Intervista a Joseph Tusiani il poeta che ha percorso l’oceano crudele 
alla ricerca di sillabe

NEW YORK – A breve si terrà la giornata mondiale della poesia istituita dall’UNESCO e per l’occasione, abbiamo intervistato il poeta e umanista Joseph Tusiani.

Ma chi è Joseph Tusiani? Per gli intellettuali, appassionati di poesia e i Pugliesi, Tusiani è fonte di orgoglio da più di mezzo secolo, i più disattenti invece hanno avuto modo di conoscere la sua vita e la sua produzione letteraria grazie al docu-film di Sabrina Digregorio Finding Joseph Tusiani: The poet of two lands. Il Prof. Joseph Tusiani classe 1924, è uno dei poeti più attivi dei nostri giorni, la sua prolifica produzione si espande e si libra in quattro lingue, rendendolo un vate e un veggente allo stesso tempo. Originario di San Marco in Lamis, piccolo comune della provincia di Foggia e trapiantato a New York all’età di ventitré anni, il Prof. Tusiani vanta un palmares davvero speciale, a lui è spettato l’onore di ricevere il prestigioso Greenwood Prize della Poetry Society d’Inghilterra (per la prima volta assegnato a un americano) gli sono stati attribuiti il “Governor’s Award of Exellence” dello Stato di New York e l’importante “Medaglia del Congresso” di Washington. Una carriera accademica di successo rappresenta un’altra faccia della poliedrica personalità di Tusiani: ha, infatti, insegnato alla City University (Lehmann College, Hunter College), alla Fordham University, è stato Direttore della Catholic Poetry Society e Vice Presidente dell’American Poetry Society. Scorrendo la sua biografia e l’impressionante numero delle sue opere dalle liriche da lui stesse composte passando alle grandi traduzioni, ci si chiede come un solo uomo possa aver fatto tutto questo. Merito del suo grande talento, merito della sua grande passione per la letteratura e merito soprattutto della sua voglia d’imparare, ebbene sì perché come sostiene lo stesso Tusiani poeti si nasce o si diventa?

Bisogna imparare il mestiere, bisogna affinare le proprie doti e potenziare il proprio talento. Una vita piena quella di Tusiani, fatta di grandi incontri con personaggi che hanno scritto la storia contemporanea e che in qualche modo hanno cambiato la sua vita e influenzato il suo percorso poetico. Un uomo che come ricorda nella sua poesia Testamentum “ha conosciuto solo un monte, ma ha cantato tutte le vette; ha visto solo una valle, ma ha celebrato ogni profondità”, la sua poesia riesce a evocare suoni, immagini ed emozioni profonde comuni non solo a chi ha dovuto lasciare la propria terra e abbandonare le proprie radici ma a chi conosce l’odore della solitudine e le inquietudini dell’amore nella sua più ampia accezione. Un grande che non ama definirsi grande, e che nonostante i premi e la sua carriera lastricata di successi continua a mettersi in gioco e a tenersi al passo con i tempi, perché il linguaggio e la parola sono in continua evoluzione. Una mente brillante e geniale che nelle giornate uggiose ama ascoltare musica su youtube, un essere umano come tanti ma un poeta e umanista come pochi.

La poesia non ha solo una potenza verbale ma anche emotiva, essa ha un significato ma anche un suono. Il linguaggio del corpo e il modo di leggere e di interpretare il testo possono regalargli una nuova vita. Lei ha una bellissima voce, e attraverso l’uso e la modulazione del tono e del colore è in grado di emozionare chi l’ascolta. Se le avessero chiesto di scegliere un attore per dare voce alle sue liriche, su chi sarebbe ricaduta la sua scelta e perche?
A differenza della musica che conquide immediatamente (bastano, per esempio, i primi accordi del secondo Movimento, “Allegretto”, della Settima Sinfonia di Beethoven a trasportarci in un mondo nuovo e puro), la poesia ci prende lentamente, dopo una essenziale preparazione intellettiva ed emotiva. E anche la voce va preparata perché, se leggiamo la poesia come se fosse una guida telefonica, la stessa Divina Commedia diverrebbe monotona prosa – non Le pare? Per fortuna Madre Natura mi ha dato una buona voce per cui, quando ero vice presidente della Poetry Society of America, mezzo secolo fa, molti poeti famosi affidavano a me la lettura dei loro versi. Se non avessi avuto questo dono e avessi dovuto far leggere le mie cose a qualche buon attore, con molta probabilità avrei scelto Richard Burton o Orson Welles: li conoscevo entrambi personalmente e li stimavo per la loro sensibilità poetica, senza la quale proprio gli attori distruggono la poesia. Come Lei sicuramente sa, c’è poesia che si presta alla recitazione, come, per esempio, il brano dei “Sepolcri” che celebra le glorie di Santa Croce, mentre c’è altra poesia, come quasi tutta quella di Leopardi, che va solo bisbigliata. Si immagina la lirica “A Silvia” letta con voce alta e stentorea?

