Capitolo 9. Ascella, l’uomo del bitume che ha incontrato la gentilezza

 

Un uomo dal viso di bambino eternamente imbronciato. Qualche pelo, lungo, sulle gote, la carnagione scura, la frangia che copre tutta la fronte. E’ grasso, molto grasso, e indossa un completo Michelin, pantaloni, maglia e giubbotto. Ha nella mano destra un panino con la mortadella e nella sinistra la pompa della benzina che contrasta con la luce di un anello di notevoli dimensioni, portato con orgoglio all’anulare. Il suo distributore ha il marchio Shell, da cui deriva il soprannome.

– Buongiorno Capo!

– Buongiono Ascè!

– Quanto?

– Venti euri!

– Oh, vota Delemberte, me raccomanno!

– E chi è?

– N’amico, n’amico.

– E vabbè!

E così, cliente dopo cliente.

– Buongiorno Cico! Vado di pieno?

– Sì, riempimi ‘sta lambretta!

– Ricordate de votà Delemberte, il poeta!

– E come no!

Le ore di punta di un benzinaio coincidono col traffico, ma sono le più veloci a scorrere. Il lavoro inizia la mattina alle 6.00, quando i bengalesi lo salutano, lo ringraziano per le mance guadagnate durante la nottata e si apre il gabbiotto. Dalle 7.00 alle 9.00 si susseguono impiegati e genitori che accompagnano i propri figli a scuola. Poi i negozianti e gli addetti alle vendite. Poi il vuoto, fino al traffico del rientro per il pranzo. Nel pomeriggio stessa storia, alle 18.00 chi rientra dall’ufficio, poco più tardi chi ha anticipato la chiusura delle botteghe.

Ascella è già sceso in campo per sostenere Delemberte.

– Guarda, mo’ te spiego er programma de Maurice. Lui dice che tradurre quarcosa è sminuilla. Allora te lo dico de pancia, coe parole mie, come me sò arrivate. Pò esse che non c’entrano niente co’ quelle sue, ma lui va dicendo ch’è mejo. Che hanno senso er doppio, ch’hanno proliferato.

– Sì t’ascorto, però intanto famme er cambio dell’olio…

– E’ come se vivessimo in un mondo de merda ma nun ce n’accorgessimo. Famo n’esempio: io lavoro ‘na cifra e nun me posso lamentà. Ma perché? C’ho l’arretrati dee bollette da spiccià, qui nun arrivo a mille euro de utili a fine mese e in più ‘no stronzo m’è pure venuto a batte er pizzo. Nun me posso lamentà perché lavoro e perché in questo momento de crisi il lavoro è l’obbiettivo. Ma se io m’accorgessi che ‘sta parola è na trappola, che la parola lavoro è ‘na condanna… Se te dicessi che er lavoro pe’ me è quarcosa de diverso da questo?

– Te direi embhé?

– Vedi, io c’ho n’idea, quella de nun diventà ‘na bestia. Mentre ‘n po’ na bestia ce so già. 

– Ascella ‘o sapemo tutti che sei ‘n porco!

– E no, qua te sbaji! Ho le mani sporche de grasso, l’alito che sa de tabacco e i vestiti che puzzano de petrolio, ma io sò diverso. Sò diverso dentro. 

– Che me voi dì, che sei raffinato?

– Raffinato no, ma manco benzinaio dentro casa.

– Ma che c’entra Delemberte?

– Prima de lui nun c’avevo mai pensato, sta parola, “lavoro”, m’ha dipinto addosso un personaggio de merda. M’ha reso parte de sta pompa. Le parolo so’ pietre, Pippo mio!

– E allora?

– La rivoluzione parte da qua. Er mio è ‘n lavoro de merda, ma io so’ diverso. Non sono il mio lavoro. Io so’ quello che te sorride quanno arrivi, che dopo che t’ha cambiato l’olio te lava er parabrezza. So’ quello che te chiede ‘ndo stai annà. Che te vede colle dita dentro er naso mentre te rifornisco. Che se subisce i tuoi nervosismi, la tua fretta. Che te vede fischiettà quanno te l’hanno data. Io te conosco, ma tu me sfuggi, nun me caghi. Ho capito che er lavoro nun è tutto e pe’ fallo ho dovuto combattela sta parola, l’ho dovuta… te lo dove propo dì alla Delemberte… de-po-ten-zia-re. Stà parola me’n grifa! O sai che c’è? Mo ‘a sera si te becco t’offro ‘na biretta e se famo ‘na chiacchierata. Sì trovo er tempo nun me sbrago sur divano, arzo er telefono e chiamo quarcuno. E si c’ho problemi ne parlo, perché so n’essere umano. No ‘na bestia.

– Vabbeh, famme n’artro esempio.

– Come me chiamo io?

– Ascella. 

– E perché? Perché quarcuno ha pensato bene de identificamme co’ sto posto e siccome è ‘n posto de merda m’ha voluto pure prenne per culo. E come te chiami te?

– Gianfilippo, Pippo.

– Sì e te sei chiesto perché tutti te chiamano Pippo, no Gianfilippo?

– Perché è un diminutivo.

