Capitolo 13. Orma su orma, dalle case del popolo all’Insugherata

– Ce l’abbiamo fatta!

Stropiccio gli occhi e in poco meno di tre secondi realizzo che non dormire su un letto significa svegliarsi con la schiena piegata in due. Dal cortile rimbombano urla da stadio.

– Ce l’abbiamo fatta! Scendi giù!  – sento, ancora nel dormiveglia.

Poi un coro ribadisce il concetto: – Scendi giù, scendi giù! Festeggia pure tu! Scendi giù, scendi giù! Festeggia pure tu!

Magdaleine apre gli occhi e mi guarda:

– Sono i tuoi amici! Forse è il caso che esci…

Mi infilo i pantaloni, le scarpe senza calzini e scendo per strada con la parte di sopra del pigiama. Ci sono tutti, entusiasti ed eccitati. Hanno il sogno negli occhi. Mi abbracciano, se ne fregano del mio fiato pesante:

– Abbiamo raggiunto le firme, oggi presentiamo la tua candidatura. 

Un sorriso che tira oltre le guance mi riempie il volto. Si sta concretizzando qualcosa che pensavo impalpabile. 

Nené stappa uno spumante, mi chiede di porgergli la bocca e a garganella mi versa un bicchiere. Qualche goccia cade a terra, qualche altra mi lucida l’entusiasmo.

Faccio un sospiro lungo e annuncio:

– Che sfregio dell’Insugherata sia! Ma prima riunione a Bastoggi. Alle 11 e 30. Mi servono una betoniera, delle cazzuole, una pala, dell’asfalto e un’apetta.

Chiedo a Noè di organizzare dei gruppi che pubblicizzino l’evento e al mio vicino di seguirne la diretta in radio. Noi gli comunicheremo tutto tramite cellulare.

Rientro a casa, chiudo la porta e mi chiedo come diavolo sia possibile che con loro, anche di mattina, sia così creativo. Glielo domando a Magdaleine.

– Maurice, sono loro che hanno voglia di fare. Sono fantastici.

Ho bisogno di lei, sarà lei a spiegare il mio progetto, a coordinarlo, a renderlo più bello.

Magdaleine prepara il caffè, io mi faccio la doccia cantando Guccini, poi inizio ad illustrarle la cosa sperando che quando sarà il suo turno in bagno mi chieda di farle compagnia, di continuare a parlarle. Ciò non avviene ma, nonostante la pausa doccia, è incuriosita, ha voglia di sognare. Con le parole le stendo un tappeto rosso e la spingo dentro la festa. C’è spazio per lei, c’è bisogno di lei. Lo sa ed è per questo che mi chiede di non assistere al suo intervento in riunione. E’ imbarazzata. E’ una perfezionista, non vuole intoppi. 

– Non voglio che mi oscuri con i tuoi cinque minuti di narcisismo…

– Io narcisista?

– Tu sei il peggior narcisista che io abbia mai conosciuto. Ti trascuri, ti sottovaluti, ma poi… Poi quando non devi ti perdi nel vantarti di stupide cose. Forse lo fai per dare un tono ai tuoi progetti, forse lo fai per difenderti, ma mi innervosisce.

– Magdaleine, lo faccio perché devo.

– Forse, e forse è anche giusto che tu lo faccia, e che lo faccia in questa situazione. Questo quartiere ha bisogno di entusiasmo, di carica, di fiducia, ma io… Non lo so… Ad ogni modo i tuoi cinque minuti tienteli per i tuoi interventi.

Con l’amaro in bocca e con la speranza che Magdaleine ogni tanto mi menta, ci rechiamo alla riunione.

Le donne di Bastoggi hanno attrezzato tutto al meglio. Chi entra in riunione lascia un’offerta, in cambio avrà un tè caldo e dei pasticcini. Le sedie sono disposte a semicerchio, in modo da formare una sorta di anfiteatro. E’ stata anche montata una pedana che vedrà alternarsi oratori e musicisti  nelle prossime serate. In poche ore è stato verandato tutto e quello che era un cortile è diventato un accogliente locale. Anche la strada che porta all’osteria è stata pulita. Ci sono candele accese sui marciapiedi e qualche vaso fiorito sui lati, al posto delle buste piene di immondizia.

Siamo in quaranta, c’è anche il Conte Faz, ha un cappellino da baseball marrone e la solita divisa. Mi abbraccia e mi scorta fin sopra la pedana. Tutti si accomodano ai loro posti gridando insieme:

– Sfregio! Sfregio! Sfregio!

Poi un applauso lungo un minuto. 

Il silenzio. Poi il mio applauso per loro, per sciogliere l’emozione.

– Siamo un bel gruppo! Cosa sia questo sfregio per voi non lo so. Sono qui per costruire un evento  che abbia un significato per noi. Oggi.

Interviene un ragazzo del gruppo degli Scipioni:

– E’ una presa della Bastiglia!

– Che Bastiglia? Monte Mario?

