Capitolo 12. Radio Primavalle: ora in onda la tua vita

FOTO DI ALESSANDRO SCHIARITI

FOTO DI ALESSANDRO SCHIARITI

 

– Buongiorno, trasmissione 2 su tutta Primavalle! Ci scusiamo con anziani e casalinghe, ma le frequenze commerciali tra i 90.0 e i 90.5 sono occupate anche questa mattina. Alt! Alt! Non toccate le vostre radio! Abbiamo con noi in studio, ehm.. ehm… nel garage del mio amministratore, Nico lo stagnaro e Maurice Delemberte. Con loro parleremo della crisi della sinistra, nel nostro quartiere e nel mondo. Intanto… Janis Joplin con Mercedes Benz!

Sulle note della canzone quella specie di tugurio si trasforma in una postazione radiofonica vera e propria. Gli ospiti iniziano a calarsi nella parte discutendo tra loro fino al ritorno in onda.

– Siete qui con il vostro anonimo speaker clandestino e vi annuncio bagarre. La canzone che avete ascoltato ha fatto scaldare Nico…

– Io sta canzone ‘a metterei in onda dentro ‘no ‘spedale. Ma che cazzo ce devi fa co’ ‘na Mercedes Benz? Ce tajano le palle, ce fanno striscia’ pe’ tera e ancora ce so’ stronzi che spennono li sordi in cazzate. Ce so’ stronzi che se pensano d’esse quarcuno solo cor culo su ‘na fori serie. O cor cachemire sur petto. Ma vòi mette ‘na nottata coll’amici o ‘na serata tet’a tett’ co’ tu’ moje? Brava Gennarina Joplin. Brava!

– E lei, Delemberte, cosa ci dice?

– E’ così, è così. Purtroppo ci siamo abituati ad interpretare in maniera scorretta il concetto di felicità. Quello di soddisfazione. Quello di desiderio. Di vita. Credo che interrogarsi sul perché di questo fraintendimento di queste parole possa aprire in maniera proficua il nostro discorso.

– Nico, perché  siamo arrivati a questa deriva? – lo interroga il conduttore

– Ma che cazzo ne so? C’è stato un temporale, è piovuta merda e sa’a semo magnata. Poi è come se tutto quello che ce piaceva prima nun c’è piaciuto più. Avemo continuato a cerca’ la merda. Come quando inizi a fuma’: te pija, nun c’è niente da fa’. Poi ce vai a rota. ‘Na vorta ‘na bella figa era formosa. Co’ du fianchi da meravija, colle tette e i capelli lunghi. Naturale e sensuale. Ta’a sognavi nuda e lei te faceva ‘ntravede co’ timidezza. ‘Na storia ta’a dovevi suda’. Er lavoro ce faceva schifo. Era fatica. Se sentivamo divisi in classi. L’unica differenza che combattevamo era quella de’ classe. Mo ‘e donne se rifanno, e pure l’omini! So’ tutti magri. C’hanno tutti voja de scopa’. Nun so’ timidi, ma nun spiccicano ‘na parola. Vojono disse tutti uguali ar padrone e se risentono se je fai nota’ che quello sta mejo de loro. Se la pijano co’ chi la pensa diverso, co’ chi è de ‘n’artra religione o c’ha la pelle de ‘n artro colore. Co’ chi se veste diversamente da loro. Colli sfigati che je passano accanto.

Interviene Delemberte convenendo con Nico:

– Sicuramente non sappiamo riconoscerci. Nel senso che non sappiamo riconoscere noi stessi, né l’altro. 

Lo speaker allora chiede come si comporti oggi chi vuole protestare, chi non si sente allineato e Nico riprende subito la parola più concitato di prima.

