Venezia 74. Da non mancare il Lazzaretto della “virtual reality”

LIDO DI VENEZIA (nostro inviato) – La Mostra di Venezia è la prima manifestazione cinematografica a lanciare un concorso di filmati in realtà virtuale, presentati nell’antico Lazzaretto usato nel XV secolo per gli appestati.

E’ un’isoletta a pochi metri dal Palabiennale e ci si arriva con un piccolo battello, una volta entrati si viaggia in una dimensione onirica rara a trovarsi, vuoi per la particolarità della sede, vuoi per il tipo di rappresentazioni.

Ventidue titoli in gara, tre sezioni tecnologiche nella suggestiva struttura che all’interno possiede un prato verde, un chiosco ristoro e bagni pulitissimi. Il Ministro della cultura Dario Franceschini è stato in visita il 31 agosto, mentre una piccola folla di giornalisti assisteva agli spettacoli. Nel Lazzaretto vecchio ci sono dieci postazioni dove sei in piedi con il casco, altre interattive in spazi più grandi; un teatro virtuale da 55 sedili attrezzati. La visione è assistita da giovani addetti che vigilano affinché nessuno perda l’equilibrio o abbia crisi di panico: la sensazione è fantasmagorica, tridimensionale, ci si sente sospesi nello spazio, soli al buio, lanciati contro una montagna a diecimila metri di altezza. 

L’universo delle realtà virtuali è formato da satelliti differenti per contenuto e tempo. A Scampia, Ciro ti guarda negli occhi e ti dice che finora Gomorra  era immaginato ma adesso ci sei dentro. Bloodless, della regista Gina Kim, in dodici minuti ti fa vivere l’assassinio di una prostituta da parte di un soldato Usa alla Camptown di Dongducheon, in Corea del Sud nel 1993. In The last goodbye un vecchio rivive l’Olocausto nel campo di concentramento dove ha perso i suoi.

Ma ch’è anche “La camera insabbiata” di Laurie Anderson, un’istallazione dove puoi interagire, navigando in un cielo buio e stellato ad alta quota, entrare in porte misteriose accomodandoti in banchi di nuvole e spazi magici dove decidi cosa fare:  interagire musicalmente, scrivere,  muoverti danzando.  Dear Angelica, ha per protagonista una figlia che ricorda la madre attrice (doppiata da Gena Davis), la quale si muove in cieli stellati e ora è una fata, ora una guerriera che affronta draghi, ora un’astronauta, ora piccola e reale in una stanza d’ospedale. In My name is Peter Stillman, il racconto tratto da Città di vetro di Paul Auster, siedi al tavolo, hai davanti la   macchina da scrivere, vedi le gambe di chi scrive fasciate di pantaloni cachi, sui braccioli della poltrona al posto delle tue vedi le sue braccia: sei nell’ambiente e nel corpo altrui. Una sensazione   mai sperimentata se non in sogno.

 

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