“Colossale sentimento”. La riscoperta di Francesco Mochi, scultore

Francesco Mochi, vissuto tra il  1580 e il 1654, è uno dei grandi  scultori italiani poco conosciuti.  

Uno degli iniziatori del barocco. Di formazione manierista, si trovò spesso in contrasto con il collega Gian Lorenzo Bernini. Nato a Montevarchi, presso Arezzo, il suo stile fu influenzato dalle sue esperienze in giro per l’Italia. Soggiornò e lavorò a lungo anche nella capitale, dove una delle sue opere principali è recentemente divenuta protagonista di un documentario dal titolo “Colossale sentimento”. Il film racconta, in bianco e nero, il ritorno a casa dopo 400 anni de “Il battesimo di Cristo” di Francesco Mochi. Opera realizzata dall’artista tra gli anni trenta e quaranta del 1600 per la Basilica di San Giovanni Battista dei Fiorentini a Roma ma, rifiutata da chi l’aveva commissionata, divenuta peregrina, dimenticata nei secoli. Fino al febbraio 2016 quando è stata nuovamente collocata nella sede per la quale nacque: la chiesa di San Giovanni Battista dei Fiorentini. Avvenimento che segna la riscoperta di quel Francesco Mochi, il cui nome nulla dice al grande pubblico.

“Colossale sentimento”, scritto da Fabrizio Ferraro con Simone Ferrari – curatore dell’operazione con Lucia Calzona e Federica Pirani –  prodotto da Boudu-Passepartout, è stato presentato a novembre al 34° Torino Film Festival come evento speciale fuori concorso nella sezione Internazionale TFF DOC e ora avrà visione nei musei. Il film in bianco e nero, per quasi novanta minuti, è la cronaca dello spostamento delle mastodontiche statue del Mochi, del faticoso lavoro di operai che puntellano mura, scalpellano, restaurano, guidano automezzi e manovrano gru. In alcuni momenti le figure di pietra del Cristo e di San Giovanni Battista, trasportate di notte per non intralciare il traffico, stagliate contro il cielo buio, inondate dalla luce dei lampioni, emozionano per grandiosità, rivelano il talento dell’artista, mostrano una perfezione di sovrumana potenza. Tuttavia il movimento lentissimo della macchina da presa così insistito, diventa ripetitivo e spreca gran parte del fascino della vicenda. Eccessivi quasi novanta minuti solo per documentare il lavoro di trasporto, per quanto encomiabile iniziativa. Non una parola su Francesco Mochi, non una parola sulla nascita del progetto e sugli uomini che hanno voluto riassegnare un artista al suo posto. Tale mancanza lascia un senso di vuoto, anche se è innegabile che il necessario trasloco fisico sia stato un evento colossale.

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