Metropoli italiane: un rischio per la salute

ROMA – Cartellino giallo per la salute alle metropoli italiane: i cittadini non se la passano così tanto bene. Lo dimostrano gli indicatori analizzati da Istat in Urbes 2015, il rapporto sul benessere equo e sostenibile nelle città che offre una panoramica multidimensionale dello stato e delle tendenze del benessere nelle realtà urbane. Sotto la lente di ingrandimento sono 14 città metropolitane paragonate a 15 comuni di grandi dimensioni. 

Alcuni risultati del rapporto verranno analizzati oggi al Ministero dello Sviluppo Economico nel corso dell’evento “Sviluppo economico sostenibile e salute dei cittadini” organizzato da FareRete ONLUS, con il patrocinio di Ministero dello Sviluppo Economico, Ministero della salute, Istituto Superiore di Sanità, Agenas, Regione Lazio, Conferenza delle Regioni e delle Provincie Autonome, Anci – Associazione Nazionale Comuni Italiani e Roma Capitale, con la collaborazione di Cities Changing Diabetes, Healthcity Institute e Medi Pragma. Nonostante un trend in miglioramento rispetto al passato, in generale le città, soprattutto quelle metropolitane, sono svantaggiate in termini di mortalità per tumori e demenze senili. Napoli ad esempio, rispetto alla media nazionale che si afferma intorno a 9,1 per 10.000 abitanti, registra un tasso di mortalità per tumori di 10,9 per 10.000 abitanti, Cagliari 9,9 e Venezia 9,7. 

Anche Roma (9,6) risulta sopra la media, mentre Milano (9,1) è in linea con il resto del territorio. D’altro canto la situazione negli altri comuni presi in considerazione nel rapporto risulta più rosea, attestandosi per lo più sotto la media nazionale. Per quanto riguarda la mortalità per demenze senili e malattie del sistema nervoso tra gli anziani hanno la peggio le città metropolitane del Nord, tutte ben al di sopra della media nazionale di 26,2 per 10.000 abitanti. 

Ma le metropoli non riservano solo brutte sorprese. Quelle del Nord sono anche quelle dove si vive più a lungo. La speranza di vita alla nascita in Italia, ai primi posti tra i paesi europei, è di 84,6 anni per le femmine e 79,8 anni per i maschi. Valori della speranza di vita più alti si riscontrano anche a Firenze, Bologna, Bari e Milano, con livelli superiori a 80 anni per i maschi e a 85 per le femmine, più bassi a Napoli, Palermo e Catania – maschi sotto 79 anni e femmine sotto 84 anni. L’indagine rivolta alle maggiori 29 realtà urbane del nostro Paese ha evidenziato diseguaglianze molto forti tra le diverse realtà con una dicotomia tra Centro-Nord e Mezzogiorno che caratterizza non solo l’Italia ma anche il contesto urbano. Questa difformità, unita all’aumento della popolazione urbana che rappresenterà il 70% della popolazione globale e in Italia, dove già il 37% della popolazione risiede nelle 14 città metropolitane, rende evidente la necessità di sviluppare strumenti, come FareRete Citylab, volti a valutare tutte le variabili da tenere in considerazione per stare meglio in città. 

“L’obiettivo principale di FareRete Citylab è quello di offrire e condividere con il decisore, attraverso una piattaforma interdisciplinare e la generazione di nuove conoscenze relative al territorio di studio, elementi ed informazioni utili nella riduzione di costi e sprechi per poter prendere decisioni più consapevoli in merito alla salute e al benessere dei cittadini” spiega Lucio Corsaro, Socio fondatore e membro del consiglio direttivo di FareRete. “Si tratta di un progetto altamente innovativo in quanto prevede l’applicazione di metodologie finora scarsamente, se non affatto sfruttate nel settore pubblico. L’analisi del sistema si svilupperà infatti sia in una direzione qualitativa, partendo dall’osservazione empirica del fenomeno per poi formulare delle ipotesi interpretative, sia di tipo quantitativo, applicando un’analisi del territorio sviluppata a partire da tutti i dati pubblici disponibili”. La realizzazione del progetto prevede il coinvolgimento di molteplici attori: scienziati, responsabili politici, istituzioni sanitarie, rappresentanti della società civile e finanziatori.

“L’aumento a livello globale dell’incidenza di malattie non trasmissibili, quali il diabete e l’obesità, sono da attribuire ai maggiori livelli di inurbamento, evoluzione e innovazione tecnologica, causa di stili di vita più sedentari e di diete non salutari, oltre che favorenti una maggiore aspettativa di vita e conseguentemente l’invecchiamento della popolazione” sostiene Andrea Lenzi, coordinatore dell’Health City Institute e presidente del Comitato Nazionale per la Biosicurezza, le Biotecnologie e le Scienze della Vita della Presidenza del Consiglio dei Ministri. La Città può rappresentare una grande opportunità, grazie all’integrazione tra servizi sanitari, servizi sociali, servizi culturali e ricreativi, contribuendo a garantire il futuro della sostenibilità dei sistemi sanitari nel mondo. 

Per questo l’Health City Institute ha promosso il manifesto “La salute nelle Città: bene comune”, la cui approvazione verrà proposta al Parlamento europeo da parte della delegazione italiana del Comitato delle Regioni, che si propone di offrire alle istituzioni e alle amministrazioni locali spunti di riflessione per guidarle nello studio dei determinanti della salute nei propri contesti urbani e fare leva su di essi per mettere a punto strategie per migliorare gli stili di vita e la salute del cittadino. 

L’obiettivo è quello di rendere le città più “Healthy”, ovvero consce dell’importanza della salute come bene collettivo e che, quindi, mettono in atto politiche chiare per tutelarla e migliorarla, in accordo con l’invito rivolto dall’Oms ai governi ad adoperarsi responsabilmente, attraverso programmi di educazione alla salute, a promuovere uno stile di vita sano e a garantire ai cittadini un alto livello di benessere. In perfetta linea con questa azione, il programma Cities Changing Diabetes, l’iniziativa realizzata in partnership tra University College London (UCL) e il danese Steno Diabetes Center con il contributo di Novo Nordisk che coinvolge Istituzioni nazionali, amministrazioni locali, mondo accademico e terzo settore, con l’obiettivo di evidenziare il legame fra il diabete e le città e promuovere iniziative per salvaguardare la salute dei cittadini e prevenire la malattia. Al programma hanno già aderito Città del Messico, Copenaghen, Houston, Shanghai, Tianjin, Vancouver e Johannesburg, e Roma è la metropoli scelta per il 2017. In queste città i ricercatori elaborano dati e svolgono ricerche per identificare chiaramente lo scenario e capire le aree di vulnerabilità. Inoltre, si cerca di comprendere i bisogni insoddisfatti delle persone con diabete, di identificare le politiche di prevenzione, oltre a comprendere come migliorare la rete di assistenza. In ultima analisi, si vuole individuare e comprendere, tramite case studies, come certi ambienti urbani favoriscano l’insorgenza del diabete di tipo 2 e le sue complicanze. 

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