31 marzo 2015. Addio Opg, Ospedali psichiatrici giudiziari

ROMA – Domani 31 marzo scatterà la chiusura degli ospedali psichiatrici giudiziari dopo due anni di rinvii. Sei le strutture attualmente esistenti in Italia, 800  circa gli ‘inquilini’ di questi luoghi aberranti e degradanti per l’essere umano.

Rimangono tuttavia numerosi gli interrogativi, i dubbi, le incertezze e le polemiche su come possa essere gestita una situazione tanto particolare quanto delicata, in considerazione soprattutto del fatto che le nuove strutture, Rems (Residenze per l’Esecuzione della Misura di sicurezza Sanitaria), che dovrebbero accogliere temporaneamente questi pazienti, in molte Regioni non sono ancora pronte. Ad oggi sembra infatti che solo una Regione su due sia concretamente in grado di applicare il superamento degli Opg, mentre per le altre potrebbe scattare il commissariamento. Attualmente sono quindi 12 le Regioni che già dal 1 aprile potranno ospitare i pazienti provenienti dagli Opg. Si tratta di Val d’Aosta, Lombardia, Liguria, Emilia Romagna, Toscana, Lazio, Campania, Basilicata, Sicilia e Sardegna, oltre alla Provincia Autonoma di Bolzano. Dei circa 800 pazienti attualmente internati, 250 sono stati dichiarati dimissibili, mentre saranno 450 ad essere trasferiti nelle nuove Rems. Queste ultime dovrebbero prevedere un’assistenza solo sanitaria, per cui sarà indispensabile l’attivazione di una rete territoriale in collaborazione con associazioni, strutture socio sanitarie, case-famiglia che possano accompagnare il graduale passaggio dalla segregazione al reinserimento sociale, senza sottovalutare tutti gli aspetti legati alla sicurezza oltre che alla cura. 

Opg luoghi d’inumanità 

Gli Ospedali Psichiatrici Giudiziari sono nati alla fine degli anni ’70 e hanno accolto nel corso degli anni infermi di mente che avessero commesso crimini o reati comunque molto gravi. Creati in sostituzione dei manicomi criminali, queste strutture avrebbero dovuto avere la finalità di recuperare persone non sottoponibili a giudizio, affette da malattie psichiatriche gravi e dichiarate socialmente pericolose, ma anche minorati psichici. Nel tempo si sono accreditati più come luoghi punitivi di detenzione e contenimento che di cura, non poi così dissimili dai vecchi manicomi criminali e sono stati dichiarati incostituzionali da ben due sentenze del 2003 e 2004  della Corte Costituzionale.  Le sentenze sottolineavano la necessità di rispondere appunto al bisogno di riabilitazione e inclusione sociale dei pazienti degli Opg, con soluzioni adeguate di fatto invece non garantite da queste strutture. Il 31 marzo 2013 avrebbero dovuto essere dismesse su impegno del Governo, e su pressione del comitato StopOpg. 

La chiusura degli Opg se da una parte viene salutata come un risultato storico, una svolta che mette fine a un orrore e a un’aberrazione umiliante per il nostro Paese, dall’altra suscita non pochi dubbi e perplessità in relazione alle criticità che potrebbero insorgere, trattandosi di pazienti che dovranno comunque “reimparare a vivere da zero”, in alcuni casi si è parlato anche di “allarme sociale”. 

Il direttore del Dipartimento di salute mentale degli Spedali Civili di Brescia sottolinea il timore,  la paura, il disorientamento che potrebbero sopraffare chi si chiude dietro le spalle la porta dell’Opg. “Alcuni vengono  dimessi per scadenza dei termini e non hanno più una casa dove  tornare. Altri hanno una famiglia che non può o non vuole accoglierli. Spetta allora a noi aiutarli a trovare una sistemazione protetta e assistita, se possibile a recuperare progressivamente un dialogo con i  parenti”.  E per non stordire, conclude, “la libertà va respirata a  piccole dosi”. 

Peppe Dall’ Acqua, psichiatra che lavorò con Franco Basaglia e fautore di StopOpg ha dichiarato di vivere questa chiusura come una svolta epocale. “Si chiude un ciclo, ma il 31 marzo sarà ancora una volta un inizio perché il problema è di una delicatezza estrema”.

Certo è che se molte Rems non sono ancora pronte che fine faranno questi pazienti, come verranno curati?  Emilio Sacchetti,  presidente della Società italiana di psichiatria, sposta il focus del  problema: “Servono meno Rems e più risorse per gli ospedali – avverte  da Vienna, dove è in corso il 23esimo Congresso dell’Associazione  europea di psichiatria (Epa) – perché delle micro-équipe dedicate che  dovrebbero nascere nei Dipartimenti di salute mentale per ‘assorbire’  i pazienti che torneranno sul territorio, per ora non c’è quasi  traccia. Sono poche o nessuna. Qualche azienda ospedaliera ha lanciato il concorso, alcune coprono il buco con altro personale, ma quelle che non ne hanno sono in grave difficoltà”. ”Le Rems – assicura Sacchetti – non sono necessarie se non in casi estremi”. “I criminali, quelli veri, vanno in carcere. Mentre tutti gli altri stanno fuori e sono i Dsm ad assisterli negli ospedali. E’ soprattutto su di loro che le Regioni dovrebbero investire. Meno Rems e più risorse per il territorio, quindi”. 

Insomma si chiude apparentemente un problema, con ritardi che possono essere più o meno fisiologici, ma di fatto ad oggi non vi è alcuna chiarezza su quale sarà l’approccio nel prossimo futuro per affrontare la situazione, con il rischio che le stesse Rems non siano altro che ‘mini Opg’,  solo con un altro nome.

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