Lei ha definito la poesia come la Cenerentola delle arti, ma secondo alcune stime ogni anno circa cinque milioni di poesie sono pubblicati in internet. Come se lo spiega? È forse questo lo spazio letterario della poesia contemporanea?
Lei sa che gli Italiani non leggono. E perché mai? Perché scrivono tutti. Un detto antico ci proclama “popolo di poeti e navigatori”. È stato sempre così perché la colossale vanità umana fa sognare una immortalità che non appartiene all’uomo. E poi si è sempre creduto, e si crede ancora, specie da quando si parla di cosiddetto “verso libero”, che scrivere poesia è cosa facile e semplice: basta scrivere a metà pagina tutto quello che ti passa per la testa. Carducci diceva agli aspiranti poeti: “Dovete prima imparare il mestiere”, ma lo diceva con eleganza: “Dovete farvi scudieri dei Classici.” Le faccio un esempio che potrà sembrar banale ma che è invece piuttosto profondo. Chiedo a un giovane appena incontrato: “Sai suonare il piano?” Il giovane mi risponde: “No, non l’ho mai toccato.” “Benissimo,” faccio io, “siediti a questo pianoforte e improvvisa una sinfonia.” “Ma Lei scherza,” protesta il giovane; “Le ho appena detto che non solo non lo suono, ma non so nulla di musica.” A un altro giovane, invece, dico: “Scrivi una poesia, anche breve, e vediamo se Lei è un altro Leopardi.” Il giovane, sapendo che deve scrivere qualsiasi cosa ma solo lasciando grossi margini a entrambi i lati della pagina, il giorno dopo, mi mostra il suo capolavoro, convinto di essere poeta. Ed ecco, tornando alla Sua domanda, perché “ogni anno circa cinque milioni di poesie sono pubblicati in Internet”.

 

Joseph Tusiani interpreta alcune delle sue poesie



Un genere o uno stile poetico non s’impongono mai per caso, possiamo considerare le canzoni dei grandi cantautori come una forma di poesia contemporanea? In fondo la poesia ha di per sé una musicalità e nella sua forma antica era accompagnata da strumenti musicali. Possiamo considerare le canzoni un’evoluzione della poesia e del suo linguaggio?
Il caso di Fabrizio De Andrè è molto eloquente. Oggi la migliore canzone italiana ha un testo altamente poetico che gareggia con la vera poesia, anzi è vera poesia. A volte questa poesia ci fa accettare e amare canzoni musicalmente povere o non affatto ispirate. Ora, questa è la domanda che Le rivolgo: “Se una canzone musicalmente povera scompare, continuerà a vivere la poesia del testo?”

La poesia in qualche modo ci rappresenta, un poeta, infatti, mette su carta la propria vita con libertà confessoria e con pathos esistenziale. In qualche modo la poesia rappresenta una memoria che fa fatica a sopravvivere?
È stato detto che un poeta, in tutta la sua produzione, scrive una sola poesia e il romanziere un solo romanzo. La stessa cosa diciamo del compositore, del pittore, ecc. L’artista attinge sempre al mondo che è suo e conosce meglio – se stesso. Ogni sua opera, qualunque sia il tema o l’ambientazione o l’esecuzione, è sempre filtrata attraverso la sua psiche, per cui immediatamente riconosciamo lo stile di questo o quel poeta, di questo o quel compositore. È questa (mi si passi il termine) riconoscibilità che prolunga la memoria dell’artista e, dunque, dell’arte.

