Scissione del PD. Enrico Rossi: Renzi ha alzato un muro

ROMA – “Anche oggi nei nostri interventi in assemblea c’è stato un ennesimo generoso tentativo unitario.

È purtroppo caduto nel nulla. Abbiamo atteso invano un’assunzione delle questioni politiche che erano state poste, non solo da noi, ma anche in altri interventi di esponenti della maggioranza del partito. La replica finale non è neanche stata fatta. È ormai chiaro che è Renzi ad aver scelto la strada della scissione assumendosi così una responsabilità gravissima”. Con questo comunicato, inviato a circa un’ora dalla chiusura del lavori dell’assemblea nazionale del Partito Democratico che si è svolta ieri all’Hotel Parco dei Principi a Roma, la minoranza dem ha annunciato di fatto la sua uscita dal partito. Una decisione maturata dopo l’ultimo tentativo di mediazione fatto dal governatore della Puglia, Michele Emiliano, che nel pomeriggio aveva chiesto direttamente al segretario di accogliere le richieste di un’assemblea programmatica da svolgersi prima del congresso e il sostegno al governo Gentiloni fino alla fine della legislatura. La giornata era iniziata con la relazione di Matteo Renzi, che ha presentato le sue dimissioni aprendo di fatto la fase congressuale e contingentando quindi i tempi. Il segretario dem non ha risparmiato attacchi alla minoranza, lasciando intendere che non avrebbe ceduto ad ulteriori richieste: “Il Pd deve cercare di restare unito, ma adesso basta con gli scontri perché fuori ci stanno prendendo per matti. Guardiamo la realtà per quello che è, guardiamoci negli occhi rispettandoci, cerchiamo di capire se ci sia lo spazio per immaginare un domani perché Fuori di qui ci stanno prendendo per matti. Non possiamo continuare come questi due mesi”. E ancora: “Ho accettato la proposta di Piero Fassino, ho comunicato formalmente le dimissioni. Il congresso ha dei tempi statutari. La parola scissione è una delle parole più brutte. Peggio c’è solo la parola ricatto. Basta bloccare il partito con i diktat”. 

L’ex premier, che ha più volte fatto riferimento all’assemblea organizzata ieri da Enrico Rossi al Teatro Vittoria di Roma, dove oltre al governatore della Toscana erano intervenuti anche Michele Emiliano e Roberto Speranza, ha poi aggiunto: “Non accetto che ci sia un copyright della parola sinistra. Anche se non canto bandiera rossa e non sventolo la bandiera socialista credo che il Pd abbia un futuro che non è quello che altri immaginano”. Una relazione dura quella di Renzi, ovviamente non apprezzata dai suoi oppositori, che hanno inizialmente affidato la risposta all’intervento di Guglielmo Epifani: “Io avrei chiamato i tre candidati e con loro trovare una soluzione al problema delle regole condivise sul congresso. Perché se la contendibilità non è equa, il congresso nasce con il piede sbagliato. Noi su questo aspettavamo una proposta. Il segretario invece ha inteso tirare dritto sulla sua posizione”. L’ex segretario della CGIL ha poi continuato: è chiaro che per molti si apre una riflessione che poi porterà a una scelta. La parola scissione per me non ha senso, non avendone mai fatta una. Ma per stare dentro il partito ci vuole il rispetto da parte di tutti”.  

Molti gli appelli al dialogo, tra questi quello di Gianni Cuperlo, che ha criticato Renzi per la gestione della crisi interna: “Non sono stato io a non aver riconosciuto il segretario – ha detto l’ex presidente del partito durante il suo intervento – ma chi doveva guidare questa forza a non riconoscere una parte. Chi era alla guida pensava che ogni critica fosse espressione del morto che acchiappava il vivo: non è così. Le parole gufi, slealtà, sono state un momento di umiliazione. Non siamo mai stati davvero fino in fondo un gruppo dirigente, la dialettica è divenuta conflitto”. E per cercare di scongiurare la scissione è tornato in assemblea anche Walter Veltroni, accolto con un’ovazione dai delegati. L’ex segretario ha lanciato un appello all’unità, richiamando i valori fondanti del Partito Democratico: “Dico ai compagni e agli amici che delle loro idee, del loro punto di vista il Pd ha bisogno. La sinistra quando si è divisa ha fatto male a sé e al Paese, questo è stato il demone della sinistra che non può permettersi di essere minoranza per scelta, non ne ha diritto, deve conquistare consensi ampi per la forza, la radicalità e la coerenza della sua proposta e non sarà con la parola d’ordine della rivoluzione socialista che accadrà. Il Pd è nato per fusione, non per separazione. Spero che questa bandiera, questo simbolo, non venga ripiegata e messa in soffitta. Del Pd l’Italia e l’Europa hanno un disperato bisogno. State uniti, ne va del futuro della sinistra”. L’ultima flebile possibilità di sanare le divisioni, si è palesata nel pomeriggio, quando Michele Emiliano ha preso la parola usando toni assai più miti di quelli degli ultimi giorni e chiedendo a Renzi di farsi carico della mediazione: “Serve una guida che abbia la naturale attitudine a tenere insieme cose diverse e ad accettare momenti di maggiore difficolta. Rimanere insieme è alla portata di mano”. E ancora: “Io sto provando a fare quel passo indietro, ma ditemi voi qual’è quel passo indietro che consenta di uscire tutti con l’orgoglio di appartenere a questo partito”. Parole che non hanno trovato risposta perché Matteo Renzi – ormai non più segretario – non ha replicato a chiusura dell’assemblea, scontentando ulteriormente la minoranza che ha annunciato lo strappo. Le prossime ore chiariranno definitivamente cosa accadrà nel Partito Democratico. Domani è infatti convocata la direzione nazionale che a sua volta dovrà eleggere la commissione congressuale. Se i tre candidati alternativi a Renzi non chiederanno rappresentanza in quella sede, la scissione sarà formalmente compiuta. 

– Il quadro sembra comunque in continua evoluzione, sia sul fronte di chi rimane che su quello di chi dovrebbe uscire. E se la posizione di Enrico Rossi appare ormai netta (“Renzi ha alzato un muro e ci ha dato solo bastonate. La scissione è una sua scelta, non ci resta che prenderne atto”), Michele Emiliano continua a lanciare messaggi distensivi chiedendo aperture all’ex segretario: “La porta non è ancora chiusa, questo è chiaro, ma se Matteo non risponde, non apre uno spiraglio, non da un segno di ascolto e di rispetto, non resta nei prossimi giorni che constatare questo atteggiamento e andare via. Se così sarà, è a Renzi che bisogna chiedere perché ha provocato questo”. E nel partito molti metterebbero la firma su una candidatura di Andrea Orlando alla segreteria, un’ipotesi ancora oggi scartata dal guardasigilli che però si dichiara disponibile al passo qualora scongiurasse la scissione: “Non mi pare serva mettere altri candidati alla segreteria in lizza. Se la mia candidatura impedisse la scissione, sarei già candidato. Non ho capito quale sia il problema in questo passaggio”.  

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