Fotografia. Das ding – dal di dentro, la ricerca di Emma Vitti sull’ambiguo rapporto tra contenitore e contenuto

PIETRASANTA – Tra gli elementi ricorrenti nel vocabolario immaginale di Emma Vitti c’è l’involucro: un bozzolo di cui liberarsi, una pelle che sta cambiando, una pellicola trasparente che vela – rivelando – qualcosa che preme, sotto. Una chiusura, strutturale o involontaria; una protezione, un’impossibilità. Una membrana da squarciare o una coltre sotto la quale sia possibile respirare silenziosamente.

Nella produzione degli ultimi anni vediamo sacchetti di cellophane che custodiscono, o proteggono, fiori, foglie, petali. La bellezza dei fiori e la loro seduzione estetica non distolgono però dalla percezione di una sorta di asfissia che innesca riflessioni attorno alle  membrane e agli involucri che si frappongono nelle nostre vite, che vi si insinuano ostacolando le nostre relazioni.

In Das Ding l’autrice milanese approfondisce ulteriormente la propria ricerca sull’ambiguo rapporto tra contenitore e contenuto, entrando nei laboratori e nelle fonderie di Pietrasanta per fotografare le gomme utilizzate dagli artisti per la fusione delle sculture: muovendo, distorcendo queste membrane di lattice, avviene che la metafora dell’involucro si sciolga e diventi inequivocabilmente pelle, la pelle di un corpo. Ma succede anche che la gomma rimanga immobile, irrigidita nel suo guscio protettivo o si sottragga e deperisca nel processo della fusione. Il corpo, assente, è continuamente allucinato nell’instabilità della nostra percezione del rapporto figura-sfondo. La pellicola diventa un confine di carne, il limite che regola la dialettica illusoria del pieno e del vuoto.

Scrive Laura Pigozzi: “[…] I lattici antropomorfi di Vitti mostrano che il corpo cavo non è vacuo: è cavo perché qualcosa vi possa risuonare; è cavo al modo in cui è cavo un vaso – prima eco dell’arte umana – definito precisamente dallo spazio che lo rende contenitore. Il ragionamento inconscio di Vitti sull’involucro è sottile e coraggioso: le permette di installare la Cosa, Das Ding, al centro dell’immagine, quel centro velato che la allude per non farci precipitare mortalmente in essa. L’involucro di Emma è una metafora dell’anamorfosi, l’unica prospettiva da cui poter guardare e far vedere il sublime e l’orrore: La Cosa si può, allora, cogliere da un punto di vista possibile. Das Ding può mostrarsi attraverso il cavo, il doppio, la ferita, la pelle, l’organo: polmoni, cuore, doppi uteri a clessidra che segnano il tempo, feti gemelli che divergono. Das Ding, nascosta e visibile, sta lì a fare enigma e a porci la sua incessante interrogazione. A tutti noi, nessuno escluso. […]”

L’immagine/logo della mostra è emblematica e misteriosa: come osserva Roberto Mutti, […] “siamo inevitabilmente arrivati al momento più alto di questo percorso: finalmente appare il baluginio dell’oro che la luce ritrova sulla superficie metallica. La bellezza da esporre, tuttavia, la possiamo solo immaginare perché a Emma Vitti interessa ritrovare le graffiature, gli aggiustamenti, le abrasioni in cui ritrova le rughe, i segni, le cicatrici che non sono le imperfezioni ma le tracce che la vita ci ha regalato. Non è un caso se il titolo “Ferita splendida” somma alla piacevolezza del suono la contraddizione di un ossimoro. Proprio come nell’ultimo movimento di una sinfonia, ora tutto volge a un lento spegnersi”[…]

In mostra negli spazi di Palazzo Panichi di Pietrasanta circa 40 fotografie, stampate in varie dimensioni, che, sala dopo sala ci conducono in un viaggio visivo alla scoperta di risonanze interiori che non possono essere che soggettive e dunque uniche. L’artista si apre alla condivisione delle proprie visioni.

Emma Vitti nasce a Torino e si diploma in Pittura presso l’Accademia Albertina di Belle Arti. Docente di discipline artistiche e autrice di numerosi testi nell’ambito della sperimentazione didattica, nel 1992 lascia l’insegnamento per dedicarsi allo studio degli aspetti terapeutici dell’arte nella cura del disagio psichico e sociale. Da dieci anni insegna in una scuola di Arteterapia di Milano.

Dagli anni Novanta, con il passaggio dal disegno al medium fotografico, ha inizio il suo percorso artistico, contraddistinto da un impegno culturale che attraversa il linguaggio visivo dentro le più inaudite declinazioni simboliche. Le sue opere sono interfacce che mettono di fronte l’autore e il fruitore in una condivisione orizzontale che significa testimonianza concreta dell’esserci. Un rapporto estremamente lucido e nello stesso tempo visionario con la materia, il corpo, i vissuti emotivi. La sua coscienza artistica è ben radicata nel sentire contemporaneo, calata in una consapevolezza relazionale che la porta a includere l’osservatore, seducendolo o perturbandolo attraverso la forza delle immagini nel proprio atto creativo. Il suo lavoro è presente nelle principali manifestazioni dedicate all’arte e alla fotografia, come MIA, Photofestival e in prestigiose sedi istituzionali quali Palazzo Sant’Elia a Palermo e Palazzo Panichi a Pietrasanta. Nel 2014 ha vinto il Premio Creatività al Photofestival di Nettuno, ha esposto sia in Italia che all’estero. Sue opere sono presenti in collezioni pubbliche e private.

Vive e lavora a Milano.

www.emmavitti.it

Das Ding – dal di dentro

Fotografie di EMMA VITTI

Palazzo Panichi, via del Marzocco 1 / angolo Piazza del Duomo – Pietrasanta (Lucca)
Dal 22 agosto al 10 settembre 2015

Orari:  martedì – domenica 18.00-24.00 | Ingresso libero

Catalogo Edizioni Undicesima, con testi di Alessandro Romanini, Roberto Mutti, Laura Pigozzi

In collaborazione con

Comune di Pietrasantae Centro Arti Visive di Pietrasanta

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