– Ma chi è che protesta oggi? Se ce fossero le Brigate Rosse nun saprebbero nemmeno do’ mettela na bomba, sa’a farebbero scoppia’ ‘n mano. A Taranto ce sta l’Ilva che sta a fa’ veni’ i tumori a tutti, ma ‘sti morti viventi so’ i primi a difenne quer mostro. Che se’mpiccherebbero pe’ nun fa’ chiude quell’azienda. E ‘n fondo nun je so da’ torto. I giovanotti nun ce stanno più a capì ‘n cazzo. I loro genitori so’ più viziati de loro. E forse più giovani, immaturi e egoisti. Qualunque cosa protestino nun verrebbe ascortata. Le piazze je l’hanno chiuse. Si fanno ‘na manifestazione nun li fanno arriva’ nemmeno sotto ar Parlamento e alla sera i tg je danno addosso. Tra de loro so’ spaccati. Molti so’ neofasciti, che poi nun se sa nemmeno che vor dì. La maggior parte s’è ‘ncancrenita, sta rincojonita davanti a ‘n computer o, peggio ancora, davanti a ‘n programma de Maria de Filippi. So’ dipendenti dall’adulti, dai sordi e dalle immagini da’a pubblicità. So’ stati bombardati e, poracci, che je potemo fa’? E’ da quanno so’ nati che nun se li semo cagati, che l’avemo messi davanti a ‘na tv pe’ nun sentilli piagne, e poi che fai? Che nun je lo compri ‘n telefonino? E ‘nfine addio alla famija der Mulino Bianco, addio ai giochi coll’artri regazzini. E allora sì, te convinci pure tu che ‘e scarpe Nike je’e devi, che l’importante è nun avecceli tra le palle.

Il conduttore, annuendo alle parole di Nico con un sorriso triste che gli attraversa il volto,   chiama   in causa lo scrittore: 

– Facciamo ordine, Delemberte…

– Penso agli operai della Fiat che votano in maggioranza per avere meno diritti e mantenere il loro posto di lavoro. Penso alle ragazzine che vogliono apparire più grandi delle loro mamme, al Berlusconi di turno che va con la Ruby di turno, o al termine più ricercato dai giovani su Google, milf. Penso a chi si sente un buon politico e dice di saper parlare alla pancia degli italiani, quando il sogno degli italiani oggi sembra essere quello di avere la pancia piatta… Fare ordine è un lavoro complicato, ma siamo qui per questo e in qualche modo lo stiamo facendo. Siamo partiti dicendo che alle parole più importanti oggi sono diffusamente date interpretazioni non corrette. Ritorno a bomba: chi ha diffuso il virus? E perché nessuno si ribella a queste interpretazioni?

– Perché Delemberte? Ci dica…

– Tempo fa c’erano i comunisti e i cattolici. In Italia anche i fascisti. C’erano i filoamericani e gli antiamericani. C’erano i giovani e i vecchi. C’erano i dottori e gli operai. C’erano i palazzi e le piazze. Ora tutto questo sembra non esserci più.

– E’ morta la sinistra? Sono morti gli antiamericani? I giovani? Gli operai? Sono state smantellate le piazze?

