Sindrome da fatica cronica, Valentina ha preso il diploma

ROMA – Non è una malattia rara ma come in questi casi la diagnosi è difficile, non ci sono terapie specifiche e sono pochi i centri che se ne occupano
Valentina era una bambina come le altre ma la sua vita è cambiata all’improvviso dopo una malattia comune e diffusa, la mononucleosi. Da allora non è più stata la stessa, per lei svolgere le attività quotidiane è improvvisamente diventato pesante, tremendamente faticoso.

Eppure nonostante questa malattia, a cui solo dopo tanto tempo è stata data la diagnosi di Sindrome da Fatica Cronica (CFS), questa giovane comasca, che ora ha 19 anni, è riuscita a conseguire il diploma. Per lungo tempo Valentina è anche stata costretta alla sedia a rotelle e da sola non riusciva nemmeno a leggere e a scrivere, nonostante questo, tra alte e bassi e seguendo un programma organizzato appositamente per lei – invariato a livello di programmazione, ma ridotto in termini di frequenza a sole 2 o 3 ore al giorno – è riuscita lo stesso a raggiungere l’obiettivo del diploma all’Istituto Professionale per i Servizi Sociali “Gaetano Pessina” di Como, anche grazie alla collaborazione dei servizi sociali, dei medici, en dell’Istituto Pessina, dove il preside Giuseppe Palmucci ha siglato una convenzione per garantire l’istruzione della ragazza.  La sua storia e stata raccontata ieri all’ospedale Sant’Anna di Como, punto di riferimento di primo livello per la cura di questa malattia, dai sanitari coinvolti e da Roberta Ardino, presidente nazionale dell’Amcfs, che si occupa proprio degli affetti da fatica cronica.

Non si tratta dal punto di vista numerico di una malattia classificabile come rara, tuttavia con queste condivide molte caratteristiche che la rendono particolarmente insidiosa come la difficoltà nell’essere riconosciuta e correttamente diagnosticata, la mancanza di terapie specifiche e i pochi centri di riferimento a disposizione dei pazienti. La prevalenza è infatti stimata tra 0,4 e 1 per cento; la sindrome è più comune nelle femmine con una incidenza quattro volte superiore che nei maschi.

I malati sono molti in Italia e ci sono almeno tre associazioni di  pazienti. Una è proprio l’Amcfs, che ha sede a Pavia e che ha referenti regionali, per facilitare il contatto con i pazienti, in Lombardia, Veneto (il referente del Veneto si occupa anche del Trentino e del Friuli Venezia Giulia) e in Campania.

 

A presiederla è proprio la mamma di Valentina.

C’è poi l’Associazione CFS nata ad Udine nel 1991 ad opera del Prof. Umberto Tirelli, Primario della Div. di Oncologia Medica presso il  Centro di Riferimento Oncologico di Aviano, primo in Italia a riscontrare casi di Sindrome da Fatica Cronica e che attualmente è, insieme all’Ospedale SS Annunziata di Chieti, uno dei pochissimi centri diagnostici per la malattia.
In Lombardia, dove i pazienti dovrebbero essere circa una quarantina, un punto di riferimento è certamente al Sant’Anna di Como. 
C’è infine anche una terza onlus che si chiama invece Associazione Italiana Fibromialgia Stanchezza Cronica ed ha sede a Belluno. “La mia vita è cambiata improvvisamente – ha raccontato la 19enne – ma il messaggio che vorrei lanciare è che non bisogna mai lasciarsi andare, si può fare nonostante le difficoltà”.
Della stessa opinione anche la mamma di Valentina, Roberta Ardino, presidente dell’associazione AMCFS onlus: “Abbiamo deciso di parlarne apertamente perché vogliamo dare una speranza ad altri genitori che hanno figli con questi problemi, ma anche a persone adulte affette da questa patologia”.     

La Cfs è una  patologia rara, grave e invalidante, per la quale non esistono cure specifiche, ma solo una terapia sintomatica e palliativa. E’ caratterizzata da stanchezza debilitante, dolori muscolo-scheletrici, mal di gola, mal di testa, difficoltà di memoria e concentrazione. “Per arrivare ad una diagnosi di questo tipo è fondamentale la comunicazione tra medici – ha spiegato il neurologo del San’Anna di Como Franco Di Palma – perché spesso questa malattia viene scambiata per depressione”. “La realtà invece è ben diversa – ha aggiunto il direttore del Dipartimento di Salute Mentale Claudio Cetti – perché il depresso non ha voglia di fare, mentre il malato di Cfs ha una grande voglia di fare, ma non riesce”. Grande soddisfazione per il traguardo raggiunto da Valentina anche per l’infettivologo Luigi Pusterla e lo psicologo Vito Tummino che continuano costantemente a monitorare la sua salute.

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