Roma, città chiusa ai Rom. Sgombero ed esodo da Ponte Marconi

ROMA –  cambiano le giunte comunali, ma resta il rifiuto verso la comunità Rom più emarginata e indigente. Nonostante la nascita, presentata il 14 aprile scorso,  del “Tavolo regionale per l’inclusione e l’integrazione dei Rom, dei Sinti e dei Caminanti“. Nonostante la messa al bando del termine “nomade” da parte del sindaco Marino.

Nonostante i meeting, le convention, gli eventi speciali e le feste – innumerevoli –  in cui istituzioni e società civile a braccetto hanno proclamato a più riprese la fine della politica dei campi, sostituita da  una NUOVA strategia di inclusione. Nonostante la facciata imbiancata, restano la solita ostilità e la solita incapacità ci accogliere. Riunioni, bei discorsi, locandine e opuscoli patinati sono serviti e servono per gettare fumo negli occhi delle istituzioni europee, che chiedono il rispetto della strategia sui Rom e delle leggi europee contro l’intolleranza. Dopo lo sgombero senza alcuna alternativa sociale e con la distruzione di circa sessanta baracche, i 150 Rom che vivevano nei rifugi di fortuna sotto ponte Marconi si trovano ora a percorrere la consueta, drammatica marcia verso il nulla riservata alle famiglie Rom sgomberate. Una marcia che aumenta disagio ed esclusione e mette i nuclei familiari senza alcuna risorsa né riparo di fronte alla precarietà di una vita all’aperto e al razzismo di chi vuole interpretare la povertà come “asocialità”. Una trentina di Rom si sono rifugiati nel parco giochi di via Pietro Blaserna. Le famiglie con bambini rischiano di perdere la potestà dei piccoli, perché i servizi sociali intervengono non a tutela dell’integrità familiare, ma con il presupposto di inadeguatezza da parte dei genitori. E l’esempio relativo ai Rom di Ponte Marconi è solo uno dei tanti che riguardano la capitale, in cui non esiste tolleranza verso il “popolo del vento”. Si chiede alla Commissione europea e all’Alto Commissario delle Nazioni Unite per i Diritti Umani di intervenire e di mettere in atto inchieste sul campo, ascoltando i Rom colpiti dagli sgomberi e non i tanti intermediari che non hanno a cuore la loro condizione sociale.

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