Diritti. In Tunisia stupratori salvi, donne vittime colpevolizzate e punite

Amnesty International Italia ha attivato il numero verde 800 531 760 per salvare migliaia di bambine nel mondo dall’incubo di un matrimonio forzato 

ROMA – In occasione del 25 novembre, Giornata internazionale per l’eliminazione della violenza sulle donne, Amnesty International ha pubblicato un rapporto sulla Tunisia nel quale denuncia le scappatoie legislative che consentono agli autori di stupri, aggressioni sessuali e violenze fisiche di farla franca, mentre le loro vittime vengono spesso colpevolizzate e punite quando osano denunciare i crimini commessi nei loro confronti.

Per difendere e proteggere le bambine dai matrimoni precoci e forzati e da altre forme di violenza Amnesty International Italia – di cui quest’anno ricorre il 40° anniversario – ha attivato il numero verde 800 531 760. Secondo le stime del Fondo delle Nazioni Unite per la popolazione (Unfpa), 13.5 milioni di ragazze ogni anno nel mondo sono costrette a sposarsi prima dei 18 anni con uomini molto più vecchi di loro: 37 mila bambine ogni giorno alle quali, di fatto, viene negata l’infanzia.

Isolate, tagliate fuori da famiglia e amicizie e da qualsiasi altra forma di sostegno, perdono la libertà e sono sottoposte a violenze e abusi. Molte di loro rimangono incinte immediatamente o poco dopo il matrimonio, quando sono ancora delle bambine. Alcune preferiscono uccidersi piuttosto che vivere questo incubo. La campagna Mai più spose bambine è online sul sito www.amnestysolidale.it dove è possibile firmare l’appello per bandire il fenomeno dei matrimoni precoci e forzati in Burkina Faso. Contribuire alla campagna Mai più spose bambine e donare chiamando il numero verde 800 531 760 significa aiutare Amnesty International Italia a realizzare un cambiamento positivo nella vita di queste donne e bambine per cui non c’è libertà, non c’è giustizia, non ci sono diritti umani. 

Il rapporto di Amnesty International intitolato “Aggredite e accusate: la violenza sessuale e di genere in Tunisia” sottolinea come, quasi cinque anni dopo la rivolta del 2011, il paese arabo leader nel campo dell’uguaglianza di genere continui ancora a non proteggere – per carenze legislative e radicate attitudini discriminatorie – le donne che subiscono violenza e le persone prese di mira a causa dell’identità di genere, dell’orientamento sessuale e delle loro attività sessuali.

“Questo rapporto illustra l’agghiacciante rovesciamento dei concetti di reato e punizione in Tunisia. Una combinazione di leggi arcaiche, politiche inefficaci e diffusi stereotipi di genere rende difficile per le donne chiedere giustizia per i reati subiti e talvolta le pone sul banco degli imputati” – ha dichiarato Said Boumedouha, vicedirettore del programma Medio Oriente e Africa del Nord di Amnesty International. 

“È inquietante il fatto che, oltre a subire violenze orribili, chi vi sopravvive debba affrontare grandi ostacoli per ottenere giustizia e sia di fatto abbandonata dalle autorità” – ha aggiunto Boumedouha.

Il rapporto di Amnesty International contiene interviste a decine di persone che hanno subito violenza fisica, aggressioni sessuali, stupri, violenza domestica e molestie sessuali: donne e ragazze ma anche lavoratori e lavoratrici del sesso e persone lesbiche, omosessuali, bisessuali, transgender e intersessuate (Lgbti), queste ultime attaccate a causa del loro orientamento sessuale o della loro identità di genere.

Racconti orribili

Le donne e le ragazze tunisine vivono in una società che preferisce preservare l’onore familiare piuttosto che chiedere giustizia. Le donne, soprattutto coloro che hanno subito aggressioni sessuali o violenza in famiglia, sono scoraggiate dal presentare denuncia e indotte a credere che, in caso contrario, getteranno vergogna sulla famiglia. La polizia spesso ignora o persino fa sentire in colpa chi osa denunciare e talvolta si attribuisce un ruolo di mediazione, anche nei casi più gravi di violenza.

Queste attitudini sociali e le manchevolezze dello stato sono particolarmente gravi in un paese dove la violenza sessuale e quella di genere sono radicate. Quasi la metà delle donne (il 47 per cento) intervistate in un sondaggio del 2010 ha dichiarato di aver subito violenza e vi sono pochi segnali che la situazione, da allora, sia migliorata.

Molte donne tunisine si sentono intrappolate in un ciclo di violenza – stupro compreso – che spesso chiama in causa i loro mariti. Donne incontrate da Amnesty International hanno denunciato di essere state prese a schiaffi e a calci, picchiate con cinture bastoni e altri oggetti o minacciate coi coltelli, strangolate e persino bruciate.

“Mio marito mi picchiava ogni giorno. Quando, nel 2009, ho deciso di denunciarlo dopo che mi aveva spaccato il naso e sfregiato il volto, la polizia ha dato la colpa a me” – ha detto una donna, che continua a subire violenza domestica. 

Questa donna ha nuovamente denunciato il marito nel 2014. Questi, invece di essere arrestato, se l’è cavata firmando un documento in cui prometteva di non picchiare più la moglie. Invece ha continuato, senza alcuna conseguenza.

Altre donne hanno raccontato ad Amnesty International di essere state stuprate dai mariti, compresa una che è stata costretta a un rapporto anale:

“La prima volta è stato come se mi avesse stuprata. Ha agito con forza procurandomi delle ferite che poi si sono infettate. Per qualche giorno abbiamo dormito separati, poi ha ricominciato dicendomi ‘Tu sei mia moglie e io ho il diritto di fare quello che voglio’”.

