Il Caimano incassa mentre Pd e Idv perdono pezzi

Il Pd ha lasciato per strada 18 deputati dall’inizio della legislatura, trasmigrati in climi più accoglienti. Il partito di Di Pietro perde i pezzi ogni volta che c’è un passaggio parlamentare cruciale. Per non dire, poi, delle strutture a livello locale, dove sovente imperano vecchi arnesi della politica democristiana e socialista

ROMA – Dall’aprile del 2008, mese in cui il centro-destra berlusconiano vinse nettamente le elezioni, il principale partito dell’opposizione, il Pd, ha perso per strada diciotto parlamentari, che hanno cambiato casacca. L’Idv, il più duro e puro partito anti-berlusconiano, ad ogni tornata parlamentare cruciale, vede assottigliarsi la sua truppa. Come se non bastasse, attualmente il Pd è sotto di circa dieci punti rispetto al 2008 nelle previsioni dei flussi elettorali e l’Idv è in netta fase calante. Secondo uno degli ultimi sondaggi di opinione (Emg per La7), l’alleanza Lega-Pdl-Destra di Storace conquisterebbe il 41,3%, mentre Pd-Idv-Sel si fermerebbero al 37,7%. Soltanto un’alleanza strategica in un nuovo centro-sinistra (cioè, il cartello elettorale di sinistra con Udc-Api, volendo escludere il partito finiano) riuscirebbe a superare la percentuale di consensi della destra.

Insomma, la situazione non brilla per l’opposizione, che ieri ha incassato una cocente sconfitta, soltanto in parte giustificata dai “tradimenti”, che molti considerano fraudolenti, di campo da una parte all’altra e dai ripensamenti di personaggi quali Silvano Moffa e Catia Polidori (quest’ultima fra le responsabili dell’organizzazione della kermesse finiana di Bastia Umbra). La realtà è che, perdendo ad ogni passaggio parlamentare di grande rilievo parte dei suoi deputati, l’opposizione dovrebbe almeno riflettere sulle scelte strategiche compiute fino ad ora.

La vicenda di Massimo Calearo, imprenditore del Nord-Est, mai nemmeno per un attimo vicino ad una qualsiasi tematica della cultura di sinistra e la sua candidatura “strategica” decisa dall’allora leader dei democratici Walter Veltroni dimostra l’assoluta incapacità del Partito democratico e dei suoi principali dirigenti (su tutti, Massimo D’Alema e Walter Veltroni) di costruire un blocco sociale omogeneo e di assumerne la rappresentanza politica. Senza più un leader vero di coalizione, come il rimpiantissimo Romano Prodi (che pure Veltroni contribuì a demolire alla fine del 2007 con la sua dissennata critica alla filosofia ulivista), la sinistra rischia di avviarsi tragicamente ad una nuova sconfitta elettorale e, dopo aver donato e salvaguardato nel tempo il patrimonio personale del Caimano, fornirgli anche l’intero Paese in comodato d’uso ultranovantennale. Una prospettiva che consentirebbe la formazione di una nuova maggioranza di destra, con il rilevante supporto del Vaticano, la nascita di una nuova leadership governativa legata a filo doppio con Mediaset e i suoi asset televisivi e la salita al Colle del magnate di Arcore per sette lunghi e temutissimi anni.

Ma anche le sorti dell’altro partito oppositivo (che i sondaggi danno in calo, verso il 4.5-5%), cioè l’Idv, non contribuiscono a rafforzare l’alternativa al berlusconismo. Esattamente come accaduto al Pd con i suoi diciotto parlamentari spariti nella melma parlamentare, anche nel partito dipietrista, ad ogni frangente cruciale, vengono a mancare due o tre deputati. Segno inequivocabile di candidature non ragionate e meditate. Se poi analizziamo la situazione del partito a livello locale, la situazione appare ancora peggiore. L’Idv, fin dalla sua fondazione (1998), è stato utilizzato, a livello locale, come marchio in franchising da stuoli di riciclati socialisti, ex democristiani, ex pidiessini e poi piddini, da assessori maneggioni, o addirittura ex berlusconiani o comunque collaboratori in uscita da Forza Italia che, fiutando l’ascesa della nuova aggregazione politica in termini di voto d’opinione, se ne appropriavano senza alcuna verifica, da parte dell’apparato nazionale, sulle loro biografie politiche. L’Idv è così sovente caduto in mano – come ha denunciato Paolo Flores D’Arcais qualche mese fa – in mani molto spesso sospette, diventando in non poche amministrazioni il puntello del partito dei maneggioni, di assessori che fanno anche i geometri o gli architetti e volgono e stravolgono i piani regolatori secondo il loro guicciardiano “particulare”. Di Pietro dovrà rivedere qualcosa nel reclutamento dei suoi candidati. Il suo metodo, fino ad ora, non ha funzionato.

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