Casi editoriali. Intervista a Guido Mattioni, dal web alla carta stampata

ROMA – “Soltanto il cielo non ha confini” è il nuovo romanzo di Guido Mattioni, un giornalista di lungo corso, che nella sua seconda giovinezza si è tolto i panni del cronista per cimentarsi nella narrativa.

Una scelta risultata vincente, come attestano le quattro edizioni del suo primo romanzo “Ascoltavo le maree”, pubblicato nel 2013 da Ink, piccola casa editrice milanese diretta da Francesco Bogliari, dopo il successo ottenuto oltreoceano dalla versione elettronica del libro. Infatti, l’e-book “Whispering Tides”, autopubblicato dallo scrittore sulla piattaforma digitale Smashwords è diventato in pochi mesi un caso editoriale, unico italiano finalista al Global ebook Awards 2012 di Santa Barbara e agli Usa Best ebook Awards 2012 di Los Angeles.

Una grande soddisfazione per Mattioni classe ‘52, friulano d’origine, milanese d’adozione che nel suo primo libro d’ispirazione autobiografica aveva espresso le sue paure, i suoi dolori e aspirazioni, in un’atmosfera rarefatta tra sogno e realtà, ora invece, è alle prese con un tema di stretta attualità, che ha toccato con mano nella sua carriera d’inviato speciale per Il Giornale, sotto la direzione di Indro Montanelli. Cerchiamo di saperne di più, incontrandolo durante una sua trasferta romana.

Un libro che parla d’immigrazione clandestina, non quella che oggi tocca le sponde del Mediterraneo ma quella che da 50 anni spinge i “chicanos” messicani a varcare la “frontera” americana, oltre 3000 km di rete metallica, sorvegliata 24 ore su 24, per fare fortuna.

“Esattamente, il libro è frutto della mia esperienza giornalistica sul campo, quando nel 1986 inviato del settimanale ‘Epoca’ svolgevo reportage dal mondo. Ero negli Stati Uniti a caccia di storie, quando incontrai un funzionario del governo americano che mi suggerì di andare a El Paso (Texas) a vedere cosa succedeva. Per la prima volta sentì parlare di immigrazione clandestina, in Italia era ancora un fenomeno sconosciuto: il primo barcone Vlora, con a bordo 20 mila albanesi sarebbe arrivato soltanto nel 1991. Per settimane mi sono unito alla polizia di confine, la Border Patrol e ho visto scene e sguardi che non sono riuscito a dimenticare e mi sono portato dentro per 28 anni. Gli stessi che vedo ora sui siriani profughi, approdati sulle coste siciliane.”

Un tema questo di scottante attualità in Italia

“E’ attualissimo, una questione davvero urgente e drammatica. Il Canale di Sicilia è il Rio Grande d’Europa. Rappresentiamo l’unica via, il passaggio obbligato per raggiungere l’Europa. Come negli Stati Uniti bambini soli dal Messico, Honduras e Guatemala tentano di attraversare il confine nordamericano sotto la guida dei ‘coyotes’, così da noi, orfani di guerra siriani navigano il Mediterraneo a bordo d’imbarcazioni di fortuna, guidate da avidi scafisti.  È impossibile non commuoversi di fronte a una tale disperazione, persino per un liberale come me e mi chiedo come facciano a rimanere impassibili i tanti sedicenti cattolici nel nostro Paese. La politica dovrebbe osservare certe realtà da vicino, prima di emettere qualunque provvedimento.”

Qual è il personaggio principale del libro?

“Il vero protagonista è la ‘frontera’, il confine. I protagonisti in carne ed ossa sono due fratelli gemelli Hernando e Diego, fisicamente identici ma dai caratteri differenti, nati a Surco-en-el-suelo, un paesino agricolo immaginario situato nel Chihuahua. Tutte e due partono alla volta degli Stati Uniti, sedotti dall’American Dream, ma in tempi e circostanze diverse, all’insaputa l’uno dall’altra. E opposte saranno le strade che imboccheranno. È anche questo il senso del confine, che rappresenta il destino di due persone. L’ una influenzata dall’incontro con brave persone, l’altra da quello coi brutti ceffi. Il confine è tutto. È il margine tra due destini, due Paesi, ricchezza e povertà, sogno e realtà, il male conosciuto e il benessere auspicato. Le frontiere sono state stabilite dagli uomini, con le guerre e la sopraffazione. Il Padre Eterno, invece, non ha posto limiti fisici: è il cielo, l’unico luogo senza delimitazioni, libero, illimitato. E’ questo ideale, forse un po’ utopistico che mi ha ispirato e dal quale, appunto, il libro trae il suo nome.”

Due racconti molto diversi: uno più autobiografico e intimista, l’altro più realista, quasi un reportage, ma entrambi ambientati negli Stati Uniti. Perché?

“La risposta è molto semplice: per scrivere qualcosa di buono, bisogna parlare di ciò che si conosce bene. L’America la giro da 30anni sia per lavoro che per diletto, la conosco a fondo, così come conosco gli americani, un popolo ben più complesso di quanto crediamo noi Europei, saldamente legato al territorio d’origine. Ritengo, inoltre, che gli Stati Uniti siano uno scenario molto cinematografico, dalle innumerevoli sfaccettature e sconfinati spazi.”

Hai mai pensato di trasformare i tuoi romanzi in un film?

“È la speranza e il sogno di ogni autore, anche il mio! Questo romanzo a mio avviso si presterebbe moltissimo. Sono svariati i film ambientati in questo scenario, l’ultimo che ricordo è ‘Border Town’ diretto e interpretato da Jennifer Lopez, che racconta il dramma del femminicidio: molte donne che spariscono mentre tentano di attraversare il confine messicano, abusate e uccise lungo il tragitto.”

Anche il prossimo libro sarà ambientato in America?

“Sì lo sto già scrivendo e sarà un’altra storia americana. Un romanzo ‘on the road’ – senza alcuna presunzione di voler imitare Kerouac – e sarà dedicato alla strada, il sistema nervoso centrale degli Stati Uniti e al grande popolo nomade americano, che va dai diseredati ai pensionati di lusso, sui loro spropositati camper. Entro il 2016 uscirà una mia trilogia “americana”, secondo il lungimirante progetto del mio editore Bogliari.”

Nel congedarmi da Guido Mattioni, a Roma solo di passaggio, ricevo in omaggio una copia di Soltanto il cielo non ha confini. Divoro il libro in meno di una settimana: romantico e realista allo stesso tempo racconta con umanità e sobrietà il fenomeno dell’immigrazione irregolare, dal punto di vista soggettivo dei due profughi messicani. 

Una storia avvincente e ritmata, dove non mancano i colpi di scena e una buona dose d’ironia, nella migliore tradizione della grande letteratura americana. “Perché ciò che distingue la narrativa di qualità dall’editoria è il tempo”, afferma lo scrittore con tono sarcastico. “Hemingway lo leggevo io 50anni fa e lo legge adesso mio nipote: alcuni best seller di oggi, dopo un anno, non li ricorda più nessuno”.

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