Una donna ha riferito ad Amnesty International di essere stata stuprata a 17 anni da un uomo che aveva incontrato dopo che era fuggita di casa per evitare la violenza domestica. Dopo lo stupro è rimasta incinta e ha ricevuto pressioni perché sposasse quell’uomo per evitare la vergogna di essere una madre single. 

In seguito, ha divorziato ma grazie alla legge che permette l’impunità in cambio del matrimonio a chi stupra una donna di meno di 20 anni di età, il suo ex marito non può essere condannato.

Il rapporto di Amnesty International evidenzia che le leggi in materia di stupro presentano gravi carenze e scoraggiano le donne dal farsi avanti e chiedere giustizia. In sostanza, queste norme pongono un’indebita enfasi sull’uso della forza o della violenza, rendendo difficile per le donne provare lo stupro in assenza di prove mediche che includano segni di danni fisici.

Paura della polizia

Le persone Lgbti che hanno subito violenza sessuale e fisica vanno incontro a un rischio persino maggiore di essere respinte dalla polizia o di essere incriminate, a causa della diffusa omofobia e transfobia e della criminalizzazione delle relazioni sessuali tra persone consenzienti dello stesso sesso.

Sharky, una lesbica di 25 anni, ha subito almeno otto aggressioni negli ultimi nove anni. Una volta è stata accoltellata e picchiata brutalmente. Quando, in un’occasione, ha deciso di denunciare l’accaduto si è sentita minacciare di essere condannata a tre anni di carcere in quanto lesbica.

Amnesty International ha incontrato persone transgender processate per offesa alla morale pubblica, a causa del loro aspetto. 

Le leggi sull’indecenza possono essere a loro volta usate per punire chi ha subito violenza sessuale. Nel settembre 2012 Meriem Ben Mohamed è stata accusata di “indecenza” dopo che aveva accusato due poliziotti di averla stuprata.

I lavoratori e le lavoratrici del sesso sono particolarmente esposti allo sfruttamento sessuale, ai ricatti e alle estorsioni, in primo luogo da parte della polizia. La criminalizzazione delle loro attività comporta che spesso non denuncino le violenze subite per timore di subire incriminazioni.

Una donna ha raccontato ad Amnesty International di essere stata ripetutamente sottoposta ad abusi sessuali e a sfruttamento, per due anni, da parte di un agente di polizia che aveva scoperto che si prostituiva.

Un’altra lavoratrice del sesso ha raccontato di essere stata sottoposta a molestie sessuali dopo l’arresto: “L’agente che mi aveva arrestato mi chiamava ‘puttana’ e diceva che non avevo alcun diritto di difendermi. Durante la perquisizione mi hanno palpeggiato il seno. Loro pensano che gli sia permesso tutto e che tu non sei niente dato che sei una lavoratrice del sesso”.

Un altro ostacolo nei confronti delle donne che vogliono denunciare gli abusi sessuali è costituito dalla previsione di cinque anni di carcere per il reato di adulterio. Amnesty International ha incontrato donne minacciate in questo senso per aver cercato di denunciare la violenza subita.

Fermare l’ondata di violenza

La Costituzione del 2014 ha rappresentato un grande passo avanti per la tutela dei diritti umani e per le campagne svolte dal movimento per i diritti delle donne nel corso degli anni. Essa garantisce maggiore protezione alle donne e prevede l’uguaglianza di genere e il divieto di discriminazione. Contiene anche importanti garanzie per la protezione dei diritti delle persone Lgbti e tutela il diritto alla vita privata e alla libertà d’espressione, pensiero e opinione.

Tuttavia, l’iter di una nuova legge per contrastare la violenza contro le donne e le ragazze e depenalizzare le relazioni sessuali consensuali tra persone dello stesso sesso si è recentemente bloccato. 

Amnesty International chiede alla Tunisia di attuare una serie di significative riforme per porre fine alla dilagante discriminazione e alla violenza che continua a rovinare la vita di tante persone, tra cui:

– assicurare che le persone che hanno subito violenza sessuale o di genere abbiano maggiore accesso ai servizi di salute pubblica e alla giustizia senza timore di andare incontro a pregiudizi sociali e legislativi;

– adottare una legge di vasta portata per fermare la violenza contro le donne, in modo coerente con gli obblighi internazionali della Tunisia sui diritti umani;

– rivedere le leggi che producono effetti dannosi, attraverso il riconoscimento dello stupro coniugale, la fine dell’impunità per i rapitori e gli stupratori qualora sposino le loro vittime se di età inferiore a 20 anni e l’abolizione delle norme che criminalizzano le relazioni sessuali tra persone non sposate e tra persone adulte e consenzienti dello stesso sesso.

“La Tunisia ha il dovere di proteggere i diritti delle persone che hanno subito stupri e orribili abusi sessuali, invece di farle sentire in colpa e svergognarle. Le autorità devono inviare il chiaro messaggio che la violenza sessuale e di genere non sarà più messa sotto il tappeto. Solo attraverso coraggiose riforme che sfidino le norme esistenti in ambito sociale e di genere, la Tunisia potrà davvero eliminare l’ineguaglianza di genere e proteggere le persone prese di mira a causa del loro orientamento sessuale o della loro identità di genere” – ha sottolineato Boumedouha.

“Le autorità devono inoltre aprire indagini indipendenti e imparziali su tutte le forme di violenza sessuale e di genere e fornire maggiori servizi di sostegno alle vittime” – ha concluso Boumedouha.

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