Migranti e profughi nell’Ue: un appello alle Nazioni Unite e all’Unione europea

Ecco il testo della lettera

 

All’attenzione di:

  • António Guterres, Alto Commissario delle Nazioni Unite per i Rifugiati
  • Navanethem Pillay, Alto Commissario delle Nazioni Unite per i Diritti Umani
  • Thomas Hammarberg, commissario per i diritti umani del Consiglio d’Europa

Il gruppo di intervento denominato RABIT (Rapid Border Intervention Team) fa parte di Frontex, l’agenzia per il controllo delle frontiere esterne dell’Unione europea. Da tempo le organizzazioni per i diritti umani e i migranti africani segnalano abusi da parte degli agenti di tale organismo di intervento, che trasferiscono migranti e richiedenti asilo presso i centri di espulsione in Grecia, dove subiscono trattamenti inumani e degradanti e sono detenuti in condizioni inaccettabili. E’ una violazione della Dichiarazione Universale dei Diritti dell’Uomo, della Carta dei Diritti di Nizza, della Convenzione di Ginevra e della legislazione internazionale che vieta la tortura nonché i maltrattamenti fisici e psichici.
Il gruppo RABIT collabora con la Grecia controllando i flussi di migranti dalla Turchia. Human Rights Watch ha denunciato la vicenda di 65 richiedenti asilo trasferiti nel 2011nei centri di detenzione greci. Fra di loro, molti bambini, costretti a subire per mesi il sovraffollamento, l’igiene inesistente, la promiscuità e il pessimo trattamento. Frontex afferma che la responsabilità delle condizioni di vita nei centri è del governo greco, ma si deve parlare invece di corresponsabilità. L’attività di Frontex ha condotto al respingimento di oltre seimila profughi dall’Africa nell’ultimo anno.

Il Gruppo EveryOne e altre ong per i diritti dei migranti hanno raccolto testimonianze di profughi con diritto all’asilo bloccati dalle autorità tunisine e libiche, in ossequio ad accordi stipulati con il governo italiano.

Si segnalano inoltre respingimenti in alto mare, minacce rivolte ai barconi pieni di profughi in fuga da tragedie umanitarie, mancate assistenze.

Proprio qualche giorno fa, il Ministro dell’Interno italiano, Roberto Maroni, ha definito il porto di Lampedusa come “non sicuro”, impedendo ai profughi di sbarcarvi e detenendoli a bordo di navi, in attesa di trasferirli verso altri approdi. Save The Children, l’Organizzazione Internazionale delle Migrazioni (IMO) e altre ong hanno protestato contro una misura che indebolisce il soccorso dei migranti in mare e il rispetto del diritto alla protezione internazionale.

Molti migranti che sono caduti nelle mani dei trafficanti in Libia e nel Sinai egiziano o che si trovano nelle carceri di quei paesi in attesa di deportazione provengono da respingimenti in mare. Fra di loro vi sono bambini, donne incinte e malati. Molti altri, deportati dall’Italia, sono precipitati in situazioni di persecuzione. Si segnala che nessuno, attualmente, si occupa di monitorare il destino a cui vanno incontro i migranti deportati nei paesi di provenienza. Tale monitoraggio sarebbe il solo metodo efficace per rendersi conto dell’equità del sistema di accoglienza in Europa e delle decisioni nei confronti di chi non riceve asilo né protezione.

E’ importante che le istituzioni e le autorità che decidono il destino dei profughi si rendano conto di come le leggi in alcuni paesi tutelano i diritti umani de jure ma non de facto.

Eì altrettanto importante che si rendano conto di come gli individui più vulnerabili vadano incontro, dopo la deportazione, a persecuzione, violenze o finiscano in mano a trafficanti oppure sul mercato nero degli organi.

Nei centri di espulsione italiani i migranti sono regolarmente sottoposti a trattamenti inumani e degradanti e vivono in condizioni inaccettabili per lunghissimi periodi, fino a 18 mesi.

Coloro che hanno ricevuto asilo o protezione internazionale vivono in strutture inadeguate, con un contributo ridicolo di 2.50 euro al giorno e nessun documento che certifichi il loro status,  sottoposti a continui controlli polizieschi. 

Nei piccoli centri, come San Lupo (provincia di Benevento), è anche peggio. In quella cittadina, 35 migranti sunsahariani rientrano un programma europeo di integrazione, ma nonostante ingenti fondi del Consiglio d’Europa, vivono come mendicanti, abbandonati a se stessi.

L’Alto Commissario ONU per i Rifugiati è al corrente da tempo di queste atroci violazioni e svolge un missione difficile e preziosa per salvare vite umane ed evitare drammi umanitari. E’ importante che la società civile protesti contro la persecuzione e le ingiuste deportazioni che colpiscono i migranti da paesi in crisi umanitaria. E’ importante che tutti i migranti abbianmo l’opportunità – riconosciuta dalla Convenzione di Ginevra – di presentare domanda di asilo o protezione internazionale. E’ fondamentale che vengano attivati strumenti per monitorare che cosa accade ai migranti respinti dalla Commissioni, dalle corti e dalle autorità. E’ vitale per la civiltà fermare la morìa di migranti in mare e in seguito a respingimenti e deportazioni, ma anche evitare maltrattamenti, torture e detenzioni intollerabili nei centri per migranti. Con grande preoccupazione, ma anche con fiducia il Gruppo EveryOne si appella all’Alto Commissario Onu per i Rifugiati, all’Alto Commissario Onu per i Diritti Umani, al Commissario europeo per i Diritti Umani affinché alzino le loro voci contro tali odiosi abusi contro esseri umani assai fragili e mettano in atto strumenti adeguati a proteggerli in futuro.

Per International Commission on Eritrean Refugees (ICER), il presidente Yebio Woldemariam
Per il Gruppo EveryOne, i co-presidenti Roberto Malini, Matteo Pegoraro, Dario Picciau

ICER
international Commission on Eritrean Refugees (ICER)
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EveryOne Group

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