Frankestein o il Moderno Prometeo, la tracotanza

“L’invenzione, bisogna ammetterlo con umità, non consiste nel creare dal nulla, ma dal caos.”  [Frankestein- Mary Shelley]

L’opera, della scrittrice Mary Shelley, assume, nell’universo del genere gotico, un aspetto emblematico. Il mostro è diretta creazione dell’ uomo, che sfida le leggi della natura carpendo un segreto atavico, quello della vita. Il dottore Victor Frankestein pecca di hybris, di tracotanza, in due modi: utilizza la scienza per creare la vita dalla morte ed usurpa il ruolo, ancestrale, della donna nella creazione della vita stessa. Il progetto del dottore non è una semplice creazione, ma un desiderio che l’ uomo ha sin dalla notte dei tempi, quello di contrastare la morte, elemento naturale della vita, di sconfiggerla, di risorgere dalle nostre stesse ceneri. Egli quindi si erge a creatore primo, ma in realtà non crea dal nulla, ma assembla parti di corpi disseppelliti, tendini, muscoli, il tutto senza instillare nell’ essere i sentimenti che rendono un uomo degno di essere chiamato in tale modo.

Il mostro, privo di nome tanto da essere spesso, erroneamente, chiamato con il cognome del suo creatore, è un macabro riflesso dello stesso Frankestein, da cui, si presume, la doppia scelta del titolo deciso dall’ autrice, “Frankestein, or the Modern Prometheus”. La natura mostruosa della creatura è dunque da attribuirsi al suo essere manifestazione, emazione, della follia che anima il suo creatore.

Il dottor Frankestein è spinto a creare, un essere dalla morte, per supplire all’ angoscia psicologica in cui è precipitato dalla morte dell’ amatissima madre, che egli non ha potuto in alcun modo aiutare. Per questo egli cerca una cura, un rimedio, un modo di riscattare la vita dalla morte. Così, come Orfeo scese nell’ Ade per riavere la sua amata Euridice, allo stesso modo Frankestein lavora ininterrottamente, isolandosi da tutto e tutti, per trovare una soluzione alla morte, impossessandosi del segreto dell’ immortalità, da nascita a morte ad una nuova nascita, in un ciclo infinito. Frankestein ricopre, dunque, la figura materna di chi dà la vita, da qui l’ inseguimento del mostro, che ripercorre i gesti ed i luoghi cari al dottore, proprio come un figlio impara per imitazione dai genitori.

Ogni azione della creatura, per quanto possa essere abominevole, è tesa all’ accettazione, al far parte di un sistema che accetti ogni individuo per le sue peculiarità e non che lo ghettizzi per le sue diversità. La creatura è l’ alieno, colui che viene isolato per il suo essere differente. Non importa quanto possa, il mostro, prodigarsi per il prossimo, come nel caso della famiglia De Lacey, il suo aspetto è discriminante, proprio per questo è destinato alla solitudine, a cui a sua volta costringerà il suo creatore, che l’ ha abbandonato senza neanche dargli un nome, un’ identità a cui aggrapparsi, essendo eternamente solo ed unico di fronte a tutti gli altri. Chiaro è il richiamo al pensiero filosofico, di cui è permeato il racconto,  di Rousseau, il quale sosteneva che l’ individuo nasce naturalmente in una condizione di innocenza, che viene poi in seguito corrotta nel confrontarsi con la società. Ciò avviene anche per la creatura, egli non ‘nasce’ malvagio, sono le circostante esterne a ridurlo tale, è Frankestein, con il suo abbandono e menefreghismo, a ridurlo un mostro.

Scritto sotto forma epistolare e redatto dal Capitano Robert Walton, al quale lo stesso Dottor Frankestein, ritrovato dal questi in fin di vita, racconta la sua storia e quella della cretura che ancora insegue per le desolate lande artiche. Il romanzo, nato inizialmente come un gioco, proposto da Lord Byron , con la sorellastra della Shelley, questa stessa ed il marito, Percy Bysshe Shelley, durante una tediosa giornata di pioggia, prenderà corpo durante la notte, quando l’ autrice viene folgorata, nel dormiveglia, da un racconto privo di canoni clasici del gotico, ma basato sulla tracotanza dell’ uomo che desidera imitare la natura, mediante la sciena, forzandola e storpiandola.

Da due diverse varianti del mito di Prometeo, probabilmente, attinse la Shelley. Quello più antico vede Prometeo come colui che, per rimediare ad un proprio torto nei confronti di Zeus, rubò il fuoco, dalla focina di Efesto, per darlo nuovamente agli uomini. Per questo suo atto fu punito, dal padre degli dei, ad una lunga e tremenda punizione, un supplizio infinito. Nelle “Metamorfosi” di Ovidio, invece, Prometeo è il creatore primo dell’ uomo, mediante la modellazione della creta a figura antropomorfica, in cui poi Atena infuse la vita con un soffio. Tanto Prometeo, tracotante al punto di sfidare Zeus, venne punito, allo stesso modo Victor Frankestein, appropriatosi di un ruolo non suo e di una facoltà non del suo sesso, viene castigato con una luttuosa e tormentosa vita,proprio come quella che accompagnerà l’ autrice, ancora ignara, nello scrivere la fine dell’ uomo, della morte e della solitudine che avrebbero segnato i suoi anni a venire.

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