Erika, Omar sfingi impenetrabili

ROMA – Per Erika De Nardo termina oggi il periodo di detenzione.  Il 21 febbraio 2001 la ragazza, allora sedicenne, uccise insieme al fidanzatino Omar Favaro, la madre e il fratello Gianluca di 11 anni.

L’efferatezza del delitto fece capire subito agli inquirenti che il movente non poteva essere un tentativo di furto da parte di extracomunitari come aveva denunciato Erika: non si uccide un bambino e una donna con 96 coltellate se si vuole rubare.Infatti i carabinieri accertarono che era stata proprio lei a massacrarli a coltellate, insieme a Omar. I due vengono subito arrestati e il 9 aprile 2003 la Cassazione rende definitive le condanne: 16 anni a Erika e 14 anni a Omar.

Il 3 marzo 2003 Omar Favaro è uscito di carcere, e da oggi Erika è in libertà.

“Chiedo di lasciare in pace Erika ed ognuno di noi. Chiedo il silenzio su Erika”. Questa è la richiesta che don Antonio Mazzi, dalla comunità Exodus dove la ragazza è entrata il 5 ottobre scorso per scontare gli ultimi due mesi di detenzione. Questa è la preghiera del prete dopo ai i mezzi di comunicazione dopo lo scalpore mediatico dovuto alle ultime gesta dei due ragazzi: Omar si era fatto fotografare durante una sua visita al cimitero di Novi Ligure vicino alle tombe del fratello e della madre di Erika, che aveva assassinato crudelmente, ed era stato ospite della trasmissione Matrix in atteggiamento rilassato e sorridente.
Questo suo mostrarsi aveva fatto molto arrabbiare Erika che ha risposto a queste provocazioni fuori luogo con una lettera a mezzo stampa: “Hai reso un sacco di dichiarazioni false ma non mi stupisce da un vile come te, ma recarti al cimitero e farti fotografare è una cosa da indegno, quale tu sei. Ti chiedo per l’ultima volta di smetterla di speculare sulla mia famiglia, di certo così non trovi lavoro sempre che tu non voglia fare il Grande Fratello…”.
Come si può notare da queste ultime vicende i due ragazzi non stanno certo dando segni di equilibrio mentale. Se fossero guariti si renderebbero conto della mostruosità del loro gesto e non cercherebbero la celebrità con foto e messaggi a giornali. Inoltre avrebbero un atteggiamento più congruo alla loro storia passata.

Evidentemente non è così anche perché hanno scontato una condanna come se nel momento del delitto fossero in grado di intendere e di volere, e quindi la condizione sine qua non per uscire da uno stato di isolamento sociale non è stata la guarigione psichica, ma il loro comportamento all’interno del carcere. Infatti entrambi sono usciti prima del tempo della pena loro ascritta per buona condotta.
Facendo un passo indietro di quasi undici anni ci si trova di fronte ad un massacro che solo dei malati di mente gravissimi potevano eseguire. Se c’è un movente questo segue una logica razionale. Erika disse che si voleva liberare dei genitori e del fratello per essere libera e persuase il fidanzato ad aiutarla. Avrebbe ammazzato anche il padre. Egli si salvò solo casualmente. Ma perché infierire con 96 coltellate sul corpo dei due familiari? Che logica c’è? E poi come poteva pensare che la morte dell’intera famiglia potesse darle quella libertà alla quale disse di aspirare?.
Detto questo si può affermare che Erika aveva una pazzia simile ad Anders Behering Breivik, che come lei aveva un comportamento che non lasciva certo trasparire ciò che avrebbe compiuto. Anche ora afferma di essere sano di mente come se una persona sana di mente possa fare una strage o dare 96 coltellate a madre e fratellino.
E perché in carcere non è stata curata? La risposta è semplice: non è stata curata perché non è stata riconosciuta come malata di mente. “Erika resterà presso la nostra comunità – ha detto ai giornalisti don Mazzi che ha preso a cuore la sorte della ragazza – Continuerà a lavorare nel volontariato. Credo che passerà il Natale con il padre ma poi tornerà da noi…”. Tutto normale, Natale in ‘famiglia’, poi il lavoro… tutto normale.
In questo gioco delle parti sembra che l’unico ad aver capito il dramma sia il padre di Erika, il quale, eroso dai sensi di colpa per non aver intuito, allora, a causa della propria anaffettività, la vera natura di sua figlia, non l’ha mai abbandonata.

Certo è poco probabile che un sacerdote, don Mazzi,  che era solito frequentare allegramente salotti televisivi, e che ha denunciato di aver saputo della violenza subita da un tossicodipendente da parte di Don Gelmini solo quattordici anni dopo esserne venuto a conoscenza, possa esercitare una qualsiasi forma di terapia sulla ragazza. In secondo luogo sicuramente per don Mazzi, come per molti giornalisti, questa tragedia è stata provocata dal “male assoluto” alias i demonio.

Intanto Erika e Omar ‘confortati’ da persone che con le loro credenze e con la loro negazione della malattia mentale rendono congrua la loro pazzia, continueranno ad annaspare nel buio e ad essere per gli altri delle sfingi impenetrabili che non lasciano trasparire la loro vera realtà psichica.
Erika si è laureata in filosofia con trenta e lode con una tesi dal titolo “Socrate e la ricerca della verità negli scritti platonici”. Certamente da tali insegnamenti non ne trarrà certo un beneficio, visto che Platone, tanto onorato tutt’ora dai cultori della filosofia, proponeva la pedofilia come prassi di insegnamento. E certamente questa non è una verità.
La ragazza di Novi Ligure che undici anni fa massacrò con 96 coltellate la madre e il fratellino dovrà cercarla altrove la verità sulla sua malattia. Dovrà capire che la parola verità all’inizio del pensiero occidentale si chiamava aletheia che significa ‘non nascondimento’  ed anche ‘disvelamento” ed Erika dovrà svelare la propria realtà umana ad uno psicoterapeuta capace se vorrà guarire.

Condividi sui social

Articoli correlati

Università

Poesia

Note fuori le righe