La quinta stagione oltre ad essere il titolo di un suo libro, rappresenta anche quello scrigno segreto fatto di ricordi, dolori e di vissuto più profondo che tutti tendono a celare dietro le parole e i gesti ma che inevitabilmente s’insinua e si esprime nei fragorosi silenzi. La chiave per aprire il suo scrigno segreto è la poesia?
Sì, per “Quinta Stagione” intendevo, come Lei dice, quello scrigno segreto fatto di ricordi, di dolori, di speranze, di malinconie, di sogni, ecc. Ma intendevo anche l’umana solitudine che ci accompagna dalla nascita. Noi siamo soli e lo saremo fino al nostro ultimo giorno. Perdiamo, per esempio, la mamma o un’altra persona cara. Gli amici che ci stanno intorno ci offrono pronte parole di condoglianze e sono sinceri perche ci vogliono veramente bene; ma possono quelle parole colmare il vuoto che si è creato in noi? Assolutamente no. Perché proprio quelle parole, calde ma inutili, acuiscono il senso della nostra solitudine. Fortunatamente, a salvarci dalla totale disperazione onde prolungare se stessa, Madre Natura ci ha dato la musica. Le cito qui due versi dalla “Francesca da Rimini” di D’Annunzio: “Fin dall’infanzia prima/ la musica piegò l’anima nostra/ come l’acqua del rivo piega l’erba/ : dolce cantare spegne ciò che nuoce”.

Di recente a Roma è stato presentato il documentario “Finding Joseph Tusiani: The poet of two lands” per la regia di Sabrina Digregorio. Che cosa ha provato nel ripercorrere le tappe della sua vita e del suo lavoro sotto lo sguardo di una telecamera?
Questo documentario riguarda me, è vero, ma è un monumento alla regia di Sabrina Digregorio per la quale ho immensa ammirazione, io che, fino al giorno di questa avventura del tutto nuova, non avevo la minima idea del lavoro e dell’intelligenza che quest’arte richiede. Ho soprattutto ammirato e apprezzato la scrupolosa e quasi cavillosa attenzione con cui, per il successo dell’azione totale, la giovane regista coglie e registra i minimi particolari di una scena, le sfumature più riposte di un suono o di un colore. La sua geniale fissazione per il chiaroscuro caravaggesco si manifesta in un gioco trionfale di tale drammatica evidenza ed efficienza che, nelle due fasi in cui il docu-film è stato girato, a San Marco in Lamis e a New York, più che a ripercorrere le tappe della mia vita io pensavo solo alla lezione che mi impartiva Sabrina: il perché di una pausa, la necessità di una ripresa, l’importanza di un accento, ecc. Mi rendo conto del suo lungo e paziente lavoro ed è per questo che ora le auguro il successo che ella merita in quest’alba della sua carriera.

Vinícius de Moraes scriveva “La vita è l’arte dell’incontro”, se non avesse incontrato e conosciuto Frances Winwar il suo “Pigmalione”, crede che sarebbe diventato lo stesso un poeta? Quanto sono stati importanti gli incontri e le affinità elettive nella sua vita?
“Diventato” lo stesso poeta? Ma si nasce o si diventa poeti? Se non c’è Galatea, a che serve un Pigmalione? Le faccio una confessione: il termine “poeta” mi dà fastidio, mi fa pensare alla baggianata di Renzo che si sentì poeta dopo aver alzato il gomito nell’osteria di Milano. Ah, i poeti! I poeti bisognerebbe soltanto leggerli e mai conoscerli di persona. Non verremmo così a scoprire, per esempio, il patetico lato istrionico di un Salvador Dalì, la violenta volgarità di un Dylan Thomas, senza parlare di un Mozart o di un Wagner. L’arte è sempre divina; è l’artista che, quando l’arte lo abbandona ed egli cessa di essere artista e rientra nella sua misera creta, ci sorprende e a volte offende con la sua mortale umanità. Io, certo, fui fortunato per avere incontrato lungo il sentiero della mia vita personaggi come Kennedy, Martin Luther King, Jr., e, soprattutto, Frances Winwar e Arturo Giovannitti. Senza questi due, sicuramente la mia poesia sarebbe stata diversa, perché sarei stato diverso io.

A giorni si terrà la giornata mondiale della poesia, istituita dall’UNESCO. Se le chiedessi di scegliere dei suoi versi che la rappresentino o ai quali si sente profondamente legato, quali sceglierebbe?
Sa che l’UNESCO ha iscritto il mio libro “The Complete Poems of Michelangelo” nella Serie Permanente dei suoi “Classici in Traduzione”? Ebbene, proprio Michelangelo, la cui poesia io ho fatto conoscere al mondo anglo-sassone, ha un verso stupendo che potrebbe essere il migliore augurio che si possa fare per il successo della Giornata Mondiale della Poesia: “Una lucciola sol gli può far guerra.” Come una sola lucciola può far guerra alla notte e sconfiggerla, possa la poesia, se non debellare, almeno dissipare l’enorme tenebra del male umano.

 

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