Sex in the city… a Roma … ad agosto. Un romanzo di Francesco Costanzo

XI, XII, XIII e XIV capitolo dove si vedrà il nostro Francesco tutto preso nelle schermaglie amorose con la ‘sua’ Jole

XI

Me lo disse in modo diretto e senza giri di parole.
Effettivamente qualche dubbio mi era venuto. Va bene che mi voleva bene Giovanna, va bene che in qualche modo io riuscivo a sostituire nel suo cuore quel figlio ingrato, che non la andava mai a trovare.
Però quell’interesse a farmi fidanzare con Jole a tutti i costi mi era sembrato da subito un po’ sospetto.
La conferma dei miei dubbi arrivò.  Probabilmente Giovanna mi vedeva procedere troppo a rilento e i soldi dell’affitto che Jole non pagava gli servivano.
La pensione che le davano non doveva essere elevatissima e il figlio non credo l’aiutasse molto.
Però la casa di Jole era in condizioni pietose. L’umidità regnava sovrana e doveva tenere sempre le finestre spalancate.
Era effettivamente indecente pretendere il pagamento di un affitto per quella topaia.
La rivelazione choc Giovanna me la fece al supermercato.
All’inizio in verità ci girò un po’ intorno, sottolineando che ero troppo sprovveduto per tenere una casa da solo, che non usavo i prodotti giusti per pulire il bagno, che in ogni caso avevo bisogno di una donna in casa.
Poi siccome voleva essere sicura che avessi compreso, mentre ci avvicinavamo alle casse con il carrello, che ovviamente spingeva lei, si arrestò di colpo, davanti al bancone dei surgelati e chiarì il suo pensiero in maniera netta.
“Insomma, francè, se tu te ce fidanzi con sta Jole, lei viene a vivere da te lascia la casa e noi ribecchiamo di nuovo i soldi dell’affitto. In fondo c’hai trentasei anni, ormai puoi smetterla di fare lo scapolone o di metterti con donne da cui poi ti fai lasciare perché non le vuoi sposare. Sposati questa, è giovane e carina, lavora, è di roma, conosce la città. Fai qualche figlio e poi magari ve lo tengo pure se dovete uscire qualche volta la sera”
“Vedi Giovanna, il tuo ragionamento ci può pure stare. L’unica cosa che vedo un po’ difficile è che riusciate ad affittare a qualcuno la casa. E’ a dir poco invivibile. O comunque magari lo trovate qualcuno che se la affitta, ma poi non paga..” dissi sorridendole in modo complice.
“Te non te sta a preoccupà … la casa poi la ristrutturiamo e la affittiamo. Perché la tua Jole manco ci fa entrare per ristrutturarla”
“ Ma quella casa va ricostruita non ristrutturata”
“Va bè” taglio corto Giovanna, che si stava un po’ spazientendo adesso
“Ma a che punto stai? Hai avuto rapporti?”
Lo disse con naturalezza, facendo gesti eloquenti con le mani.
Mi girai intorno per vedere se qualcuno ci stava osservando. Prima di rispondere cercai di coprire più possibile con il mio corpo la distanza tra il bancone dei surgelati e Giovanna, in modo che si riducessero per i curiosi gli spazi utili per osservare i suoi gesti.
“ Bè” esordii
“Bè cosa?”
“Bè diciamo che sono sulla buona strada. L’ho baciata una volta e poi sono svenuto..”
“Sei svenuto?”
“Si, mi sono emozionato”
Giovanna sgranò gli occhi “Ma guarda che si deve sentire. Ma come ti viene in mente di svenire? “ Era furiosa” Adesso mi fai il piacere che la inviti a cena a casa tua una di queste sere e concludi e poi piano piano la fai stabilire da te”
Non faceva una grinza il suo discorso.
Ero a un passo dal tagliare il traguardo, ma mi ero quasi fermato e rischiavo che gli altri mi raggiungessero e superassero.
Evitai di raccontarle che ero stato nel letto di Jole e che ero stato espulso per coglionaggine manifesta ed evitai di raccontarle le vicende di Gilberto.
Avanzammo verso le casse. Le dissi in modo fermo “Ok, adesso la invito a cena e concludo”.
Mi sorrise soddisfatta.
Uscimmo dal supermercato.
Mi fermai all’edicola, congedandomi da Giovanna.
C’era Gilberto. Era solare come al solito. Sembrava che quello che era successo qualche giorno prima se lo fosse solo sognato: un brutto sogno, che ora era passato.
Lo sapevo che mi avrebbe chiesto di Jole. Era decisamente un estimatore delle belle ragazze, anzi non pensava che a quello, come me d’altronde.
Chiarii subito che a quel mix tra vamp e donna in carriera ero interessato io e che quindi non si doveva fare venire strane idee in testa.
Non si rendeva conto che il tipo che lo voleva accoltellare sarebbe uscito presto di galera e gli avrebbe fatto il culo.
O se ne rendeva conto, non ci pensava.
Io invece ci pensavo, ci pensavo eccome.
Ma dovevo anche pensare a Jole. In fondo se proprio dovevo morire, almeno potevo farlo più tranquillamente se fossi riuscito prima a far in modo che i nostri due corpicini stessero avvinghiati ben ben l’uno all’altro.
Era tardi, maledettamente tardi.
Dovevo andare a lavorare.
Ernesto mi aspettava per la solita riunione del martedì.
E dovevo anche passare prendere il mio collega Roberto. Oddio passare a prendere. Andavo a suonare a casa sua, lui scendeva e proseguivamo a piedi o con la metro verso il lavoro.
Ero troppo in ritardo. E dovevo anche lasciare le buste della spesa a casa.
Non potevo chiedere a Gilberto di portare le buste a casa mia. Se Jole non era uscita di casa, quel porco era capace di andare a suonarle  a casa.
E allora si che mi sarei giocato le residue chances.
Farmi accompagnare da Gilberto non mi sembrò una buona soluzione: quella macchina poteva fermarsi da un momento all’altro e non potevo rischiare di arrivare tardi alla riunione. Questa volta Ernesto mi avrebbe proprio fatto cacciare a vita dalla mensa.
Optai per il taxi.
Lasciai le buste a casa. Il taxi mi aspettava giù.
Scendendo la vidi. Era in macchina e discuteva animatamente con un uomo. Lei era al posto di guida, lui a fianco. Non riuscivo a vedere come fosse fatto questo stronzo che allungava i suoi tentacoli verso Jole. Ma lei lo respingeva fermamente.
Ma francamente non mi sembrò ci fosse qualcosa di violento o di pericoloso per Jole. E quindi mi feci gli affari miei. E poi per quel poco che ne sapevo di lei, poteva anche essere suo marito e “tra moglie e marito non si deve mai mettere il dito”.
Salì sul taxi velocemente e mi diressi verso casa del mio collega.
Nel corso del tragitto una domanda dominava in continuazione i miei pensieri” Lo stronzo è un concorrente?”
La situazione si complicava.
Ci avrei pensato in ufficio, dopo la riunione, come al solito.

