Cronaca dal passato. Magia e veleni a San Francesco della Vigna di Venezia

VENEZIA – Spesso si è affermato che la Serenissima ebbe un diretto controllo sullo Stato Pontificio e sopratutto sul Santo Uffizio. Ma quando qualcosa accadeva all’interno del clero anche Venezia non si intrometteva e lasciava che se la sbrigassero tra di loro. Questo processo rivela le trame occulte che anche in un piccolo ordine, come quello francescano, potevano nascere.

3 luglio 1663. Padova. Nei presi della chiesa di Santa Giustina oltre una quindicina di uomini armati stanno aspettando un gesto da un uomo autorevole. Quell’uomo è il capitano Michielini del Santo Uffizio di Venezia ed in veste di assistente del procuratore Pisano, sta attendendo anche lui. Cosa aspetta? Aspetta il suo informatore, lo stesso che gli aveva riferito che nel monastero alla cella numero 76 si trovava tale frate Cherubino e di fronte alla cella numero 2, invece, si trovava il prete Giovan Battista. Su entrambi pendeva un ordine di cattura da parte del Sant’Uffizio di Venezia. Mentre il capitano osserva attentamente il portone del monastero, alcuni dei suoi uomini si erano diretti in gondola dentro la cavana del monastero stesso. Il prete ed il frate non dovevano fuggire. Ad un certo punto ecco giungere un uomo vestito con il classico saio e dirigersi verso il capitano. Dalla faccia e dai gesti si capisce che qualcosa è andato storto. L’informatore gli ha appena comunicato che di frate Cherubino e del prete Giovan Battista non c’è più traccia nel monastero.
Ma chi erano questi due ricercati? Perchè oltre venti soldati per arrestarli?

La storia era iniziata l’anno precedente, nel mese di ottobre, quando i due inquisiti erano stati denunciati per malefici e stregonerie. La denuncia era stata diretta al Santo Ufficio di Vicenza che l’aveva rigirata a quello di Venezia.
Sembrava che quella denuncia non fosse del tutto accreditata ma agli inizi del 1663, sempre ad ottobre, capitò un altra missiva diretta al Santo Ufficio e le cose cambiarono a tal punto da decretare  il 28 giugno l’ordine di cattura. Cosa era cambiato in quell’ultimo anno ? E quali erano le accuse precise?
L’accusa era alquanto pesante e non era limitata alla stregoneria, in realtà sembrava che Pre’ Gasparo, frate Murano e frate Clemente nello spazio di un solo anno, fossero morti di morte violenta, forse generata da veleni. I primi due erano deceduti a Verona ed il terzo a Venezia. Di fatto girava anche una denuncia alla temibile magistrature del Consigli dei Dieci, denuncia però che il magistrato di turno non aveva preso seriamente o almeno non tanto quanto il Santo Uffizio.

Il testimone chiave ascoltato il 19 giugno 1663 era il Vicario dell’Isola della Scala, tale Pre Francesco Thoma Magro. Secondo il Vicario un giorno si era ritrovato in un camera con Pre Cherubino e gli aveva chiesto se voleva far ingerire un veleno a tale Pre Clemente da Verona, un loro nemico in comune, il Vicario ne era rimasto fuori. Si ricordava invece con più precisione che a Natale del 1659 si trovava a Padova per alcuni sui affari e li incontrò Pre’ Cherubino il quale gli mostro due ampolle “longhe mezo deto” di vetro nelle quali vi era dell’acqua chiara. Pre’ Cherubino in quella occasione  gli disse che di quella mistura ne aveva riempito la “panza” del pre’ Gasparo di Venezia frate minore, e che se voleva ne poteva dare lui a quel prete Clemente. Ancora una volta il Vicario, però, aveva rifiutato. Tempo dopo rinnovò la proposta dicendogli che poteva scegliere se avvelenare pre’ Domenico da Murano o pre’ Angelico da Castiglione dicendogli che loro avevano già procurato la morte di Pre Gasparo da Murano grazie ad una strega, di Venezia o Padova non si ricordava. Il vicario aggiunse anche che a prè Cherubino gli era apparso il demonio in forma di cane nero il quale lo assisteva nelle sue azioni.
Il Sant’Uffizio non aveva messo in discussione quanto sentito ed iniziò ad indagare. Non ci volle molto per trovare la strega che aveva aiutato i due frati.
Si chiamava Anna detta la turchetta, aveva 30 anni, era nata turca fatta cristiana, maritata a Padova, statura ordinaria mora in faccia d’aspetto fiero e bello, capelli neri.
Era nata a Corfù e fu portata a Padova dove restò fino ai 12 anni a Santa Croce, al Santo e all’Agnus Dei, dopo la morte della madre ripartì da Padova ed andò a Vicenza. Si maritò a 13 anni con Michel Rizzi da Volpin da Lunigo con il quale rimase soli sei mesi, poi lui andò in galera e li mori lasciandola vedova. Una bella vedova mora, un soggetto perfetto da accusare di stregoneria.
Un altro testimone, fra Leone da Ostiglia de Cuchi, minore osservante di 35 anni sacerdote predicatore, sapeva anche come il Cherubino e la Turchetta si erano conosciuti. Sul finire del 1658 si trovava a Padova dove era sacrestanoo anche Pre Cherubino. Una mattina l’aveva portato a casa di una certa Oliva stimata ruffiana padovana di circa 50 anni che viveva nella contrada dell’Agnus Dei. Fu lei a presentare la Turchetta che in quel momento viveva di fronte alla monache di San Mattia passata la piazza della Paia.   Fra Leone sosteneva che il Cherubino era andato da lei circa una decina di volte perchè voleva eliminare prete Gasparo. Fra Leone aveva anche assistito ad uno di questi incontri, ricordava bene che nella stanza bolliva una pentola e nei pressi c’era una statua di cera gialla alta un palmo, di forma umana, frate Cherubino l’aveva battezzata con l’acqua di sette fonti. Man mano che si avvicinava la statua al foro dell’acqua che bolliva, la strega ripeteva che la statua si sarebbe corrosa come il corpo della vittima. Poi la Turchetta aveva preso due capponi spelacchiati dicendogli che il giorno seguente li avrebbe decapitati e sepolti in luogo sacro dove sarebbero resuscitati. Poteva essere attendibile una simile dichiarazione? Per il nunzio apostolico ed il Patriarca di Venezia sembrava di si.
Quindici giorni dopo il primo tentativo di arrestarli, i soldati si presentarono al monastero di San Francesco della Vigna di Venezia. Ma secondo alcune indiscrezioni sembrava che i due fuggiaschi si trovassero dal patriarca di Aquileia. Quando i soldati se ne furono andati, il laico del monastero di San Francesco della vigna, Fra’ Marino da Muriano, di 73 anni vide che alcuni frati portarono una cesta piena di scritture e appresso alla porta della cavana gli diedero fuoco bruciandone il contenuto. Cosa c’era di tanto pericoloso da proteggere con il fuoco ? Non si sa.