– Diminutivo de ‘sta minchia. Te chiamamo Pippo perché sei de Primavalle e non dei Parioli. Te chiamo Pippo perché sinno eri frocio. E quarcuno te chiama Pippo perché pippi. N’somma io ho sfiga, tu ‘nvece forse co’ ‘sto nome te ce identifchi pure.

– Bho, ma poi sto Delemberte, ma nun è arrivato solo ieri?

– Ma che voi dì?

– Te me parli de’n programma, ma quanno te l’ha spiegato sto programma?

Ascella entra nel gabbiotto e tira fuori una copia di “Piccioni e Farfalle fanno la rivoluzione”.

– Sta scritto qua, a ‘gnorante!

Nel frattempo avvita il tappo dell’olio e sbatte il cofano, poi gli porge il testo:

– Leggitelo tutto che te fa cresce l’uccello!

Un ragazzino, detto Er Nutria, s’affaccia alla pompa e grida:

– Taxi!

– Cazzo è lei, bella Pippo, do’ devi annà a mangià a pranzo?

– Da nessuna parte. 

– Allora vie’ co’ me. Prendo la macchina, chiudo sta pompa e se divertimo. Tu affianchi quer taxi da destra, io da sinistra. Poi te tiro ‘n telo, te l’afferri e lo blocchi chiudendolo nel finestrino.

– Ma sei scemo?

– Fidate!

I due partono sfrecciando, si accostano al taxi, uno camminando con due ruote sul marciapiede, l’altro invadendo l’altra corsia contromano. Nel taxi c’è Magdaleine. Lei è spaventata, i due la salutano, lei inizia a piangere.

Ascella si allunga sul lato destro, guidando per un istante alla cieca e tenendo il volante con una mano sola. Ha avvolto un sasso all’angolo del telone, lo lancia a palombella dal finestrino. Il tassista suda freddo, pensa che sarà rapinato. Dall’altro lato Pippo afferra la presa, alza il finestrino.

I due accelerano e superano il tassista.

Magdaleine grida: 

– Faccia qualcosa, si fermi, vada in retromarcia! Chiami la polizia!

Il telo si alza in cielo, si rovescia sorretto dal vento. E’ un telo bianco e si legge, scritto con una grafia fiorentina:

“Fragili ali e notti insonni. Lotto perché in un mondo di merda una farfalla ci sia!”  

Magdaleine interrompe la sua agonia e, aprendosi in un sorriso, sospira rasserenata:

– Ancora una volta Antonine!

Il tassista è spiazzato:

– Cosa cazzo devo fare?

– Fermi la macchina e chieda a questi due chi diamine sono…

– Ma lei è più strana di loro!

Il tassista suona il clacson a tutto spiano, Ascella e Pippo mettono le quattro frecce e poi si fermano. Anche il taxi è costretto a inchiodare. Ascella esce dalla sua Bmw del 1985 e si dirige verso la macchina che ospita Magdaleine:

– Scommetto che siete diretti all’ultima pompa prima della Boccea…

Il tassista:

– Non sono affari che la riguardano.

– A Mezzacorsa! Se vede che sei de Monteverde, nun fa’ il fichetto scandalizzato! Qua c’è ‘na bella signora e nun je posso mica permette d’annà alla concorrenza.

Poi si affaccia verso l’interno, verso Magdaleine:

– Signora, io so ‘n benzinaio, sarga sul mio Bmw che l’accompagno diretto da su’ marito, lei alla pompa prima de Bastoggi nun ce deve mette piede. Er privilegio de dì che er primo c’ha incontrato a Primavalle a puzzà de petrolio è er sottoscritto moo deve da concede, oppure sbajo?

Magdaleine non ha paura, paga il tassista sbigottito, prende la sua valigia e senza aprire bocca si accomoda nella vettura di Ascella. Lui gongola nel silenzio e accelera scortato dall’auto dell’amico verso Bastoggi. Passa da una stradina nascosta, allungando per Battistini e poi immettendosi sulla Boccea. Da lì vola per Bastoggi Due, cerca di distrarre la signora indicandole tutti i santini che ha attaccato sul suo cruscotto. Accede al Bronx da dietro. Un po’ per i postumi di quel che era accaduto prima, un po’ per il forte odore di petrolio che stagna nella Bmw e che trasuda dagli abiti di Ascella, Magdaleine si accorge di essere arrivata davanti alla mensa di Amadou senza aver visto ciò che c’è di brutto attorno. E’ come se riprendesse i sensi quando il polentaro grida:

– C’è Magdaleine e daje collo stereo!

Allora le bimbe con le treccine spingono il tasto play di una radio cinese collegata a delle casse alte un metro:

– Una mattina mi son svegliato…

E tutta la tavolata:

– A bella ciao, a bella ciao…

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P.S.

E’ possibile visualizzare e sfogliare l’ebook provvisorio di Piccioni e Farfalle:  HYPERLINK “http://issuu.com/poetadelnulla/docs/ebookprovvisorio/1http://issuu.com/poetadelnulla/docs/ebookprovvisorio/1

Ed è possibile anche scaricarlo gratis direttamente in Pdf:  HYPERLINK “https://app.box.com/s/f0dllqmqr8iu35zwice5https://app.box.com/s/f0dllqmqr8iu35zwice5

 

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