XII
“Ma io fossi in te aspetterei un po’. Devi sbollentare un po’. Se ti butti subito a capofitto su di lei, magari si spaventa. Aspetta un po’, così magari cresce anche il tuo fascino, l’interesse che lei ha per te”
“Si, ma ho visto che c’era uno sotto casa sua questa mattina”
”Appunto se c’è un concorrente è meglio aspettare. Magari se tu gli fai pressione da una parte e lui dall’altra, lei esplode e rimanete tutti e due con un palmo di naso”.
Era sempre lucidissimo Roberto quando esponeva le sue teorie in materia di donne.
Ed effettivamente aveva un bel curriculum, gli si poteva certamente dare credito.
Intanto ci stavamo distraendo un po’ con le belle ragazze di Roma.
Gli occhi si giravano a una velocità impressionante.
Cercavamo di catturare ogni immagine,ogni dettaglio, applicavamo al meglio la teoria dell’’”astrazione”.
In base a tale teoria, che ci espose un nostro collega più anziano qualche anno prima, ogni donna è meritevole di attenzione, ogni donna si fa notare per almeno un particolare. Anche la più brutta può avere un bel seno, delle belle gambe, un bel culo, una bella schiena o un bel culo-schiena.
Era un gioco da adolescenti puri, ma non facevamo del male a nessuno e cercavamo di  distrarci un po’ prima che iniziasse la giornata di lavoro.
Molte avevano quasi tutti i dettagli a posto e non sapevi quale dettaglio guardare prima.
Certo se Jole mi avesse visto all’opera non mi avrebbe più degnato nemmeno di un saluto. Per fortuna lavorava a casa, anche se quella mattina era in macchina con un uomo davanti casa mia.
Ci avvicinammo a grandi falcate verso il negozio e cominciammo a sistemarci la cravatta.
Raccontai a Roberto l’avventura con Gilberto.
Non ci voleva credere. Non poteva credere che fossimo stati così stupidi.
“Certo se a quel tizio come immagino daranno la condizionale, siete un po’ nei casini tu e Gilberto. Mi sa che vi devono dare la scorta.”
“Effettivamente  si”
Il fratello di Jole ci aspettava davanti al negozio.
Non ci dovevano essere buone notizie.
E infatti mi spiegò che a quel tizio avevano dato la condizionale, che speravano di incastrarlo per qualcosa di più grosso da poterlo tenere dentro per vari anni.
Si mostrò dispiaciuto.
Mi disse che non potevano metterci una scorta, perché c’erano casi più gravi e i soldi a disposizione della polizia erano pochi. Comunque mi assicurò che avrebbero fatto di tutto per rimetterlo dentro al più presto.
Non sapevo bene che fare. Il segno della croce non me lo facevo ormai da diciotto anni. Chiesi a Roberto se poteva farselo lui per me e se poteva dire anche una preghiera per me.
Acconsentì. Era veramente un amico. Ridemmo, anche se c’era ben poco da ridere.

