Step Up Revolution. Intervista con Kathryn McCormick e Ryan Guzman

ROMA – Il 4 ottobre esce anche nelle sale italiane Step Up 4 Revolution 3D, il quarto capitolo della celebre serie di film dedicati alla danza. Per l’occasione abbiamo incontrato i due protagonisti, Kathryn McCormick e Ryan Guzman.

Questa è la prima esperienza nel mondo del cinema per entrambi, arrivate tutti e due da mondi diversi, Ryan dalla moda e dalle arti marziali, Kathryn è stata finalista di un popolare reality show sulla danza.
Kathryn: Arrivare da uno show come So you think you can dance mi ha davvero aiutato. Dovevo interpretare un personaggio diverso ogni settimana, con pochissimo tempo per allenarsi, quindi è stato un ottimo allenamento per l’audizione. Non ero per niente preparata a girare questo film, è stata un’occasione spuntata dal nulla, ma sicuramente aver partecipato al reality mi è servito molto.
Ryan: Io sono sempre alla ricerca di nuove avventure. Di nuovi modi per esprimere me stesso. Che siano le arti marziali, il baseball, il college… Ho provato così tante cose nel corso degli anni, e anche la recitazione è stata una nuova sfida, qualcosa che non avevo mai provato prima. Me ne sono subito innamorato! Ma imparare a ballare non è stato facile, anche perché mi sono dovuto confrontare con diversi stili, dal contemporaneo alla salsa, ci sono centinaia di diverse correnti nell’hip hop. Kathryn può testimoniare, in certe situazioni ero veramente frustrato.

Ci sono stati dei momenti in cui credevi che non ce l’avresti fatta?
R: Ogni giorno. Ero esausto, ci allenavamo nove ore durante il giorno e poi altre quattro quando tornavo a casa. È stato molto più difficile per me che per Kathlyn, che invece era già abituata ad un allenamento professionale.

Come si svolge la preparazione per un film del genere?
K: Siamo stati tre mesi a Miami, ma in realtà il primo mese è stato solo di training. E anche quando abbiamo iniziato a girare, non smettevamo mai di provare. Abbiamo passato tutti i week end a preparare le scene che dovevamo girare la settimana dopo.
R: Io devo molto all’esperienza degli altri ballerini. Mi ricordo i ragazzi che erano con me alle audizioni, e ancora non riesco a capire come mai hanno scelto me. C’erano 600 persone per soli dieci ruoli. Abbiamo avuto le prime tre settimane per conoscerci e imparare le coreografie, e ho imparato moltissimo da loro. In qualche modo ho assorbito qualcosa da ognuno, e dai loro diversi stili.
K: è vero, credo sia stato fondamentale che ognuno dei ballerini della crew avesse un suo stile diverso. È stato più facile imparare dei passi e dei movimenti che per il mio corpo erano quasi innaturali perché non fanno parte del mio modo di ballare, proprio guardando gli altri danzatori. Questo è stato uno degli aspetti più belli del lavorare insieme.

Il film dà spazio al fenomeno dei flash mob: avete mai partecipato a qualcosa di simile?
K: Io sì! Ma niente di paragonabile a quelli che si vedono in Step Up 4… non credo neanche che esistano coreografie del genere nella realtà! Quando insegnavo danza a dei bambini abbiamo organizzato un piccolo flash mob ad Indianapolis, c’era una boom box in strada, tutti i ragazzi avevano delle magliette fosforescenti. È stata una bella esperienza.
R: Io no! Ma per la promozione del film abbiamo fatto flash mob ovunque, a New York, Amsterdam, Dallas, Miami. Abbiamo girato praticamente tutto il mondo.

A proposito di flash mob. Pensate che, come nel film, la danza possa diventare veicolo di un messaggio sociale?
R: Assolutamente sì. Il flash mob è un modo molto interessante di protestare, mi piace perché attira l’attenzione delle persone su tematiche e pensieri su cui sarebbe difficile esprimersi solo a parole.
K: Il pubblico viene attratto dai ballerini, viene colto di sorpresa, è costretto a chiedersi cosa stia succedendo. È questo credo l’aspetto più efficace, il vero potere dei flash mob.

Qual’è stato il vostro primo impatto con il mondo di Hollywood?
K: Mi sono trasferita in California quattro anni fa e ci ho messo quasi un anno e mezzo ad ambientarmi. In qualche modo sono riuscita ad avvicinarmi al mondo di Hollywood senza farne completamente parte, scegliendo bene le mie amicizie e non semplicemente un gruppo di persone che vogliono diventare famose ad ogni costo. Credo che questo sia l’importante.
R: L’impatto con Hollywood è stato un po brusco, all’inizio non mi piaceva granchè. Ma ora che mi sono fatto dei buoni amici, lo adoro. Nel mondo del cinema sono stati tutti molto gentili con me, mi hanno accolto a braccia aperte. E ho iniziato la settimana scorsa le riprese di un altro film.

Si dice che tu sia uno dei favoriti per interpretare il protagonista della versione cinematografica del best seller “Cinquanta sfumature di grigio”. È vero?
Ryan: Ecco, molte fan dicono che mi vorrebbero vedere in quel ruolo. E la cosa ha attirato l’attenzione di E.L. James, l’autrice del libro. In questo momento ha cinque possibili candidati per il ruolo di Christian Grey, non posso dire che l’ho ottenuto io, ma… ci sono vicino. Se i fan mi vogliono davvero vedere nel ruolo, lotterò di sicuro per ottenerlo.

Kathlyn, rispetto alla tua esperienza come finalista di So you Think you can dance, qual’è il ruolo della tv e di questo tipo di programmi rispetto al mondo della danza?
K: Ci sono dei lati positivi e dei lati negativi. Credo che grazie a show come quello ci sia stato un grande ritorno della danza davanti al grande pubblico. Riescono a mostrare davvero il lato artistico e professionale del ballo, non solo come un hobby. Non mostrano invece la tradizione, il suo lato storico. In un certo senso questo limita i ballerini, presenta al pubblico la danza così com’è, come un prodotto finito dell’industria dell’intrattenimento. Ma c’è molto di più dietro.

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