VENEZIA – Non sappiamo fra i tremila giornalisti accreditati alla Mostra di Venezia quanti siano i veri cinefili, quelli cioè che di fronte al titolo di un film o al nome di un regista o di un interprete fanno il tradizionale salto sulla sedia e farebbero carte false per esserci. Dove? All’evento straordinario della proiezione di un film da anni uscito dalla programmazione (come i libri dal catalogo e quindi dalle librerie) ma entrato nella storia del cinema.
Se poi quel film è stato restaurato cioè restituito al primitivo splendore di immagini, di suoni, di emozioni è come andare a vedere un quadro di Raffaello appena uscito dalle magiche sale dell’Istituto del Restauro o la Cappella Sistina appena restaurata dai giapponesi, e cose così.
Uno spicchio della 71ma Mostra di Venezia è dedicato al cinema ritrovato, o meglio ai film restaurati. Si chiama “Venezia Classici” e darà un premio al miglior film restaurato oltre che al miglior documentario sul cinema. Una giuria è già al lavoro, studenti provenienti da diverse università italiane, 28 laureandi in storia del cinema segnalati da docenti di tredici Dams e della veneziana Ca’ Foscari.
A presiedere la giuria Giuliano Montaldo, genovese classe 1930, l’uomo di cinema più fortunato d’Italia. Lui forse non lo ammette, ma la sua vita è tutt’un fortunato successo. Da giovane era bellissimo tanto da fare l’attore; era ancora studente e già Carlo Lizzani lo chiamò sul set di Achtung banditi; poi ebbe un ruolo di spicco in Cronache di poveri amanti , sempre di Lizzani, quindi ne Gli sbandati di Francesco Maselli. Poi fece una mossa giusta: sposò Vera Pescarolo, la sorella del produttore Leo che andava per la maggiore e, messa la testa a partito, smise di fare l’attor giovane e passò alla regia. I suoi film sono tanti, molti di successo, alcuni anche onorevolmente premiati ai festival internazionali: da Tiro al piccione a Una bella grinta, da Sacco e Vanzetti a Gli intoccabili. da Giordano Bruno a L’Agnese va a morire, da Gli occhiali d’oro a Tempo di uccidere. L’ultimo è I demoni di Sanpietroburgo. Fra un film e l’altro ha fatto televisione, quella di qualità, un titolo per tutti: Marco Polo, lo sceneggiato che la Rai ha venduto in 76 Paesi. Dalla TV alla lirica con la regia di Turandot e di Bohème all’Arena di Verona, de Il trovatore al Comunale di Firenze, perfino una Tosca messa in scena allo stadio Olimpico di Roma. Dirigente Rai sempre per il cinema, è cavaliere di Gran Croce ad iniziativa del presidente della repubblica Carlo Azeglio Ciampi.
Ora a Venezia Giuliano Montaldo presiede la giuria che deve premiare il miglior film restaurato. A leggere i titoli e i nomi degli autori si vede che è un’ impresa ardua. Sono più di venti e fra quelli: Senza pietà di Lattuada del 1948, Umberto D di De Sica del 52, Bulli e pupe di Mankievicz e L’uomo di Laramie di Anthony Mann entrambi del ‘55, La Cina è vicina di Bellocchio e Muchette di Bresson entrambi del 1967, Toto modo di Elio Petri (1976), Una giornata particolare di Ettore Scola (1977). Andrebbero premiati tutti con una raffica di ex aequo, di premi speciali della giuria e di altri escamotage che non lascino nessuno a bocca asciutta. Si fa spesso con i film nuovi, questi carichi di anni e di gloria non meritano meno rispetto.
Resta il fatto che Giuliano Montaldo, oltre che un grande uomo di spettacolo, è anche un uomo fortunato. Chi non vorrebbe una vita come la sua? Chi non vorrebbe oggi stare a Venezia al posto suo? Un posto da vero cinefilo (uno dei pochissimi attualmente al Lido).