XIII
La riunione durò due ore. Ernesto ripeteva sempre la stessa cosa, aggiungendo ogni tanto qualche termine in francese o in latino per confermare ancora di più che stava parlando del niente.
Lui stesso ne era assolutamente consapevole.
Una mattina mi aveva spiegato cosa pensava suo suocero del negozio.
Il suocero aveva lavorato in negozio fino a qualche anno prima che lui prendesse servizio.
La moglie di Ernesto già lavorava in negozio quando lui aveva cominciato.
Si erano subito innamorati e si erano sposati subito.
Una bella favola d’amore, mentre le parole del suocero sull’attività della nostra azienda non sono per niente poetiche.
Ernesto me le riferì un giorno che io feci la mia solita sceneggiata per fargli credere che ero troppo stressato dalla mole di lavoro che mi assegnava.
Ogni tanto ce n’era bisogno. Lui capiva che stava tirando troppo la corda e si metteva a fare qualcosa anche lui.
E in queste occasioni si rilassava e mi raccontava anche una barzelletta o qualche episodio rocambolesco della sua vita.
Probabilmente romanzava parecchio sulla sua vita, ma il racconto che mi fece quella mattina delle parole del suocero sembrava autentico.
Mi fece completare la sfuriata, era un maestro in questo, poi mi disse
“Vedi Francesco, lo sai cosa diceva mio suocero di quello che si fa qui in azienda? “
“Lo posso immaginare..”
“Lui diceva che qui passiamo il tempo a cercare di mettere peti dentro le bottiglie”
“E’ vero” dissi io cercando adesso di uscire dalla simulazione
“Il problema è che ci riusciamo pure” disse e si allontanò ridendo.
Quella mattina si dimostrò particolarmente in palla. Riempì parecchie bottiglie e ogni volta che ne completava una mi guardava e mi sorrideva per farmi capire chi è che comandava.
A mezz’ora dalla fine stavo quasi per addormentarmi. Mi salvò un sms di Gilberto “Il poliziotto mi ha detto che il malvivente è a piede libero. Che facciamo?”.
Gli avrei voluto rispondere di comprarsi una pistola, ma temevo che lui l’avrebbe comprata davvero.
Risposi in modo interlocutorio “Tranquillo tutto si sistema. Comunque cerca di uscire poco e non andare mai nei posti dove c’è poca gente”
Mi rispose con una faccina sorridente. Secondo lui bastava che facesse come dicevo io e il problema era già risolto.
Finita la riunione, stremato, mi andai ad accasciare sulla sedia del mio ufficio.
Ripensavo a tutte le stronzate farcite che avevo sentito.
Ascoltai Brahms, le sue marcette allegre erano capace di tonificare il mio umore in qualunque momento.
E ne avevo bisogno, perché mi aspettava un altro pranzo con Ernesto.
Era già il secondo pranzo in pochi giorni. Non capivo il motivo di questo nuovo invito.
Non c’erano altri motivi che potessero giustificare qualche altra sua vendetta nei miei confronti.
E di lavoro non si parlava mai durante il pranzo.

