante. Gli inquirenti fanno fare una perizia a tale Giovan Battista Alberghetti figlio di Orazio Antonio. Chi era Giovan Battista Alberghetti? lavorava all’Arsenale, precisamente era un esperto di esplosivi. Alberghetti fa una sopralluogo, prende alcuni campioni presenti nella stanza e li analizza. Non ci sono dubbi, per lui quel fuoco è artificiale. Trova polvere di salnitro, solfene, canfora, vetro pesto, scaglie di ferro, antimonio crudo, il tutto in pece nera e di spanga rasa di pino, trementina, catrame, olio di lino e segatura. Ai magistrati dice che quella mistura lui la conosce. Con quegli ingredienti si fanno i “globi ad uso di guerra”. Inoltre, chi ha predisposto che scoppiasse un incendio ha inserito appositamente alcuni pezzi di fustagno atti a mantenere più durevole il fuoco. Si voleva cancellare le prove di quanto fatto. Non c’è dubbio, non solo l’assassino ha premeditato l’atto criminale ma è anche un esperto di esplosivi e incendi.

Il magistrato che assume l’incarico è tale Thomas Sandi, avvocato del Consiglio.
La prima azione che svolge il Sandi è quella di convocare alcuni testimoni. In particolare viene interrogata Francesca Zanatelli moglie di Giovanni Battista Fornari, cameriere in Ca’ Memo a San Marcuola, residente a Ca’ Rizzo. La donna racconta al magistrato che vicino alla casa della sciagura abitano Gasparo Fabrici testor, un frittoler ed un tal Spador. Secondo quanto si ricorda di quella notte, quando il fumo iniziò ad uscire dalle finestre le persone cercarono di aprire il portone che era chiuso, cosi tale Francesco Palazzi che abitava a poca distanza disse di andare ad avvisare il padrone dello stabile, tale Simon Zender. Poco dopo arrivò un fabbro residente al Ghetto e apri la porta della strada. Il magistrato le chiede se per caso può avere una idea di cosa possa essere successo. La Zanatelli afferma che le voci che circolano riportano che Elena era dedita al vino, quindi poteva essersi addormentata ubriaca ed aver fatto cadere la lampada. Il magistrato Sandi annuisce ma sa che non può essere andata cosi.

Lo stesso giorno interroga anche il barbiere che ha bottega nella fondamenta Tessier. Al barbiere viene chiesto chi frequentasse la casa e lui si ricordava solo dei barcaioli del duca Moles, tale Giovanni Formenti detto Lachie che abitava in calle di Ca’ Moro a San Girolamo, ed un secondo gondoliere, del quale non ricordava il nome, ma dopo la morte del duca lo vide rare volte. Il Formenti era anche colui che gestiva altri servizi e tutti i pagamenti.

Mentre si cercano questi gondolieri, viene sentito lo specchier Pietro Paolo Mattiuzzi, residente in corte Nova alla Misericordia, al momento disoccupato e marito di una delle due vittime.
Il Mattiuzzi racconta che sua moglie, Laura Rizzo, quella sera era andata a far compagnia a cena alla signora Elena. C’era una amicizia tra le due donne che durava da anni e come tutte le sere non l’aspettò per dormire. Il Duca Moles abitava in Corte Nova prima di andare ad abitare in calle di Ca’ Rizzo a San Girolamo ed è a quel tempo che le due donne si conobbero.
Dopo la morte del Duca, Elena voleva ritirarsi in un luogo pio, dalle Pizzocchere di San Francesco, disse a sua moglie.

