Teatro Argentina. “La resistibile ascesa di Arturo Ui” di Bertold Brecht. Recensione

ROMA – C’era una volta, nella Chicago degli anni ’30, un piccolo criminale aspirante gangster. Sfruttando il malcontento della popolazione e la difficile crisi economica, costui riuscì pian piano a costruire la sua potenza e il suo impero: il suo nome era Arturo Ui.

Circondato da scagnozzi ben addestrati e privi di scrupoli, superò faide interne e accuse di corruzione, arrivando finalmente ad annettere la vicina Cicero e diventando monopolista assoluto nel commercio dei cavolfiori.
Ecco in sintesi la trama de La resistibile ascesa di Arturo Ui, opera che Bertolt Brecht scrisse nel 1941 dal suo forzato esilio finlandese, ma che vide le luci della ribalta solo nel 1958. Per capire il perché di una tale distanza temporale, basta cambiare i termini “Chicago” con “Berlino” e “Arturo Ui” con “Adolf Hitler”.
Ne La resistibile ascesa di Arturo Ui si parla di ascesa del nazismo e lo si fa ridendo. Perché – e il pubblico è avvisato fin dalle prime battute – per raccontare simili orrori, a detta di Brecht, l’efficacia della commedia è superiore a quella della tragedia. A Brecht – e Claudio Longhi, qui regista – basta poco a creare delle caricature efficaci: Röhm, Goebbels, Von Hindenburg, per quanto camuffati sotto altri nomi, sono riconoscibili in tutti i loro vizi e le loro (inesistenti) virtù.
A tre anni dal suo primo debutto all’Argentina, l’Arturo Ui di Claudio Longhi torna sullo stesso palco per incassare un nuovo successo di pubblico grazie alla straordinaria prova di Umberto Orsini accompagnato, tra gli altri, da Luca Micheletti e Lino Guanciale. Attori poliedrici, folletti che saltellano tra il pubblico per richiamarlo in sala al termine dell’intervallo, veloci trasformatori di una scenografia che cambia volto con pochi brevi spostamenti di semplici casse di plastica, sanno incantare il pubblico e agghiacciarlo allo stesso tempo.
Perché se questo testo piace ancora a distanza di anni, il merito è del suo grande messaggio. Quello che per Brecht è “un tentativo di spiegare al mondo capitalistico l’ascesa di Hitler trasponendola in circostanze a quel mondo familiari”, si trasforma in un incubo non poi così distante quando si riflette sulle circostanze che quella resistibile ascesa l’hanno provocata: la crisi economica, la sfiducia nelle istituzioni, la corruzione politica e sociale.
Di fronte alla certezza che – come ricorda la canzone che chiude lo spettacolo – “il grembo da cui nacque [Hitler] è ancor fecondo”, le domande poste allo spettatore sono due: potrà capitare ancora? Sapremo evitarlo? Data l’alta probabilità di nuove dittature e di nuovi orrori, la risposta di Brecht è nel titolo della pièce, oltre che in una frase di apertura: “non sfugge al passato chi dimentica il passato”.
Se sapessimo tenere viva la memoria, insomma, potremmo resistere a ogni genere di violenza.
La resistibile ascesa di Arturo Ui
Regia di Claudio Longhi
Con Umberto Orsini, Luca Micheletti, Lino Guanciale, Nicola Bortolotti, Simone Francia, Olimpia Greco, Diana Manea, Michele Nani, Ivan Olivieri, Giorgio Sangati, Antonio Tintis
Al Teatro Argentina fino al 14 aprile

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