– Non credo. Sembra, ma non credo sia del tutto così. E’ un po’ la stessa storia della felicità. Una volta si era felici per un semplice evento, ora non si spendono gli stessi sorrisi per certe bellissime cose. Non perché non accadano, ma perché non le riteniamo utili o degne per sentirci felici. Vogliamo di più o forse di meno. Abbiamo iniziato ad usare metri che non ci appartengono. Pensiamo alle macchine… Se acquisti una macchina di seconda mano ti vergogni di non averla potuta acquistare nuova. Vai a prendere la tua fidanzata e le regali un girasole, probabilmente ti senti nel torto. Preferiresti andarla a prendere con un mezzo più raffinato e non poterti permettere di portarle un fiore. Quel fiore ti impuzzirebbe gli interni, avresti paura che qualcuno ti graffi la vettura quando la parcheggi e forse staresti attento a come la tua fidanzata posi i suoi piedi sul tappetino o a come chiuda lo sportello. Dando per scontato che non ti alzeresti per aprirglielo e per richiuderlo. Inizi allora ad essere invidioso di chi spende trentamila euro per una scatoletta da acchiappo, sottovaluti i tuoi gesti, li privi di significato. La tua fidanzata si accorge che quel girasole è tenuto da un uomo con la luna storta, che quello sportello richiuso, non è accompagnato da garbo, ma sbattuto dall’insoddisfazione. Lei inizia a sentirsi meno amata e, così, menomata. Non ha più la forza di sentirsi bella, asseconda le tue equazioni: bellezza della macchina, grandezza dell’amore; bruttezza della macchina, bruttezza della fidanzata. Magari anche lei è diventata appassionata di Mercedes e allora sfida se stessa, cerca di migliorarsi, di farsi più bella per meritarsi una macchina più bella. Lo fa per amore, perché finora tutto mette in discussione tranne il suo ragazzo. Allora si confronta con quello che ha attorno, ma trova solo cessi di vetture e uomini e donne che si ritengono di serie B, innamorate o disamorate. Apre una rivista e invrce trova modelli, modelle e Mercedes. Si sente infelice, vuole essere come loro. Allora lotta con il proprio corpo per apparire altra cosa. Tu alzi o abbassi l’asticella della felicità verso il giorno in cui potrai girare in Mercedes, lei lo fa verso il giorno in cui potrà apparire donna da Mercedes: magra, disinvolta, leggera. Tu ti indebiti fino al collo, lei si snatura. Tu avrai i debiti, lei un altro uomo. Lei avrà più insicurezze, tu un’altra donna? No, anche tu più insicurezze. E siamo partiti da eventi bellissimi. Ti sei comprato una macchina di seconda mano, con tanto sacrificio. Sei uscito con la tua fidanzata, le hai regalato un girasole… E’ crollato il muro di Berlino, ma realmente non esistono più la destra e la sinistra? L’asticella della sinistra è stata spostata più a destra. I giovani dove sono finiti? Hanno spostato l’asticella della loro ribellione più in là con l’età, come quello che rimanda ogni giorno a domani, fino a quando non si sveglierà più. Li si giustifica dicendo che non avendo nulla, non hanno nulla per cui protestare. Gli operai hanno un’idea differente rispetto al lavoro: se prima vi si identificavano e lottavano per renderlo più umano, ora rincorrono la sua disumanità. Scendere in piazza è diventato nell’immaginario collettivo tempo perso. Il tempo perso è sempre, nell’immaginario collettivo, quello passato a casa o con gli amici. Il tempo utile qual è?

– Delemberte, sta descrivendo un mondo da schifo. Un mondo di rincoglioniti cronici – commenta,  pensando ad alta voce, lo speaker che sembra per un attimo aver perso le redini della conversazione.

Notandolo spaesato, Delemberte decide di riprendere il discorso da un’altra angolazione. 

– Vediamo un attimo se il nostro amico ci può aiutare a chiarire questo ragionamento – dice rivolgendosi allo stagnaro. –   Nico, le faccio una domanda difficilissima. Chi detiene il potere oggi?

– Quei cornutacci dei nostri politici. Luridi zozzoni. Se magnano tutto alle spalle nostre.

– Nico, loro si mangiano tutti i nostri soldi?

– Tutti, se li magnano tutti.

– Solo loro si mangiano tutti i nostri soldi? E solo quei soldi sono il potere?

– Ma ‘o sai quanto guadagnano?

– Rigiro la domanda: lei ha un figlio che va all’università?

– Non più, ha lasciato. Doveva lavora’.

– Se suo figlio avesse continuato ad andare all’università avrebbe trovato lavoro?

– Ma de che, s’era iscritto a Lettere, sto cojone! E nun je piaceva nemmeno quello che je ‘nsegnavano i professori.

– E se suo figlio avesse sbattuto contro qualcosa che detiene un potere molto forte?

– Embè, pure là guadagnano bene!

– No, non mi riferisco a questo. Magari suo figlio aveva dei sogni, sogni che si sono infranti, in parte perché l’unica strada che gli è stata proposta prevedeva delle spese molto alte, in parte perché qualcosa o qualcuno lo ha convinto che non aveva sbocchi e forse perché percorrendola ha scoperto che le indicazioni dategli dai suoi professori lo portavano nel verso opposto a quello che voleva percorrere. Lei è mai stato in galera?