E Gino, il muratore:

– Sì, ‘sti pezzi de merda! Mo jo’o famo vede’ noi! ‘Sti ‘mbecilli, ‘gnoranti, zoticoni.

– Signor Gino perché?

– Perché de che? Io nun li sopporto, ma ‘o sai che vor di’ vive da ‘st’artra parte del quartiere? Vor di’ esse de sinistra. Quelli so’ fasci. Ma de che stamo a parla’?

– So che c’è una storia, so che c’è un’identificazione, ma mi chiedo se ci sia anche dall’altra parte… E, comunque, non credo siano questi i termini della nostra azione.

– So’ fasci, so’ fasci!

– Va bene, vogliamo farci a botte?

– E certo! Così funziona da ‘ste parti. Prima era tutti i giorni, poi ‘na vorta ar mese, mo du vorte l’anno. Quanno se ricorda Mario Salvi e quanno loro vengono pella storia dei Mattei.

– Allora lo sfregio secondo te, Gino, deve essere un’azzuffata. Un’azzuffata a sorpresa dove gliele diamo e ci ritiriamo senza prenderle. Una nuova data da segnarsi per regolare dei conti. Ma…

– E no, Delemberte. ‘Sta vorta i conti li regolamo ‘na vorta pe tutte.

– Mi dispiace Gino, ma non sarà proprio così. 

– ‘Ndo sta la democrazia? Ma che cazzo stai a di’? Mettemolo ai voti…

– Si può votare questa tua proposta, ma io ancora non ho fatto la mia. 

– Falla allora!

– E no, occorre far partire un processo, aprire un discorso.

– Hai rotto er cazzo co ‘sti discorsi!

Interviene il Conte:

– Ora basta, Gino! Ricordati perché abbiamo deciso di candidare Maurice e non uno come te.

– Ah, perché lui è un poeta…

Riprendo la parola per spiegarmi meglio.

– Non sono io che sono il candidato, siamo noi che stiamo cercando di fare politica! Il Conte però mi dà la possibilità di spiegarti quella che è la nostra arma. La poesia. La nostra arma. Quindi anche la tua. Una volta chiarito l’obbiettivo, dobbiamo centrarlo nel modo più incisivo. Ti faccio una domanda, cosa resta ai posteri? Una scazzottata, una coltellata o delle parole?

Risponde Gino:

– Le parole se le porta via il vento, du’ sganassoni invece te raddrizzano.

– Ci sono sganassoni e sganassoni e ci sono parole e parole.

– Che vòi di’?

– Voglio dire che se sono anni che Primavalle e Monte Mario si rivaleggiano, non sarà l’ennesima violenza a stabilire un vincitore. A meno che non si decida di usare la bomba atomica, ma non sono sicuro che per distruggere l’altro non si rischi di distruggere anche noi stessi. Immagino però che ci siano sganassoni che ti aprano gli occhi…

– E sì, mi padre m’ha fatto riga’ dritto. E’ grazie a lui che me so’ sarvato.

– C’è uno schiaffo che ti ricordi più degli altri?

– Sì, sicuramente sì. Avevo tredici anni, mentre lo salutavo pe uscì de casa m’è cascata ‘na catenina dalle tasche. M’ha fissato negli occhi. Ha alzato quella manona e me l’ha impressa sulla bocca. S’è girato dall’altra parte e nun m’ha parlato pe venti giorni.

– Hai cercato di parlargli in tutto quel tempo?

– J’ho chiesto scusa ducento vorte, ma niente. C’ho fatto parla’ mi madre, niente. Ho pensato d’esse ‘na delusione. Che pe lui ero morto. Allora ho lasciato perde er giro e piano piano me so’ fatto perdona’.

– Quel silenzio dice tutto. Lo schiaffo non sarebbe stato niente senza quel silenzio. Quei venti giorni ti dovrebbero aver insegnato che è la parola quella che conta. Tu sei cambiato perché volevi indietro la parola di tuo padre.

– Ma mi padre era n’ignorante!

– Ci sono parole e parole. Non è detto che quelle che contino siano quelle di un intellettuale. Ecco, amico mio, questa è la poesia. E’ la nostra arma. Non possiamo rinunciarvi, siamo piccoli, ignoranti e poveri, ma abbiamo la poesia.

– Me stai a ‘nfinocchia’! E che ce famo co’ la poesia?

– Intanto possiamo colpire tutti, non solo gli abitanti di Monte Mario. E poi possiamo riempire un gesto di diversi significati. Ma torniamo agli obbiettivi. Cosa significa questa rivalità oggi? E cosa significa l’Insugherata?

Il Conte prende la parola:

– A Monte Mario ci sono persone come noi, ma c’è un passato che ci divide. L’Insugherata è un’altra storia. Quella era Primavalle. Come un’isola.

– Ok, il passato è molto importante. Credo che chi è fascista oggi vada illuminato. E noi lo illumineremo, come illumineremo i tanti berlusconiani. L’isola di cui parli che luogo era?

