Venezia 1609. Una banda di rapinatori capitanati da un prete

VENEZIA – Il ladro non entrerà nel regno dei cieli: “Ogni ladro sarà scacciato via di qui”, dal libro del Profeta Zaccaria 5,3. Parole forti che offrono il senso di quale via seguire ma, quando un uomo le infrange commette peccato e quando invece ad infrangerle è un uomo di Dio?

Venezia 1609. Lunedi notte. Sono da poco passate le sette della sera. E’ inverno e siamo precisamente nelle campagne del Veneto, più precisamente a Sambruson, un piccolo paese tra Camponogara e Dolo. Don Vittorio Baroni, governatore della Corte di proprietà del monastero di San Giorgio in Alega, un monastero della laguna veneziana ora scomparso, sta riposando nel suo letto.
Alcuni forti colpi sul portone lo fanno destare dal sonno già di per sé leggero. Fuori la temperatura è rigida e quindi suppone che qualche viandante, in cerca di un posto caldo dove passare la notte, gli chieda aiuto. Ma si sbaglia. Quattro arcigni uomini mascherati con delle barbe finte lo stanno osservando dalla finestra. Sono armati, sono pesantemente armati. Don Vittorio si allontana dalla porta e cerca di scappare ma una palla di archibugio lo sfiora e gli fa capire che la sua è una idea insensata e talmente poco consona da fargli rischiare la pelle. Mentre le urla invadono quella stanza, la porta è stata buttata giù a colpi di fucile. Lui è pietrificato e si inginocchia chiedendo perdono mente questi gli sono subito addosso aggredendolo. Non sono più solo in quattro, forse ora sono dodici o quattordici uomini. Gli legano le mani e gli chiedono dove siano i soldi. -Non lo so –  lasciatemi stare.

Gli arriva il calcio del fucile sul viso e il naso comincia a sanguinare. Gli viene richiesto di mostrargli dove nascondeva i soldi del monastero. Tremante si alza e gli consegna un piccolo scrigno dove dentro ci sono duecento ducati, tutto quello che il monastero in quella tenuta possedeva.
Duecento ducati nel Seicento sono molti soldi, ma non bastano. Due uomini lo prendono e gli legano le mani dietro la schiena. Le corde stringono forte i polsi. Altri quattro uomini incappucciati entrano con due servi del monastero, visibilmente scossi e già percossi. Vengono tutti legati alla sedia.
-Se fate un solo motto vi ammazziamo come cani.
Una frase gelida detta da uno di quegli uomini, forse il capo, ma dietro quelle barbe finte difficile capire di chi si tratti. Ma il tono è chiaro e questo è più che sufficiente per mantenere il silenzio.
Nel frattempo gli uomini mascherati hanno preso anche tutta la biancheria e i drappi che hanno trovato in casa. Sparano altri due colpi di archibugio ed escono, lasciando Don Vittorio e i due servi sanguinanti e legati alle sedie. Un agguato ad un uomo di chiesa non è una cosa da poco. Non si infrange solo la legge del Principe, il Doge ma, si infrangono anche le leggi di Dio e per queste ultime la pena è sempre la morte.

Don Vittorio la mattina successiva descrive l’aggressione violenta che ha subito ad opera di una banda ben organizzata al Podestà di Padova. Poche ore dopo un piccolo drappello di soldati ritornano a Sambruson ed iniziano così le perquisizioni di tutte le case confinanti nonché gli interrogatori di tutti quelli che potevano aver visto o sentito qualcosa. Non ci vuole molto per sapere che a casa di un certo Giovanni Brazente nel paese di Alcorano, oggi conosciuto come Curano, c’era parte della refurtiva. Ma non è solo la velocità con la quale si ottiene l’informazione a stupire e soddisfare il Podestà. La vera notizia è che la refurtiva era stata consegnata dal parroco di quel paesino, Pre Cristoforo Perugino. Il parroco di 33 anni era stato riconosciuto. Forse una leggerezza o forse la tranquillità di farla franca. I soldati senza perdere tempo si dirigono verso la piccola chiesa ma di lui non c’è più traccia. Ma Venezia non è una città dove ci si possa nascondere facilmente, gli spioni sono ovunque, specialmente quando un soldato di Dio ne è il protagonista. Il Podestà di Padova invia il fascicolo al Consiglio dei Dieci, dove tutt’oggi si trova. Il Consiglio ha i suoi uomini ben addestrati e pronti per partire per la caccia.

Siamo ai primi di dicembre. Alcuni soldati del Consiglio dei Dieci si trovano al Ponte dei Fuseri in corte dei Risi. Bussano alla porta della casa di una tale chiamata Chiozzotta, una signora che gestisce un’attività di affittacamere. In una di queste ci sono il prete Cristoforo Perugino e suo fratello Alfiero. I soldati erano andati a colpo sicuro dopo che alcuni barcaioli di Padova avevano riconosciuto Alfiero, noto sicario più volte incriminato dalla Serenissima.

Il 9 dicembre, il Consiglio dei Dieci conferma il carcere per il prete e da ordine all’Avogador di Comun che seguirà il caso di poter usare la tortura contro il prete. Non si sta più cercando solo le prove del grave furto ai danni del monastero di San Giorgio in Alega nella possessione a Sambruson, ci sono prove che metterebbero in correlazione questo prete con alcuni furti violenti avvenuti nella zona di Mira. In particolare un furto al Cavallaro di Bergamo, avvenuto a fine agosto proprio a Mira. Sembra, inoltre, che oltre ad alcuni briganti ci fossero anche dei preti accusati di complicità e che lo stesso prete Cristoforo fosse la mente di questa banda.
Dalle prigioni del palazzo Ducale si odono le urla del prelato torturato. Dopo qualche seduta di corda la lista dei sospetti è completa. Non si perde tempo, la sera stessa i soldati andranno ad arrestare il prete Giovan Marcelli, capellano di Lugo, il prete Mariano Tentorini, Arciprete di Campagna, il prete Olivier Guisi, curato di Paluello ed il prete Alessandro Gnisi, curato di Lughetto. Ma non sono i soli. I soldati cercano anche Giulio Vibi perugino, Giovan da Norsia Grande,  Francesco Padovano Bombardiero e Giovan fiorentino descritto di statura piccola e senza barba.

Passano tre giorni di interrogatori per i preti arrestati ma l’11 vengono rilasciati non avendo prove sufficienti per le gravi accuse.
Il 16 dicembre il Consiglio dei Dieci decreta che il prete Cristoforo Perugino, per essere stato tra i fautori di queste rapine, venga giustiziato a San Marco.
Una fredda mattina del 19 dicembre del 1609 una piccola folla si trova tra le due colonne di San Marco. Il prete osserva la torre dell’Orologio mentre il boia gli infila il cappio al collo. Un urlo della folla pochi minuti dopo decreterà la fine della vita di uno strano brigante che prima di diventarlo era stato solo un soldato di Dio.

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