– ‘Ste cose nun se chiedono.

– Ok, conosce qualcuno che è mai stato in galera?

– Avoja, de delinquenti è pieno qua a Primavalle.

– Non ha capito la domanda. Non le ho chiesto se conosce qualcuno che sta entrando in galera, né se conosce qualcuno che è in galera, ma qualcuno che è stato in galera…

– Sei te che nun ce stai a capi’ niente, to’o ripeto: de delinquenti è pieno qua a Primavalle. E pure io so’ stato ar gabbio! Sei contento mo?

– A questo punto, caro Nico, provo a dirtelo in un modo primavallino, non perché mi stia innervosendo, ma perché ho il dubbio che ci sia un problema di linguaggio e che anche a casa possano non capirmi. Sei te che non ce stai a capi’ ‘n cazzo! Che te rompi er culo pe’ niente. Che te dai le mazzate sulle palle da solo! Chi è uscito dalla galera non è un delinquente. Ha pagato, e pure tanto! Anche qua qualcuno ha abusato del suo potere e ha costretto quelli come te a spostare l’asticella della propria dignità verso il basso, delle sue pene verso la sofferenza, dell’autocritica verso lo stigma. Non me ne frega niente di sapere perché sei stato in galera, ora non ci sei. Non sei un delinquente. Sei una vittima di chi esercita su di te un potere molto più forte di quello che tu possa percepire. Conosci qualcuno che è stato in manicomio?

– Avoja, qua de pazzi è pieno. Ce sta er maniconio!

– Ah Nico! Ma allora ti ci stai mettendo di impegno! Lo sai che i manicomi sono stati chiusi? Stesso discorso.

– E no, caro Delemberte, quelli continueno a esse seguiti dai dottori, quelli so’ incurabili.

– Come i malati di cancro?

– Sì, so’ la stessa cosa!

– Stessa cosa, cosa? Un malato di cancro è solo un malato di cancro? Forse questa tua considerazione lo limita un po’. E’ incurabile? Credo che un raffreddore se lo possa curare, quindi anche lui è curabile. Ma mi fermo un attimo perché mi dai lo spunto per parlare di una cosa importantissima, la cura. Cosa è la cura? Chi ne ha bisogno?

– I malati!

– E gli innamorati ne hanno bisogno?

– Quando stanno male!

– Allora tua moglie potrebbe benissimo non prendersi cura di te e di tuo figlio. O peggio ancora, di se stessa. Lo vedi, abbiamo abbassato l’asticella della cura a una terapia a base di farmaci e ridotto l’amore ad una stupida malattia.

– Cazzo, Delemberte, me stai ad apri’ l’occhi. Li mortacci loro! Sti fiji de ‘na mignotta! Ma allora li potenti stanno pure ‘n televisione, dietro li giornali.

– Stanno anche dietro la macchina da presa, dietro i romanzi da quattro soldi, dietro le pubblicità. Sono creatori di modelli. Modelli di intelligenza, di salute, di comunicazione, di famiglia, di ribellione, di lavoro, di bellezza, di educazione, di rispetto, di valori, di comportamento, eccetera eccetera. Come noi lasciamo noi stessi e seguiamo questi modelli è un’altra storia.

– E no, mo ce lo devi di’. Che cazzo de storia è?

– E’ una storia di spazi e di tempi. Di libertà, di uomini e di donne. Ogni spazio e ogni momento è stato occupato dai potenti. E’ l’esempio della macchina: vai a prendere la tua fidanzata e, invece di essere contento, ti paragoni ad un modello che non ti appartiene, ti sottometti a quel modello. Perdi il tuo tempo e distruggi quell’auto usata che hai appena acquistato. E’ una storia di uomini e di donne: quel fidanzato può riprendersi il suo spazio, il suo tempo, solo relazionandosi positivamente con la sua fidanzata. Ma qui interviene la libertà. Come può un uomo relazionarsi liberamente con l’altro? – chiede Delemberte a Nico.

