Cinema. Spielberg svelerà i segreti di Assange e Wikileaks

ROMA – Julian Assange riterrà questa notizia non di primaria importanza, comunque: Steven Spielberg probabilmente porterà sugli schermi la storia del creatore di WikiLeaks.

Un film che racconti l’infanzia e l’ascesa al ruolo di Persona più Pericolosa del Pianeta. Magari l’allampanato giornalista baratterebbe questa nuova ventata di notorietà con un paio di settimane di tranquillità alle Maldive, da passare solo, in pace, libero, leggendo quotidiani sportivi, bevendo Vodka Martini, chattando amabilmente su Facebook. (Anzi, su Twitter…) Tant’è. La Dreamworks, lo studio cinematografico di Spielberg, ha opzionato i diritti per un paio di libri su Assange: “Inside WikiLeaks: my time with Assange at the world’s most dangerous website”, di Daniel Doomscheit-Berg, il co-fondatore del sito;  e “WikiLeaks: inside Assange’s war on secrecy”, di David Leigh e Luke Harding, due giornalisti del ‘Guadian’. Un portavoce della compagnia rivela che, al contrario di quanto sostenuto da molti organi d’informazione, il grande filmaker non sta lavorando al progetto: i diritti infatti sono stati acquistati da Holly Bario e Mark Sourian, co-presidenti di produzione alla DreamWorks. Al momento, non risultano esserci collegati al progetto né un regista né dei produttori, e quindi si potrebbe dover aspettare anni per assistere al primo ciak. Se mai un ciak ci sarà. Magari, chissà, in futuro, quando le acque (giudiziarie) si saranno un po’ calmate, il grande Maestro potrebbe entrare di prepotenza nella lavorazione.

A gennaio, Barry Josephson e  Michelle Krumm, produttori della Josephson Entertainment, avevano comprato i diritti di un’altra biografia su Assange,  “The Most Dangerous Man in the World” , di Andrew Fowler. Intervistati da Variety,  i due produttori  spiegavano la loro intenzione di trarne un thriller accostabile a “Tutti gli uomini del Presidente”, con Robert Redford e Dustin Hoffman. In questo famoso film di Alan J. Pakula si racconta l’inchiesta dei due cronisti del Washington Post che, rivelando lo scandalo del Watergate, portarono alle dimissioni di Nixon. Una storia forte, sui segreti del potere e sul potere del giornalismo d’inchiesta. E che fa pensare in effetti alla missione di WikiLeaks: rendere pubblico ciò che i potenti (politici o uomini d’affari) non vogliono che lo sia. Tramite la forma più moderna forse del giornalsimo d’inchiesta: con un sistema innovativo di protezione informatica (roba da hacker, quindi), garantire anonimato a chiunque voglia contribuire con le sue informazioni top-secret (spiate: “leak” significa “fuga di notizie”). In sostanza, una missione etica che si basa su un paradosso: svelare i segreti, proteggendo i segreti.

Tra l’altro, non solo il sito e le sue fughe di notizie sono roba da cinema. La vita del fondatore di WikiLeaks, ancora prima che iniziasse l’avventura del sito, sembra proprio un film. Assange, australiano, vive i primi anni della sua vita in un’isola chiamata “Magnetic Island”; quando ha un anno di età, la madre si risposa con un regista teatrale e insieme ne gestisce la compagnia; quando ne ha dieci, la madre si risposa con un musicista new age, col quale ha un altro figlio, e dal quale si separa malamente poco dopo; per paura che le sottraggano la custodia del secondo bimbo, la donna inizia a scappare: 5 anni di fughe per il continente. Assange a 14 anni ha già fatto trasloco 30 volte. A 16 anni inizia a fare l’hacker;  a 18 si sposa e ha un figlio; a vent’anni viene arrestato per hackeraggio; rilasciato per buona condotta, si iscrive all’università  per studiare fisica e filosofia; ma abbandona prima della laurea: per creare WikiLeaks.

Una vita del genere sarebbe davvero uno spreco creativo non trasporla su grande schermo. E sarebbe uno spreco anche trasporla male. Come spesso succede a Hollywood, un’idea potenzialmente vincente viene sviluppata, nello stesso periodo, da due progetti distinti. Due studios che fanno a gara a chi termina prima il film, in quanto si presume che il secondo film ad uscire il sala trovi un pubblico già sazio di quella particolare storia: è stato il caso di “The Truman Show” e “Edtv”, “Volcano” e “Dante’s Peak”, o il caso più eclatante degli ultimi anni:  “Alexander” di Oliver Stone e “Alessandro Magno” di Baz Luhrmann. Le riprese di quest’ultimo film, dopo un lungo lavoro di pre-produzione, non vennero mai iniziate: il ritardo accumulato con la sceneggiatura era tale che di sicuro il film sarebbe stato completato dopo quello di Stone. E si decise di ritirarsi dalla competizione. Le gare di velocità, nel cinema (e non solo), portano quasi sempre a mediocri risultati. Che la gara che probabilmente si concretizzerà, per portare in sala la vita di Assange, si risolva nell’ennesima beffa per l’australiano? Un film all’inizio pensato per Spielberg, alla fine sarà solo un piccolo prodotto per il Tv? Certo, non sarà il risultato estetico di un film la prima preoccupazione di un uomo a rischio di carcere a oltranza. Tuttavia, la possibilità di una beffa cinematografica innesca una serie di pensieri. Fa pensare al film “The Social Network”, di David Fincher: un bel film, che oltre ad aver ottenuto ottimi incassi ha pure vinto degli Oscar. Il film racconta la storia di Mark Zuckerberg, il creatore di Facebook: il ragazzino che col suo faccione riempie la copertina del primo “Time” del 2011, in quanto ‘Uomo dell’anno’. Il sondaggio on line del settimanale aveva eletto Assange; con una decisione che ha fatto gridare allo scandalo (e al complotto), la direzione della rivista ho optato per il ragazzino con le infradito. Questa vicenda della copertina ha involontariamente creato un dualismo curioso. Due hacker, due ragazzi brillanti, due geni ambiziosi. Uno crea un sito per conoscere amici (e amiche…), che diventa il sito più redditizio del web, che regala al suo fondatore la palma di  ricco più giovane del globo, la copertina del Time, un film che fa tanti soldi, che ottiene tante candidature agli oscar, che addirittura ne vince qualcuno. L’altro, invece, crea un sito per svelare le malefatte dei potenti. Finisce in carcere. Che tutto questo voglia significare qualcosa?

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