– Era un posto bellissimo, il fatto di saperlo fuori dal nostro confine lo rendeva magico. Una valle dove stare tranquilli. Solo pace.

– Questo è il nostro obbiettivo, liberare quel posto. Ora però sarà Magdaleine a raccontarvi il nostro progetto.

Mi allontano fisicamente dal piccolo palco, come lei mi aveva chiesto, e mi vado a sedere su una gradinata, ma con la testa e il cuore sono al fianco di mia moglie.

Come una farfalla si posa delicatamente al centro della scena e inizia a battere le sue ali.

– Maurice ha chiesto di procurargli delle cose, ho visto qui fuori un’apetta, una betoniera e dei sacchi col bitume. Come avete fatto a recuperare tutto così velocemente?

Noè spiega:

– Dobbiamo ringraziare gli zingari che ci hanno aiutati. Non pensare male, l’apetta e la betoniera sono loro, il bitume lo hanno preso da un cantiere quasi abbandonato. L’ennesima palazzina! I costruttori hanno finito i soldi e ora lo usano come deposito, ma non ci mette piede nessuno da settimane. 

– Arriveremo al Parco dell’Insugherata camminando – riprende decisa Magdaleine, che viene subito interrotta da Gino.

– E grazie ar cazzo, che ce volevi anna’ in tassì?

Magdaleine non è per niente destabilizzata da quel rude commento, mostra il suo carattere e mi cita:

– “I piccioni potevano volare, ma preferivano camminare. La loro non era una marcia. Era incidere dei segni sulla strada. Costruire il loro territorio liberandolo. Più le loro zampe rosse andavano avanti, più la loro lotta assumeva il significato della liberazione. Camminavano i piccioni, non correvano. Non volevano arrivare prima, volevano arrivare nel momento giusto. Dove? Oltre il confine”. 

Magdaleine chiede dell’acqua, si ferma un attimo, ma già li ha conquistati tutti. Beve un bicchiere e domanda:

– I nostri contendenti, gli altri candidati, di cosa parlano in questo momento? Qual è la prima cosa che promettono di realizzare una volta eletti? Anche io vedo la televisione, ho iniziato a studiarli. Promettono di tappare le buche per strada. Noi gli toglieremo questo peso. Lanceremo una piccola moda. Inizieremo dal nostro percorso e chiederemo al resto della cittadinanza di imitarci nelle strade più vicine alle loro case. Ovviamente è un invito, ma credo che saremo seguiti. Sapete cosa è una “walk of fame”?

Interviene Nené:

– Qualcosa che ha a che fare con Hollywood?

– In qualche modo sì, ma non solo. Ovunque nel mondo ci sono luoghi dove le personalità importanti lasciano degli oggetti per restare nella storia. A volte basta una targa. Queste sono le “hall of fame”. Le sale della fama, dei famosi. Per sempre, così dicono, questi luoghi terranno insieme dei ricordi. Per visitare questi posti si paga, molte volte sono dei musei privati. Farlo per strada significa costruire un sentiero, che nel nostro caso non porta in uno stadio o in un cinema, ma oltre il confine. Chi sono le persone famose a Primavalle? 

In coro si domandano:

– Chi sono?

Gino interviene di nuovo caustico.

– Ho capito er poeta e la moje c’hanno ‘no sponsor!

Noè scuote la testa e replica:

– Metteremo la targa con il nome di Maurice!

Magdaleine sorride.

– Non solo. Metteremo anche la mia e…

Noè arrossendo si affretta a porgere le sue scuse.

– Sono un maleducato.

– Noè, sicuramente metteremo anche la tua, quella del Conte, di Gino, di Amadou. Ognuno metterà la sua. Perché la fama di questo posto dovrà essere legata alla sua collettività. E forse in parte lo è già stata. 

– Ma come?

– La testa della nostra passeggiata sarà guidata dall’ape, sull’ape metteremo la betoniera e magari Gino con l’asfalto. Ad ogni buca ci fermeremo. Con la pala copriremo la buca, con la cazzuola la spianeremo e uno alla volta inseriremo la nostra targa. Un pezzo di legno con il nostro nome, un tappo di una bottiglia con una scritta. E lasceremo le impronte delle nostre scarpe. Mi piacerebbe avere delle bombolette spray: gialle, verdi, rosse, blu, viola, celesti, arancioni. In modo da colorare le impronte e con queste la città. Lasceremo orme d’arte fino all’Insugherata. Una volta lì entreremo al Parco. Mi ha detto Maurice che ora è recintato, è chiuso. Lo apriremo, festosamente. Quando sarà sera sarebbe bello sparare qualche fuoco d’artificio, daremo fastidio a qualcuno, ma dai, questo ce lo potremo permettere. Se tante persone saranno coinvolte, se saremo così bravi da costruire qualcosa che resti per sempre, sono convinta che nessuno si permetterà di richiudere il parco.

Parte un applauso scrosciante. Rientro in veranda. E’ giunta l’ora di prendere il tè.

Condividi sui social

Articoli correlati