– Come? – gli risponde a bocca aperta lo stagnaro.

– E no, qui te l’ho fatta io la domanda. Sono sicuro che mi puoi rispondere. 

– Beh, con l’onestà. Io de cazzate ne ho dette tante na’a vita mia, ma mo, a distanza de tempo, ho capito che bisogna di’ sempre la verità, nun crea’ illusioni. ‘Ntanto prima o poi tutto esce a galla. Semo stronzi, nun potemo mascherasse da nutella. Prima o poi la puzza ce tradisce.

– Un buon inizio. Ci sono delle regole nell’incontro. La prima è questa: io porto a te quello che sono con tutte le mie contraddizioni. La seconda è che tu porti a me la stessa cosa. La terza è che sia io che te siamo disposti a cambiare grazie al nostro incontro. Di solito due persone si avvicinano per degli interessi comuni, ma accade sempre che, se non si seguono queste tre regole, le regole dell’incoscienza, l’incontro fallisce. La relazione è un rischio, ma di per sé è una conquista di spazio e di tempo, una loro liberazione. 

– Me sento un po’ ignorante, manco a questa j’ho risposto bene. So’ superficiale – sospira mortificato Nico.

– Niente affatto. Tu mi hai detto che hai capito che bisogna mostrarsi nudi, ovvero per quello che si è. Quella è una conquista, una manifestazione di libertà. La più difficile oggi. Anche perché la prima da compiere. Nico, sei meglio di quello che pensi. Spero che di questa nostra conversazione questa sia la cosa che più di tutte ti resti impressa.

– Ok, scusate cari amici radioascoltatori è giunto il momento di far bere due bicchieri d’acqua a Nico e a Delemberte – interviene lo speaker dopo aver tenuto il fiato sospeso per tutto il dibattito. – Allora vi ricordo che tra poche settimane si eleggerà il nuovo presidente del nostro Municipio e, insomma, sapete cosa fare… Un brano ci scappa, “Destra-Sinistra” di Giorgio Gaber, poi di nuovo in studio per i saluti finali. 

Al termine della canzone il conduttore ritorna su Delemberte per continuare l’analisi superando i luoghi comuni. 

– Delemberte, cosa è per lei la sinistra? E cosa è per lei la sinistra a Primavalle?

