La busta di Giorgio Mereu

Continuiamo con la serie di racconti brevi, scritti da vari autori. Fino all’inizio delle vacanze, verranno pubblicati con una cadenza di circa dieci giorni. Vi presentiamo “ La busta”, di Giorgio Mereu: una rapina da ‘soliti ignoti’

Erano quasi le tre del pomeriggio, Vincenzo il maitre del ristorante “Bacca Rosa” posto in una elegante traversa di viale Parioli, attendeva che gli ultimi clienti seduti in una delle salette riservate finissero di conversare e si decidessero finalmente di alzarsi. Una delle caratteristiche più apprezzate del ristorante, oltre una raffinata cucina  era la tranquillità e la riservatezza. Oltre alla sala grande, c’erano tre salette da pranzo diverse per grandezza di tavolo e quindi per numero di clienti, ma tutte in grado di consentire un simposio lontano da occhi e anche orecchie indiscrete. Solo Vincenzo, stazionando nella zona di servizio tra due corridoi aveva un minimo di visibilità per poter controllare lo svolgimento del pranzo e rispondere prontamente alle chiamate e dai desideri degli ospiti.

Il classico stridore di sedie che si allontanavano dal tavolo ed un crescente volume delle voci, gli fece capire che erano in corso i saluti  tra i commensali dell’ultimo tavolo rimasto occupato.
Dopo pochi secondi, due clienti gli sfilarono accanto diretti all’uscita. Dopo aver ringraziato e salutato,  il maitre sporse discretamente lo sguardo nella saletta. L’onorevole era ancora seduto e gli dava le spalle, vide solo un rapido movimento della mano  che  infilava nella tasca destra della giacca quello che gli parve come un mazzo di carte da “scala quaranta”, solo che era di colore rosa e   non era composto da semplici carte da gioco ma dalle ben note banconote da cinquecento euro.
Vincenzo si ritrasse e mosse di proposito alcuni piatti  su un carrellino da servizio accanto a lui in modo da preannunciare il suo prossimo ingresso nella saletta.
Quando entrò, l’onorevole era ancora seduto e armeggiava con il suo telefono cellulare.
“Desidera ancora un caffè onorevole?” disse a bassa voce.
“No grazie,  caro Vincenzo, senti fammi una cortesia, chiamami un taxi che ho mandato via l’autista a mangiare….anzi no mi faccio una passeggiata… c’è un posteggio dopo la discesina qua …vero?” Rispose l’onorevole senza alzare lo sguardo dal display del telefono da 800 euro a spese dello stato. “Si, onorevole, esca a destra scenda fino all’incrocio, saranno una cinquantina di metri, subito dopo l’angolo c’è il posteggio dei taxi”.
Vincenzo incominciò a riporre le stoviglie usate su un vassoio, l’Onorevole si alzò, si spolverò da qualche briciola, la giacca dalla tasca rigonfia sporgeva innaturalmente dalla linea del bel completo blu ministeriale e accettò con un grazie la cortesia del maitre che lo aiutò ad indossare il cappotto e se ne andò.
Vincenzo rimase a sistemare, prese il portaconto e lo aprì, gli ospiti avevano lasciato tre fogli da 100 euro senza prendere la ricevuta fiscale ed una banconota da venti come mancia. Mentre si infilava la mancia in tasca pensò a che grande differenza c’era con quello che l’onorevole si era messo nelle sue di tasche, d’altronde la differenza tra lui e l’onorevole era nell’importanza.
Insieme ai resti del pranzo, trovò anche un paio di buste da lettera accartocciate, probabilmente avevano contenuto quei soldoni, Vincenzo ne scartocciò una e ne annusò l’interno e gli parve ancora di poter sentire il profumo delle banconote nuove.

L’onorevole, un paio di volta al mese, veniva a pranzo lì. Vincenzo ormai ne conosceva le abitudini e in base al tavolo che prenotava poteva capire se si trattava di un pranzo con la busta oppure un convivio d’altro tipo. Se prenotava la saletta, era per incontri conditi da qualche busta come quella del mazzo dei 500 euro, se prenotava un tavolo in sala allora veniva in compagnia femminile, in questo caso non gli importava di mandare l’autista a mangiare e pretendeva che lo aspettasse in macchina fuori dal locale diversamente da come  pranzava riservatamente, lo mandava via e se ne andava per ultimo a piedi verso il posteggio dei taxi.
Vincenzo viaggiava ormai sui sessanta anni ed era più di quaranta che faceva il cameriere. Gli piaceva il suo lavoro ma di certo non gli aveva dato grandi soddisfazioni e lauti guadagni. Il vedere l’onorevole che in un pranzo prendere tanti soldi  quanti lui non aveva mai guadagnato in tanti anni di onesto lavoro non gli faceva rabbia, gli faceva invidia.

Una volta, verso febbraio raccontò dei pranzi dell’onorevole al fratello, una sera, dopo una cena nel suo giorno di riposo.
“Dici davvero che ogni volta che viene a pranzo da te al ristorante, quel disgraziato si porta a casa un pacco di soldi?”
Ritornò sull’argomento il fratello dopo che la moglie era andata in cucina a fare il caffè . “Non tutte le volte, solo quando prenota la saletta riservata”.