XIV
Si trattava di una donna.
Era quasi impossibile da credere.
Ernesto aveva sempre manifestato un amore a prova di ogni tentazione per sua moglie  e la sua famiglia.
E adesso era lì che si confidava come un adolescente con me.
La descrizione della sua fiamma non lasciava spazio a molti dubbi.
Era Jole. Anche perché mi disse dove abitava.
Mi raccontò che l’aveva conosciuto all’inaugurazione di una mostra d’arte che aveva organizzato la società di Jole, che si erano scambiati il numero e che erano andati una volta a cena insieme.
Dopo quella cena lei aveva declinato tutti gli altri suoi inviti.
E così quella mattina che avevo visto Jole con un uomo quell’uomo era lui che era andato sotto casa sua a dichiararle il suo amore.
Ma non capivo ancora cosa volesse da me.
Poi tutto mi fu chiaro ad un certo punto.
E già perché era impossibile che, nonostante io non glielo avessi mai detto, Ernesto non sapesse esattamente dove abitavo.
Non me lo disse esplicitamente ma con un abile gioco di parole, come al solito.
“Tu abiti in quella zona più o meno vero? Ti volevo chiedere, io ho una sua foto, sai con facebook oggi è semplice. Magari potrei fartela vedere e ti do l’indirizzo, magari la mattina puoi vedere i suoi movimenti, vedere se c’è qualcuno che la viene a prendere..”
Mi aveva messo nel sacco questa volta. Non potevo dirgli di no
“Ma cosa dovrei fare esattamente?” Cercai di prendere tempo.
“Ma niente solo capire se sta con qualcuno, in generale che vita fa”
Cercai un sorriso convincente e lo trovai. Anche perché sapevo già cosa gli avrei detto: le stesse cose che all’inizio mi raccontava Giovanna di Jole.
Andammo nel suo ufficio.
Mi mostrò la foto su face book di Jole.
Non l’avevo mai vista su face book. Rendeva molto anche al computer, bucava proprio lo schermo. Era leggermente truccata in quella foto. La cosa non mi dispiaceva. Dovevo dirglielo non appena l’avrei vista che un po’ di trucco le donava.
“E’ veramente una dea, mi fa letteralmente impazzire. Ma lo vedi che sorriso che ha?” Era una scena veramente imbarazzante. Ernesto sembrava un adolescente innamorato.
E io ero in forte imbarazzo. Non lo avevo  mai visto così fuori dal suo personaggio: sempre attento, sempre misurato, mai uno sguardo che tradisse una minima debolezza.
Adesso mi faceva quasi venire la voglia di abbracciarlo per quanto sembrava vulnerabile.
E’ proprio vero che quando l’amore colpisce possiamo difenderci quanto vogliamo, la corazza cede, persino la corazza di Ernesto.
Ma quel figlio di puttana comunque aveva puntato la donna che volevo anche io.
E non andava mica bene. In più mi chiedeva pure di spiarla.
Non ero tanto preoccupato del fatto che dovevo spiare Jole quanto di come avrebbe reagito Ernesto quando si sarebbe accorto che Jole voleva un altro e non lui.
Perché non c’erano dubbi, lei voleva me, ma mi dovevo sbrigare ad andarmela a prendere.
Gliela intortai alla bell’ e meglio
“Senti potrei cominciare subito a spiarla. Se mi lasci uscire subito, faccio un giro nel mio quartiere per vedere se la incontro. Sai se arrivo per le 5 e mezza, sai nel quartiere, a quell’ora rientrano tutti dal lavoro e ho più possibilità di incontrarla”
Non me lo voleva dare l’indirizzo preciso, tanto lo sapeva che avevo capito che sapeva esattamente dove abitavo.
Certo era proprio un gran figlio di puttana, l’avrei anche potuto denunciare per violazione della privacy, ma avrei perso il lavoro  e poi la vendetta è un piatto che va consumato freddo.
In qualche modo gliela avrei fatta pagare.
Acconsentì alla mia richiesta.
“Ok, vai tranquillo”
Mentre uscivo dalla porta del suo ufficio volle ultimare la sua sceneggiata
“Ma non te la stampi una foto? Come fai a riconoscerla?”
”Non ti preoccupare, è talmente bella che non posso non  ricordarmi il suo viso”
Finalmente mi liberai di lui.
Non lo volevo più abbracciare. Era stato un attimo di cedimento. E se Jole non poteva essere che mia, un motivo c’era. Io ero io e ed Ernesto era Ernesto. E Jole era Jole…

La prossima settimana il romanzo riprenderà da dove è stato interrotto.
Saranno gli ultimi capitoli … non perdeteli
Qualsiasi vostro commento è gradito … a presto.

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