– Cosa sia la sinistra in questo modello democratico non lo so. Darei ragione a Gaber, lo spostamento dell’asticella l’ha disintegrata. Anche lei oggi vuole essere un gestore del potere… Gestire il potere in questa situazione è di destra. Di sinistra dovrebbe essere lottare contro questo potere, ma anche l’asticella del significato della parola “lotta” si è spostato. Alcuni si dichiarano movimento, ma movimento non sono, sono fermi contro i soli politici, altri urlano, gridano. In qualche modo contestano, ma non riescono a sovvertire questo sistema, anzi vi si specchiano per sentirsi più forti. Per accedere anch’essi a qualche strano potere. La gente si astiene dalle battaglie o segue i pifferai magici, riproducendone eco mute. Tra le parole “ladri” e “assassini” si sentono i respiri disillusi di chi era stato a Genova, di chi ha perso il lavoro o di chi il lavoro ce l’ha, ma non ha i soldi per arrivare a fine mese. Penso che la sinistra oggi debba trovare quei nodi fatti dai potenti. Quelle trame di questa rete che avvicinano le parti pur mantenendo delle distanze insormontabili. E’ lì che si dovranno compiere le battaglie, che andranno slacciate le nostre nuove catene. Da una parte occorre aprire gli occhi, mettersi a nudo, scoprirsi migliori. Dall’altra occorre resistere. E poi? Poi occorre essere di sinistra, dando una nuova interpretazione a questa parola. Siamo in tanti, dobbiamo creare relazioni, occupare spazi, tempi. E’ nel condividere delle cose la possibilità di costruire un futuro più vivibile. Iniziamo a riconoscere noi stessi, come diceva Nico, poi guardiamoci attorno, costruiamo dei “noi” più grandi, delle collettività, infine costruiamo ponti tra queste collettività. Metteremo nella nostra rete la rete del potere. Avremo un sistema diverso, più libero, meno fashion. Fin qui però non ho caratterizzato ancora la mia idea di essere di sinistra, ho bisogno di parlare di Primavalle per spiegarmi meglio. Questo quartiere deve diventare una comunità. La sua forza deve essere la sua debolezza. I suoi costruttori devono essere i marginalizzati. Se finora abbiamo messo davanti quel che di quel modello di potere abbiamo cercato in noi, ora dovremo cercarci per quel che siamo e che non ha niente a che fare con il potere. Donne, in quanto genere discriminato, migranti, disabili, disoccupati, poveri, non più delinquenti, sognatori, disillusi e non, giovani, ribelli, anziani, pensionati, minoranze culturali e religiose, operai, musicisti, poeti, pittori, chiunque abbia bisogno di cure, di relazioni e di vita, tutti quanti siamo chiamati a darci una possibilità, a stare insieme, a stare bene. Penso che la storia non possa essere scritta solo dai vincitori, va scritta anche dagli sconfitti. Insieme riscriveremo la storia di questo posto, ce lo riprenderemo. Qui lavorare significherà fare qualcosa di utile per l’altro. Dedicare il proprio tempo al bene della comunità. La felicità la si leggerà negli occhi dell’altro e avrà l’asticella fissata nello stare bene insieme. Le piazze saranno luogo di vita pubblica, di discorsi aperti, di feste quando andrà tutto bene, di manifestazioni quando si commetteranno degli errori. Avremo come compito quello di confrontarci con i potenti, li individueremo e li affronteremo, insieme. Ci prenderemo cura anche di loro. Saremo gentili, perché è nella gentilezza la nostra possibilità di rendere abitabili i luoghi che libereremo.

– Grazie Delemberte. Nico, a te il compito di chiudere la trasmissione!

– So’ convinto che c’a’a potemo fa’. Pure senza ‘na lira. C’a’a potemo fa’. E si nun c’a’a faremo, armeno se renderemo conto de n’esse tanto stronzi. D’esse stati fottuti sì! Ma de n’esse tanto stronzi. Nun m’era mai capitato de parla’ der monno, io so’ ‘no sturacessi, mai avevo pensato de pote’ di’ a mi fijo d’esse mejo de’n riccone. Oggi ‘nvece me ce sento, E ‘sti cazzi d’anna’ ar Parlamento, e ‘sti cazzi delli sordi che se magnano, qua se dovemo protegge da ben artro. ‘Na carezza a mi moje ja’a farò con più convinzione, ‘a riceverò co’ più soddisfazione. A cena co’ ‘n amico parlerò dei bei tempi annati e no dei cazzi d’oggi e delle paure der domani. Piano piano me ricoccolerò mi fìjo e co’ lui, co’ lui sì, supererò me stesso. Guarderò er futuro cor sorriso. Perché nun ce so’ santi, nun ce so’ tanti maestri. La strada giusta è quella che nun fai da solo. Ma ‘sti cazzi dell’università, dei professori. Mi fìjo vole fa’ lo scrittore? E annamo, annamo ‘nsieme. Sarò er suo bodi garder, o come se dice. I sogni ce l’ho avuti pur’io, ma nun me li so’ dati proprio tutti’n fronte. C’ho na famija che m’ha perdonato. Ar gabbio speravo de ritrovalla e Dio m’ha accontentato e allora… Cazzo! Io quarcosa je lo devo. A me dei sogni se so’ realizzati! So’ arrivato qua che ‘sto posto era ‘na pozzanghera de piscio, mo è ‘na buca de cemento, ‘n mezzo a ‘sta trasformazione, ce so’ state pistolettate, botte e bastonate. ‘N sacco de promesse. Se conoscemo tutti e tutti a ‘n certo punto avemo cominciato a temesse, poi a vergognasse e ‘nfine a ignorasse. Sarò gentile e forse sì, così farò un pezzetto de rivoluzione.

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