La mattina seguente fu avvisato dal parroco di San Marcilian, tale pre Girolamo che era successa una tragedia.  Immediatamente corse in quella casa e la trovò lui in quel letto semi carbonizzato. Il magistrato gli disse che sua moglie non era morta per l’incendio ma era stata uccisa. Lui trasalì e per un attimo restò in silenzio. Thomas Sandi gli chiese se poteva sapere chi avesse voluto ucciderla. Il Mattiuzzi gli disse che non erano ricchi e non avevano nemici. Per quanto riguarda Elena, alla morte del duca, era stata beneficiata di una entrata di circa cento e sessantaotto ducati. Forse volevano rubare quello e sua moglie si era solo ritrovata al momento sbagliato nel posto sbagliato. Si ricordava che Laura aveva portato tre posate d’argento del valore di dieci ducati a posata e non gli sembrava che fossero state ritrovate. Nessuno nelle vicinanze aveva sentito gemiti o lamenti, si accorsero solo del fumo che usciva dalla finestra. A questo punto però il Mattiuzzi si ricorda di un episodio strano che era accaduto due o tre giorni prima dell’incendio. Una mattina il barcaiolo Lachie, meglio conosciuto come Formenti, che frequentava quella casa, aveva trovato la porta principale aperta con una sola bacchettina di legno che la teneva chiusa. Inoltre, un altra porta del piano terra dove stavano gli aranceti dell’orto non si riusciva più ad aprire. Tutto questo era particolarmente sospetto perchè, disse al magistrato, Elena era una donna scrupolosa e chiudeva sempre tutte le porte.

Prima di finire questa giornata si trova il tempo per sentire Francesco Rossi di Sante nativo del friuli, residente a Venezia da 35 anni, capo dell’arte degli orefici a San Silvestro. Gli viene indicato di fare una perizia sui reperti che gli vengono sottoposti alla ricerca di tracce di oro o argento.

La perizia da esito negativo. Quindi se c’erano le posate d’argento queste non erano bruciate.
Il giorno successivo il magistrato cerca di appurare questo particolare delle porte. L’idea che qualcuno possa essersi introdotto dalle porte principali potrebbe essere una pista da seguire.
Verso tarda mattinata giunge a Palazzo Ducale Gasparo Fabrici testor residente in calle di Ca’ Rizzo. Gasparo Fabrici fu tra i primi a spegnare l’incendio. Si ricorda di un Lachie che aveva dormito dopo la morte del duca due o tre notti, fu lo stesso che disse che una porta a pian terreno non funzionava e non si apriva. Martedi sera aveva ritrovato la porta aperta e tenuta solo con una pietra ed una stecchetta. Quindi questa voce corrispondeva a verità. Ma non basta.
Lo stesso giorno il mistro Giovanni Roncan pozzer, ovvero addetto alla manutenzione dei pozzi della città, per ordine del magistrato andò in casa a San Marcuola e assieme ai capi contrada svuotarono il pozzo, controllando il fango. Cosa cercavano? non si sa, dai verbali non si capisce cosa il magistrato pensasse di trovare. Ma qualsiasi cosa cercassero non fu trovato nulla.

Nel frattempo un marangon effettua un sopralluogo e rileva alcuni buchi fatti dietro la porta d’entrata. La porta fu manomessa, ora ci sono chiari segni.
Vengono anche ritrovate le chiavi dei bauli e questi vengono aperti. Dentro ci sono i gioielli.
Che non fosse stato un incidente lo aveva già fatto capire l’autopsia e la perizia sul materiale incendiario. Ora si ha anche la certezza che qualcuno aveva premeditato l’assassinio. Sapeva che Elena chiudeva le porte e le controllava ogni notte. Cosi aveva fatto dei fori per poterla aprire. Ma perchè lasciare i gioielli nel baule? e quelle monete addosso alle vittime? e l’oro? perchè non rubare tutto? quesiti che rimanevano ancora aperti.

Le settimane passano tra interrogati e prove raccolte.
Il dieci dicembre Nicoletto Garzotto, maggior de Bombardieri, viene assunto per periziare una pignatta con dentro della materia bianca. Lui controlla ed afferma che dentro c’era del carbone di legno dolce mentre la materia bianca della consistenza del formaggio non è grasso avendo provato a scaldarlo. Pensa non sia materia artificiale ma non saprebbe indicare cosa possa essere.

I mesi passano senza però ottenere risultati concreti. Il 7 marzo non sono ancora stati trovati gli autori dell’omicidio. Il Consiglio delibera che l’incarico resti all’Avogador ed in caso usi qualsiasi mezzo per ottenere delle risposte. Ma queste riposte non arriveranno mai. Mesi dopo il fascicolo sarà riposto in un cassetto. La Serenissima tramontò e quella documentazione finì in Archivio di Stato dove ora ho potuto leggerlo, ricordando quelle due donne che in quella notte d’inverno persero la vita nella corte di Ca’ Rizzo a San Girolamo di Venezia.

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