Bisognerà aspettare oltre un anno, precisamente il 25 maggio del 1664 per riuscire ad arrestare i due fuggiaschi. Dopo una lunga indagine si identificò in una casa a Venezia, nei pressi della chiesa di Sant’Alvise, il rifugio dei due frati. Alle sei alcuni soldati li arrestarono e li condussero nelle prigioni del Sant’Uffizio. Ma le testimonianze potevano riportare la verità o solo un punto di vista? Alcuni testimoni descrivono una situazione del tutto diversa. I frati di San Francesco minori osservanti del priorato di Venezia sostenevano pubblicamente che il padre Teodoro di Vicenza e Livio di Mont’Orto con i suoi fautori avessero congiurato contro Giovan Battista di Este e Cherubino da Venezia querelandoli al Consiglio dei Dieci per imputazioni di veleni. Non avendo avuto riscontro li denunciarono al Sant’Uffizio per incantesimi e stregonerie. Il movente era da ricercare nel potere che avrebbero assunto se quei personaggi scomodi fossero stati tolti di mezzo.  
C’era anche un testimone che affermava che prete Enrico, ritornato a San Francesco della Vigna l’anno 1662, fosse stato preso in disparte nell’infermeria dai mandanti del complotto e gli venne detto: “vedete cosa guadagniate a star con questi preti Este e Cherubino, se volete star con noi, e trattar da galant’homo, concorrendo a tribunali, haverano occasione di sospirare e sollevati noi altri, non haverete, che desiderare, e vi saremo amici”.

Sempre nel 1662 nella cella di padre Bartolomeo Rosa poco dopo la congregazione di Padova, padre Enrico e padre Rosa parlarono assieme e furono sentiti dire: “Bisogna trovare le maniere per rovinare l’Este e Cherubino altrimenti saremo sempre schiavi”, Enrico rispose “bisogna mettere assieme qualche altra cosa che se quella dei cai del Consiglio de X non fa effetto, possiamo lordarli per altra strada. Habbiamo il Burchiello, Leone, Zocchetti, Livio, Lendinara, et altri disgustati di loro, che faranno di tutto e diranno a nostro modo”.
Anche le tre presunte vittime non erano morte nello stesso anno, dopo una accurata ricerca risultava, infatti, che Gasparo di Venezia mori l’anno 1659, il 20 di settembre, pre’ Domenico di Murano nel dicembre del 1661 e padre Clemente di Verona l’anno 1662 nel mese di febbraio.
Ma c’è di più. Sembrava che uno degli accusatori dei due frati, tale padre Marc’Antonio nel 1648 mentre stazionava alla Motta ed era guardiano il padre Cherubino, venne trovato da quest’ultimo chiuso in camera con un chierico, che stavano mangiando. Cherubino le riprese in quanto era severamente proibito che i chierici andassero nelle camere dei sacerdoti. Marc’Antonio gli aveva risposto e fu per quello schiaffeggiato pubblicamente. Il 6 giugno il processo è rimesso all’ufficio di Padova e di loro si perdono le tracce.
Che fine fecero Giovan Battista, il frate Cherubino e la Turchetta ? Di loro purtroppo la documentazione non ci riporta altro, forse furono scarcerati o forse fecero qualche anno nelle prigioni padovane, di sicuro il quadro descritto dipinge un intreccio di congiure e di persone disposte a tutto per ottenere il potere anche nel mondo del clero di Venezia.

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