Jobs Act. Sarà più facile licenziare

ROMA – Il governo Renzi va avanti imperterrito e pprova i decreti sul jobs act. Renzi parla di diritti riconosciuti a un’intera generazione mentre le richieste dei sindacati restano inascoltate.

Il Jobs act di fatto rottama i co.co.co e i co.co.pro, tuttavia come tuonano i sindacati, mentiene delle norme sui licenziamenti collettivi.  Matteo Renzi annuncia che dal 1° marzo scatterà il nuovo contratto a tutele crescenti, che “ha tolto l’alibi” a chi sostiene che in Italia “non sia conveniente assumere”. “Il lavoro ora presenta più flessibilità – ha spiegato il premier – e ne abbiamo ridotto le tassazione”. Se le assunzioni godranno della decontribuzione a carico dello Stato, sarà limitata la possibilità di reintegro del lavoratore, mitigata da un indennizzo economico certo. Il primo a criticare le mosse del governo è Maurizio Landini, segretario della Fiom – “siamo in presenza di una riforma che non migliora le condizioni di chi ha bisogno di lavorare”. 

 L’unico “asse” dello Jobs Act e’ “l’avere reso legittimi i licenziamenti illegittimi” laddove “dal punto di vista del tanto annunciato intervento sull’abolizione del precariato non c’e’ nulla di particolare da segnalare”. E quanto afferma il segretario generale della Cgil, Susanna Camusso, a ‘Repubblica Tv’. “Potevano stupirci con effetti speciali e non l’hanno fatto”, afferma Camusso, la quale, per un giudizio definitivo, attende pero’ “di guardare con attenzione le norme”. “Di annunci poi tradotti in altro ne abbiamo gia’ visti molti, tutto questo intervento su norme gia’ esistenti non ha abolito la precarieta’”, conclude il leader della Cgil, secondo la quale permane una “dualita’ tra lavoratori che hanno tutele e altri che non hanno tutele”. Anche  Stefano Fassina non lesina critiche: “Oggi giorno atteso da anni….dalla Troika. Contratti precari restano e licenziamento senza limiti. Ora anche Sacconi nel Pd”.  

Segnali di dissenso arrivano anche dal M5S.

“Di crescente è rimasta ormai solo la precarietà e il taglio, tanto strombazzato, delle forme contrattuali è una montagna che ha partorito il topolino”. Così i deputati M5S in merito ai decreti legislativi sul Jobs act emanati oggi dal Cdm. “È scandaloso aver debordato dai limiti di una delega peraltro molto  vaga – aggiungono – estendendo la nuova disciplina dei licenziamenti anche a quelli collettivi. Si torna a una concezione ottocentesca  della relazione datore-lavoratore che snatura pure il rapporto tra le parti sociali. Inoltre, rimangono in piedi forme precarie come il lavoro a chiamata e si gonfierà il fenomeno degli abusi legati al lavoro accessorio e ai voucher. Senza dimenticare la penalizzazione della parte formativa dell”apprendistato”. “Saluteremmo con favore l’abolizione delle collaborazioni e il chiarimento dei criteri della subordinazione, ma sul fronte degli ammortizzatori rimane l”ambiguità sui parasubordinati e la ”discoll””,spiegano ancora i deputati Cinquestelle. “Sul fronte della Naspi, tutele basate sulla capacità contributiva sono l”opposto della protezione universale sbandierata dal governo, necessaria in un mercato del lavoro più flessibile e garantita soltanto dal nostro progetto di Reddito di cittadinanza. Come al solito, i pareri delle commissioni sono stati ignorati e il Parlamento è stato calpestato. 

Per Renzi è meglio dar retta a Confindustria piuttosto che alle Cameresovrane. Noi non ci stiamo – concludono i deputati M5S – e continueremo a denunciare la deriva vetero-liberista del governo, deriva sconfitta dalla crisi e dalla storia”.

Cosa sono i contratti a tutela crescenti

Contratto a tutele crescenti si applica ai lavoratori assunti con contratto a tempo indeterminato dopo l’entrata in vigore del decreto, per i quali stabilisce una nuova disciplina dei licenziamenti individuali e collettivi. Il comunicato diffuso da palazzo Chigi al termine del Consiglio dei ministri che ha varato i decreti attuativi del Jobs act spiega nel dettaglio le modifiche introdotte. Per i lavoratori assunti prima dell’entrata in vigore del decreto restano valide le norme precedenti.  Per i licenziamenti discriminatori e nulli intimati in forma orale resta la reintegrazione nel posto di lavoro cosi’ come previsto per tutti i lavoratori. Per i licenziamenti disciplinari la reintegrazione resta solo per quella in cui sia accertata “l’insussistenza del fatto materiale contestato”. Negli altri casi in cui si accerti che non ricorrano gli estremi del licenziamento per giusta causa o giustificato motivo, ovvero i cosiddetti “licenziamenti ingiustificati”, viene introdotta una tutela risarcitoria certa, commisurata all’anzianita’ di servizio e, quindi, sottratta alla discrezionalita’ del giudice. La regola applicabile ai nuovi licenziamenti e’ quella del risarcimento in misura pari a due mensilita’ per ogni anno di anzianita’ di servizio, con un minimo di 4 ed un massimo di 24 mesi.  Per evitare di andare in giudizio si potra’ fare ricorso alla nuova conciliazione facoltativa incentivata. In questo caso il datore di lavoro offre una somma esente da imposizione fiscale e contributiva pari ad un mese per ogni anno di servizio, non inferiore a due e sino ad un massimo di diciotto mensilita’.

Con l’accettazione il lavoratore rinuncia alla causa. Per i licenziamenti collettivi il decreto stabilisce che, in caso di violazione delle procedure o dei criteri di scelta, si applica sempre il regime dell’indennizzo monetario che vale per gli individuali (da un minimo di 4 ad un massimo di 24 mensilita’). Per le piccole imprese la reintegra resta solo per i casi di licenziamenti nulli e discriminatori e intimati in forma orale. Negli altri casi di licenziamenti ingiustificati e’ prevista un’indennita’ crescente di una mensilita’ per anno di servizio con un minimo di 2 e un massimo di 6 mensilita’. La nuova disciplina si applica anche ai sindacati ed ai partiti politici. 

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