In Egitto è censura digitale

Un tentativo di eliminare gli ultimi spazi rimasti a disposizione per le voci critiche e la libertà d’espressione: così Amnesty International ha definito l’assalto alla libertà digitale in corso dal 24 maggio in Egitto.  Da quel giorno, secondo l’Associazione per la libertà di pensiero e di espressione, sono stati bloccati almeno 63 siti, 48 dei quali dedicati all’informazione.  

Tra i primi a essere censurati è stato Mada Masr, portale indipendente di qualità noto per le sue analisi profondamente critiche nei confronti del governo egiziano. Il 10 giugno è stato bloccato l’accesso alla piattaforma globale Medium. L’11 giugno è stata la volta del siti Albedaiah, diretto dal giornalista indipendente Khaled al Balshy, Elbadiland Bawabit e Yanair.   

“L’attuale giro di vite nei confronti dei media digitali è un’ulteriore dimostrazione che le vecchie tattiche poliziesche dello stato egiziano sono ancora attuali. Persino nei peggiori momenti della repressione ai tempi di Mubarak le autorità non avevano impedito l’accesso a tutti i portali informativi indipendenti”, ha dichiarato Najia Bounaim, direttrice delle campagne sull’Africa del Nord di Amnesty International.

“Le autorità egiziane sembrano avere nel mirino gli ultimi spazi rimasti a disposizione per la libera espressione. Con quest’ulteriore mossa stanno dimostrando fino a che punto sono pronti ad arrivare per impedire ai cittadini egiziani di accedere a notizie, analisi e opinioni indipendenti sul loro paese. Chiediamo che il blocco sia annullato immediatamente”, ha proseguito Bounaim.

Il 24 maggio, oltre a Mada Masr, sono stati bloccati anche Daily News Egypt, Elborsa e Masr al Arabia. Le autorità non hanno chiarito quali attività illegali stessero svolgendo e non hanno fornito dettagli sulla base legale del provvedimento. In alcune interviste, funzionari del governo hanno fatto generico riferimento al “sostegno al terrorismo” e alla “pubblicazione di notizie false”. 

Il giorno dopo, la stampa egiziana ha citato una “agenzia sovrana” (termine col quale s’indica l’intelligence egiziana) che aveva giustificato i provvedimenti invocando il “contrasto al terrorismo” e accusando – senza fornire alcuna prova – il Qatar di sostenere alcuni dei portali bloccati.

La maggior parte dei blocchi riguarda portali d’informazione ma sono compresi anche siti da cui possono essere scaricati programmi come VPN e TOR. Amnesty International è stata in grado di verificare che solo uno dei siti bloccati era collegato a gruppi che usano o promuovono la violenza.

Molti dei portali bloccati erano diventati un rifugio per quelle voci critiche egiziane che non potevano più andare in televisione o scrivere sui giornali, l’una e le altre finite sotto il rigido controllo statale da quando il presidente Abdel Fattah al-Sisi è salito al potere.

Il portale Mada Masr è stato indomito nel denunciare costantemente le violazioni dei diritti umani, come le detenzioni arbitrarie, i processi iniqui, la repressione contro le Ong, le esecuzioni extragiudiziali e la pena di morte. La sua direttrice, Lina Attallah, ha detto ad Amnesty International di ritenere che il sito sia stato bloccato perché pubblica notizie basate su ricerche approfondite e fonti verificate: “Pubblichiamo quello che le autorità non vogliono che la gente legga”, ha detto.

“Il governo egiziano pare voler sfruttare i recenti attentati compiuti dai gruppi armati per chiudere gli ultimi spazi di libertà e ridurre al silenzio le voci critiche. Ancora una volta, le autorità usano la sicurezza nazionale per praticare una totale repressione”, ha commentato Bounaim.

“Invece di attaccare le voci critiche e indipendenti, l’Egitto dovrebbe rispettare la sua Costituzione e il diritto internazionale che lo obbligano a non imporre limitazioni arbitrarie alla libertà d’espressione e a proteggere il diritto di ogni persona a cercare, ricevere e condividere informazioni”, ha sottolineato Bounaim.

La Costituzione egiziana vieta la censura dei mezzi d’informazione, salvo che in tempo di guerra e di mobilitazione militare, protegge la libertà d’espressione e di stampa tanto in forma cartacea quanto digitale e riconosce il diritto di tutti i cittadini a utilizzare i mezzi e gli strumenti di telecomunicazione.

Le ragioni legali e i poteri sulla base dei quali il governo egiziano ha bloccato i siti sono ambigui e non è chiaro se siano state applicate le leggi ordinarie – che già prevedono la censura per motivi di sicurezza nazionale – o le disposizioni dello stato d’emergenza, dichiarato per tre mesi il 9 aprile a seguito degli attentati contro due chiese a Tanta ed Alessandria. Un’ora dopo gli attentati, le autorità avevano confiscato le copie del quotidiano Albawaba, che aveva chiesto le dimissioni del ministro dell’Interno per non aver saputo impedirli.

Lo stato d’emergenza conferisce al governo ampi poteri di sorveglianza e di censura. Il 10 aprile il presidente del parlamento, Ali Albel’al, ha annunciato che questi poteri avrebbero riguardato anche Twitter, Facebook e YouTube, piattaforme usate a suo dire dai “terroristi” per comunicare tra loro e ha minacciato di procedimenti giudiziari gli autori di reati informatici.

Le vaghe disposizioni della legge anti-terrorismo prevedono condanne fino a 15 anni per i responsabili di siti usati per promuovere “idee terroristiche” e consentono alle autorità di bloccare siti sospettati di promuovere il “terrorismo”.

Due dei siti bloccati, Daily News Egypt ed Elborsa, appartengono alla Business News Company, già munita di licenza governativa. Nel novembre 2016, tuttavia, il governo ha congelato i suoi patrimoni accusandola di legami con la Fratellanza musulmana, senza fornire alcuna prova. Da allora i 230 dipendenti non ricevono lo stipendio.

I rappresentanti di molti dei siti bloccati hanno presentato esposti al Sindacato dei giornalisti, al Consiglio nazionale della stampa, al ministro delle Comunicazioni e alla procura generale senza ricevere finora alcuna risposta. Mada Masr si è rivolto a un tribunale amministrativo ma il suo appello non è stato ancora preso in esame. 

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