Brazil! Bis, applausi e lacrime per Yamandu Costa. Recensione. Video

ROMA – Assistendo ad un concerto di Yamandu Costa è proprio il caso di dire che quando Madre Natura fa incontrare due anime gemelle scoppiano scintille: i candidati in questione, in questo caso, sono le dita ipersensibili di un giovane gaucho figlio d’arte (i geni del talento ci sono proprio tutti!) e uno strumento musicale del tutto particolare, la chitarra a 7 corde,  che grazie allo speciale tatto delle suddette falangi si trasforma in una vera e propria orchestra.

Figlio della cantante Clari Marcon e del chitarrista e trombettista Algacir Costa, Yamandu apprende l’uso di questo particolarissimo strumento a soli 17 anni tanto da venir chiamato, proprio per il suo tocco originalissimo, ad aprire un concerto del grande Baden Powell. Un incontro incisivo che segna una forte determinazione ad interpretare i classici brasiliani in una maniera inconfondibile, segnata dalla commistione di sensibilità, tecnica e trascinamento emotivi .

 

 Lunedì sera, nella gremita sala dell’Auditorium Parco della Musica di Roma, proprio questo cocktail esplosivo è stato l’impulso che ha guidato il concerto del trentatreenne chitarrista di Rio Grande do Sul in occasione del festival Brasil. Ad aprire lo show, ricco peraltro di battute ironiche autoreferenziali e gag a sorpresa, vi era perlappunto un homagem al Maestro, compiuto dapprima tramite una estatica interpretazione di Petit Valse e, successivamente, con un brano dedicato al “Menino” Powell. La performance si è poi districata in un percorso pervaso da uno stile personalissimo che ha saputo alternare differenti generi musicali – dalla zamba allo chamamé – con pennellate a volte nostalgiche a volte sprizzanti di energia vitale. Sarà stato il tè “afrodisiaco” che beveva – come ha scherzato col suo pubblico multigenerazionale – ma è certo che il folle amore per la musica e ciò che essa riesce a trasmettere era il motivo conduttore di ogni brano, commentato sentimentalmente da un interprete che aveva il raro dono di immergere il proprio interlocutore in un preciso contesto tecno-storico-emotivo. 

 

Una preziosa opportunità dunque, per gli eletti convenuti, di assaporare con senso l’oggetto del proprio ascolto, sia esso una ninnananna dedicata al figlioletto di pochi mesi dolorante di colica (Bem Vindo), un frenetico ed inusitato choro (Choro loco) in cui la velocità esecutiva si sposa alla perfezione sonora, sia un nostalgico samba (Samba Pro Rafa, dedicata a Raphael Rabello), un tributo al suo amatissimo strumento (El Negro Del Blanco) o alla sua terra di confine (Sarará): quel che è certo è che ogni composizione era segnata dalla perfetta sincronizzazione tra accordi e cadenze ritmiche e circolazione del sangue, in una simbiosi tra movimento delle dita e ondulamento del possente corpo, tra sguardo in trance e mani vigilanti, perfette compagne di una cassa armonica in continua evoluzione. Bis con applausi e lacrime strameritate, nel quale ha spiccato il divertissement napoletano a mo’ di tarantella (quasi un’improvvisazione volutamente regalata al caloroso pubblico) e un commovente Carinhoso che ha coinvolto l’intera platea italo-brasiliana in un estemporaneo ma efficace dialogo sussurrato tra voci e corde, emblema di un rito quasi sacrale, nell’interazione performer-fruitore, che con Yamandu Costa si ripropone costantemente ed incredibilmente ad ogni nuovo concerto.

Yamandu Costa – Disparada

 

 

 

Condividi sui social

Articoli correlati