“Ma sei sicuro… sicuro?”
“Guarda, quando prende la mazzetta, rimane a tavola fino a tardi e se ne va per ultimo. Poi mentre sparecchio trovo sempre una busta di carta appallottolata, qualche volta anche due o tre. Si vede che controlla i soldi e se li mette un po’ in tasca ed un po’ in una borsetta di quelle di cotone con il bottone automatico”.
Tornò la cognata con il caffè, solo dopo rimasti soli, il fratello tornò sull’argomento.
“Ascoltami bene fratè: se sto onorevole fa così, famo na cosa , tu un giorno che viene a prendere la mazzetta me lo dici, io lo aspetto fuori con la moto, gli do na scossa glie levo la borsa o gli strappo la tasca  e se damo na sistemata, io all’officina c’ho un po de problemi. I soldi non girano, la gente gira con la macchina rotta e se se ferma va coll’autobus. La scorsa settimana ho dovuto mannà via quel ragazzo che m’ajutava perché non ce la facevo a pagarlo”.
Vincenzo si mise una mano sulla fronte e si grattò:” Lo sai che c’avevo pensato, perché, dico se ti rubano una mazzetta che fai? Gli dici ai carabinieri; m’hanno scippato centomila euro e come gli spieghi che andavi in giro con tutti quei soldi e dove li avevi presi?”.
“Vedi fratè, se po’ fa”.
“Si, ma mica gli puoi sparare!”
“No, mica gli sparo. A negozio ciò una di quelle specie de torce elettriche che danno la scossa, gli metto quella vicino all’orecchio, premo il grilletto e quello sviene per qualche minuto, gli levo tutto e scappo. Quello quanno se rialza nun se ricorda niente  e de sicuro ce penza du vorte prima de fa ‘na denuncia”.

L’occasione per il “colpo” capitò dopo una decina di giorni. L’onorevole prenotò la sala riservata per l’una.
Vincenzo avvertì il fratello. Il ‘progetto criminoso’ fu messo in azione.
Verso l’una arrivò l’onorevole, spiando dalla finestra Vincenzo vide l’auto blu andare via. L’onorevole entrò, aveva in mano una borsa di cotone blu e verde di quelle che regalano ai congressi, e come al solito il maitre lo accompagnò nella saletta.
Una quindicina di minuti più tardi arrivò il suo ospite. Non era il classico manager, era anzi un giovanotto vestito costosamente ma di quel tipo di abbigliamento che si addice ad un nightclub. Aveva maleducatamente lasciato una stupenda  macchina sportiva in doppia fila, fregandosene di chi doveva uscire.
Il tipo, atletico ed abbronzato, salutò l’onorevole e dopo qualche minuto ordinarono il pranzo.
Nei momenti in cui doveva entrare per servire, Vincenzo aveva notato che il “playboy” aveva messo sul tavolo uno zainetto e solo fortunosamente aveva captato il frusciare di un passaggio di carte e buste, probabilmente dallo zainetto alla borsa da congresso dell’onorevole.
Verso le 14 e trenta aveva servito il caffè e dopo poco avevano richiesto il conto. Il primo ad andarsene fu il “playboy” con il suo zainetto firmato.
Cercò di sbirciare per capire se l’onorevole stesse, come in queste occasioni era uso fare, scartando e sistemando mazzette. Ma se lo  trovò davanti già in cappotto ed ombrello, uno sbrigativo saluto e inforcò la porta per andare verso il posteggio dei taxi.
Il fratello di Vincenzo aveva messo lo ‘scooterone’ sul cavalletto parcheggiato per lungo fra due auto e faceva finta di armeggiare nel bauletto posteriore aperto, un pezzo di plastica adesiva copriva la targa.
La strada residenziale era deserta ed una leggera pioggia batteva sull’asfalto. L’onorevole fu costretto a passare tra il motociclista ed il muro coperto d’edera. Il fratello di Vincenzo capì che l’onorevole era dietro lui nel momento esatto in cui uno dei raggi dell’ombrello aperto urtò contro il casco che si era lasciato in testa.
L’azione fu rapidissima, il motociclista fu subito dietro all’onorevole e poggiò il Taser sul collo, pigiando il grilletto una scarica di 80 volts stordì l’onorevole come una randellata in testa.
L’ombrello rotolò in avanti, l’onorevole sbatté contro l’edera e si afflosciò come una marionetta.
La prima cosa ad essere afferrata fu la borsa di cotone, poi il rapinatore lestamente sollevò il cappotto e perquisì le tasche della giacca, dove trovò solo un fermasoldi con alcune banconote.
Il fratello di Vincenzo in poco più di un minuto aveva fatto il colpo, con la borsa nel bauletto la moto saltò in avanti e si allontanò velocemente in una nuvola di fumo di scarico e gocce di pioggia.

Solo una volta sceso il buio, Vincenzo bussò alla serranda dell’officina, il fratello la sollevò e lo fece entrare.
“Nun l’ho aperta, ti ho aspettato, come sta?”
“Stava meglio, ai carabinieri ha raccontato che gli volevano levare l’orologio d’oro, però era pallido sembrava scioccato”.
“Aprimolo dai!” disse il fratello.
La borsa era poggiata sul cofano di una macchina in riparazione.
Vincenzo aprì la borsa e versò il contenuto sul cofano, occhi avidi e ansiosi scrutarono quella cascata di cose: c’erano due custodie con dei cd, un pacchetto con dentro alcune schede magnetiche ed una busta di quelle grosse a sacco, bella gonfia.
Vincenzo aprì la linguetta in metallo e sversò anche questo contenuto sul cofano.
Nella luce del neon apparvero decine e decine di fotografie, prese con un obiettivo nascosto ed altre con un teleobiettivo. Neanche un centesimo, i soldi stavolta li aveva cacciati il politico, in tutte le immagini c’era l’onorevole, mentre nudo si sollazzava con il rozzo playboy che aveva avuto ospite a pranzo.

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