Franceschini: «Art Bonus, cosa cambia»

 

Tutte le nuove norme: defiscalizzazione, digitalizzazione, brand, servizi aggiuntivi, rapporto pubblico privato

ROMA – Il 22 maggio 2014, il Consiglio dei Ministri ha approvato Art Bonus, il nuovo decreto cultura. Dario Franceschini, ministro dei Beni culturali e del turismo, racconta le novità  ad “ArteMagazine”. 

Finora, tra l’Italia e gli altri paesi europei – a partire dalla Francia – c’è stato uno “spread” molto alto in rapporto alla defiscalizzazione degli atti di liberalità in favore del patrimonio culturale. Alla norma sul mecenatismo contenuta in Art Bonus seguiranno ulteriori strategie per incentivare il contributo dei privati? Se sì, quali?

«Il settore della cultura e del turismo rappresenta per l’Italia una enorme opportunità per uscire dalla crisi e rilanciare lo sviluppo. L’Art Bonus è una vera e propria rivoluzione nel rapporto tra pubblico e privato nella cultura, che contribuirà a immettere nuove risorse in questo ambito. I privati che investiranno sul restauro e la conservazione di beni culturali pubblici, otterranno un credito di imposta del 65% detraibile in tre anni. In questo modo l’Italia si riallinea agli standard europei. Ora chiamerò personalmente le grandi aziende del Paese, le coinvolgerò pubblicamente. Più volte mi sono sentito dire: “Mi piacerebbe, ma non ci sono gli strumenti…” Ora lo strumento c’è, e non esistono più scuse. In vista del semestre UE di presidenza italiana, poi, intendo affrontare proprio con la collega francese Aurélie Filippetti questo tema nel corso di un incontro pubblico che dovrà lanciare idee, proposte e contenuti per un’azione ancora più incisiva in questo ambito».

La defiscalizzazione degli atti di liberalità è il primo passo. Ma qual è lo strumento di programmazione territoriale che orienta le erogazioni su tutto il territorio, evitando che il mecenatismo si concentri soltanto nelle zone più ricche del Paese?

«Al ministero verrà costituita una struttura per incentivare le donazione che avrà anche il compito di indirizzarle verso siti meno noti ma non per questo meno meritevoli di tutela e valorizzazione».

La norma sulla digitalizzazione, per ora, riguarda il settore turistico. Pensa che si possa estendere ai Beni culturali, per realizzare un grande database che diventi l’enciclopedia in Rete del patrimonio culturale italiano?

«È stato fatto un grande sforzo per la defiscalizzazione a favore del turismo digitale. In un mondo sempre più tecnologico e connesso, è necessario sviluppare un analogo e parallelo percorso di catalogazione dei nostri Beni, per rendere non solo più razionale e rapido il lavoro e la mole di interventi degli operatori del settore, ma per allargare le fonti di ricerca e conoscenza a vantaggio della grande platea di fruitori della Rete. Un modo per creare una più stretta connessione tra chi promuove il Patrimonio culturale e i milioni di utenti potenziali in Italia e all’estero».

Qualche giorno fa, annunciando la riforma del Terzo Settore, Matteo Renzi ha lanciato l’idea di un servizio civile nazionale. Se così fosse, pensa che una parte di loro potrebbe dedicarsi proprio al processo di digitalizzazione del patrimonio culturale? O, comunque, che i giovani volontari possano esercitarsi in attività legate ai Beni culturali che, per esempio, forniscano crediti formativi per l’università o per l’attività professionale?

«Premesso, con forza, che il terzo settore è sicuramente una realtà che sta molto a cuore al nostro Governo, cercheremo in tutti i modi di coinvolgere i vari operatori per progetti comuni. Proprio ieri ho firmato un protocollo d’intesa, con il Ministro Giannini, che avrà lo scopo di stimolare l’interesse dei giovani sui temi della conoscenza, della salvaguardia e della tutela del nostro patrimonio culturale. L’accordo prevede anche la promozione di un progetto nazionale di alternanza scuola – lavoro, destinato agli studenti delle scuole superiori. L’attività si svolgerà all’interno dei nostri luoghi della cultura e attribuirà, agli studenti che ne prenderanno parte, crediti formativi curriculari, oltre ad offrire loro occasioni dirette di conoscenza, formazione e orientamento professionale nel settore del patrimonio culturale italiano. Con il decreto Art Bonus, inoltre, è previsto il coinvolgimento di laureati in beni culturali under 29 in progetti di accoglienza e assistenza al pubblico proprio con il ricorso al servizio civile nazionale».

Ieri con il ministro Stefania Giannini avete annunciato importanti misure sull’insegnamento della storia dell’arte. Ci spiega meglio?

«È molto semplice, c’è un impegno comune tra i ministeri dell’Istruzione e dei Beni culturali  a reintrodurre, dove è stato tolto, e valorizzare, dove è stato ridotto, l’insegnamento della storia dell’arte nelle scuole. L’idea di ridurre drasticamente lo studio dell’arte nelle scuole è stata una scelta profondamente sbagliata e come tale va corretta».

È stata molto apprezzata la norma sulle “Foto libere”. C’è una strategia per l’uso di immagini di opere d’arte e di monumenti italiani per realizzare operazioni di merchandising e leasing allo scopo di finanziare i musei? Qual è la necessità di creare un “brand paese”?

«Nel dl Art Bonus abbiamo introdotto una parziale liberalizzazione del regime di autorizzazione della riproduzione e della divulgazione delle immagini di beni culturali per finalità senza scopi di lucro quali studio, ricerca, libera manifestazione del pensiero; i turisti potranno fotografare liberamente e senza i vincoli precedenti le opere d’arte esposte nei musei italiani ma solo se si tratta di foto a uso personale e non a uso commerciale. Quanto al brand paese, si tratta di dare concretezza ulteriore a una realtà di fatto: l’ineguagliabile ricchezza del nostro Patrimonio, il tasso di riconoscibilità che ha nel mondo, il concetto stesso di ‘made in Italy’, sono già dei marchi dal potenziale economico indiscutibile. Dobbiamo soltanto approfondire quelle strategie di promozione che consentano alla più preziosa materia prima del Paese di avere il valore che le è proprio».

Corre voce di rivedere la norma Ronchey sulla gestione privata dei servizi aggiuntivi nei musei. Qual è la sua posizione a riguardo?

«Penso che la sua domanda si riferisca ad una mia recente dichiarazione sulla gestione delle mostre e dei bookshop. A riguardo ho detto, e lo ribadisco, che non mi rassegno al fatto che queste attività debbano, per forza, essere date in affidamento ai privati. Credo si debba tornare almeno all’opzione di scelta cioè alla possibilità di gestione dei servizi pubblici aggiuntivi da parte dello Stato. Per quale motivo un grande museo non può gestire direttamente questi servizi? Ma è un discorso in prospettiva: al momento lo Stato non è pronto».

In Francia vige l’esemplare statuto dei lavoratori della cultura, dello spettacolo e dell’arte, i cosiddetti “intermittenti”. Pensa che anche la politica italiana debba fornire un riconoscimento giuridico a tali lavoratori?

«La definizione di specificità giuridiche di una categoria è un atto formale che, come sempre nel diritto, attesta e coincide con un fatto sostanziale. È una materia che comporta ovviamente discussioni e procedure. Posso dire che questo Ministero crede fermamente nella sostanza della professionalità dei lavoratori della cultura, e la promuove, contribuendo anche alla ricerca degli strumenti più efficaci e condivisi per permettere di lavorare al meglio alla bellezza e al Patrimonio culturale del Paese».

 

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