Come gestire i fondi per l’integrazione

ROMA –  I cospicui fondi sociali – anche e soprattuttto quelli europei – destinati all’integrazione e all’assistenza delle categorie etniche e sociali escluse e svantaggiate dovrebbero essere erogati alla rete di servizi sociali esistente sul territorio nazionale, la sola struttura in grado di identificare le situazioni in cui è necessario pianificare interventi di urgenza o definitivi.

I mediatori interculturali dovrebbero essere impiegati a stretto contatto con tale rete: in questo modo si eviterebbero i problemi e le inefficienze derivanti dalle evidenti scollature fra istituzioni e comparti deboli ed emarginati.  Alle associazioni (che non sono in grado di monitorare la presenza di minoranze senza fissa dimora su ampie porzioni di territorio né di operare scientificamente) dovrebbe essere riconosciuto, non in base a privilegi, ma alla Convenzione Onu sui Difensori dei Diritti Umani, un ruolo di controllo sul corretto ed efficace impiego delle risorse sociali destinate all’inclusione. Tale funzione definirebbe in modo trasparente il supporto dell’associazionismo riguardo alle emergenze dell’esclusione sociale e dell’indigenza dovuta a discriminazione. Rendere efficiente la struttura di intervento urgente e creare situazioni di impresa e di lavoro per le categorie escluse e svantaggiate, anziché erogare milioni di euro all’associazionismo, che – è assodato da tanti anni – spreca o gestisce impropriamente i fondi per l’integrazione e l’emancipazione delle minoranze – è la sola via diritta verso l’uguaglianza sociale e la lotta alle povertà. Un principio guida, inoltre, dovrebbe essere chiaro a tutti: i fondi per l’integrazione e il sostegno sociale vanno impiegati solo in tali progetti, senza essere assotigliati o azzerati da spese per mantenere in piedi le associazioni, meeting e convention, iniziative culturali, pubblicazioni, viaggi. L’Unione europea, lo Stato italiano e le amministrazioni locali dispongono di fondi precisi riguardo a tali iniziative, che in nessun caso devono togliere risorse ai destinatari di progetti finalizzati a risolvere emergenze umanitarie.

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