William Shakespeare e il respiro dell’eternità

Un respiro di eternità, un soffio di magia, un senso di poesia, di grandezza, di meraviglia: questi sono i sentimenti che suscita la visione di una qualunque opera di Shakespeare, scomparso quattrocento anni fa ma immortale nel ricordo e nella ricchezza culturale che ci ha lasciato

Le sue opere come modello di perfezione stilistica, la sua analisi storica profonda e dettagliata, i suoi personaggi che coprono tutte le sfaccettature dell’animo umano, il suo essere un uomo vissuto a cavallo fra il Sedicesimo e il Diciassettesimo secolo eppure tuttora di straordinaria attualità, la bellezza di dialoghi destinati a rimanere impressi nella memoria di chiunque abbia avuto la fortuna di leggerli o di ascoltarli. E poi il suo ritmo incalzante, il suo susseguirsi di pause e scene d’azione, il suo mettere in scena una costante lotta dell’uomo contro il destino, talvolta contro se stesso, comunque contro ogni inganno e malvagità, fino a soccombere e a crollare sotto i colpi dell’ingiustizia o a trionfare ponendosi comunque interrogativi sul destino e le sorti dell’umanità.
Nel teatro shakespeariano ciò che colpisce è la ricchezza, la varietà, la moltitudine, la complessità, l’incredulità che desta negli spettatori questa narrazione che sembra sia stata realizzata appositamente per un film hollywoodiano quando invece, è bene ricordarlo, l’autore è vissuto in un’epoca nella quale non esisteva nemmeno la radio.
Colpiscono gli imprevisti, le conclusioni, le trame, la capacità dei personaggi di prendere la scena e impossessarsi dell’attenzione degli spettatori ma, soprattutto, colpisce l’universalità dei messaggi inviati: riflessioni senza tempo, visioni lungimiranti, un campionario di attori pubblici e privati che ricorda, in parte, la vivacità della Commedia dantesca. E anche di Shakespeare è lecito dire che siamo nell’ambito del divino, con questo teatro che sopravvive ai secoli e che anzi, più passa il tempo, più si rafforza nei contenuti e nello spessore della lezione che è in grado di impartire.
Un raffinato cantore dell’evoluzione del proprio Paese, un appassionato di vicende storiche e di intrecci sentimentali, un neo-classico prima dell’affermarsi del classicismo settecentesco, un romantico prima dell’affermarsi del romanticismo ottocentesco, un uomo e un autore sempre così avanti da sembrare ancora oggi un precursore di nuove correnti letterarie.

Così come nella poesia è esistita una fase prima e una fase dopo Dante o dopo Leopardi, così come nella musica è esistita una fase prima e una fase dopo i Beatles, allo stesso modo Shakespeare ha avuto un impatto dirompente e, forse, irripetibile sul teatro e sulle modalità stesse di rappresentazione.
E noi, frenetici e insensibili materialisti del Ventunesimo secolo, rimaniamo incantati al cospetto di tanta genialità, ispirati dalla bellezza di opere “fatte della stessa materia di cui sono fatti i sogni” e incantati da questo tumultuoso susseguirsi di vicende che scorrono davanti ai nostri occhi e vi rimangono impresse.
Finché esisterà anche un solo uomo sulla Terra che non si rassegnerà alla barbarie, Shakespeare sarà sempre di moda; e quando anche tutti gli uomini dovessero essersi rassegnati al cinismo, al disincanto e alla scomparsa della cultura, le sue opere dimostreranno di essere più forti di tutto, persino della nostra ostentata e masochistica volontà di annientarci a vicenda.

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