Gian Maria Volontè: l’attore contro. Vent’anni fa moriva uno dei più grandi interpreti del cinema mondiale

“Io accetto un film o non lo accetto in funzione della mia concezione del cinema. E non si tratta qui di dare una definizione del cinema politico, cui non credo, perché ogni film, ogni spettacolo, è generalmente politico. Il cinema apolitico è un’invenzione dei cattivi giornalisti. Io cerco di fare film che dicano qualcosa sui meccanismi di una società come la nostra, che rispondano a una certa ricerca di un brandello di verità. Per me c’è la necessità di intendere il cinema come un mezzo di comunicazione di massa, così come il teatro, la televisione”.

Parlare di Gian Maria Volontè significa affrontare il significato del mestiere di attore, significa ripercorrere la vita di un artista inquieto, rigoroso, rissoso e soprattutto straordinariamente umano. Sicuramente uno dei più grandi interpreti del cinema mondiale.

Volontè nasce a Milano il 9 aprile del 1933 ma cresce a Torino. Il padre è un milite della Repubblica di Salò, la madre appartiene ad una benestante famiglia di industriali milanesi. La sua è un’infanzia difficile: il padre è arrestato dai partigiani e le condizioni economiche della sua famiglia diventano improvvisamente precarie. Gian Maria a soli 14 anni è costretto ad abbandonare la scuola per poter lavorare e aiutare la madre. In questo periodo nasce nel ragazzo il profondo amore per la letteratura in particolare per le opere di Camus e Sartre. A 16 anni lavora in una compagnia teatrale itinerante ricoprendo i ruoli di aiuto guardarobiere e segretario. Il giovane Volontè si appassiona al teatro e nel 1954 si iscrive all’Accademia Nazionale d’Arte Drammatica Silvio D’Amico di Roma. Durante gli studi si fa notare ben presto come il giovane allievo dotato di maggiore talento. Nel 1957 avviene il suo debutto a teatro per la regia di Franco Enriquez. La sua attività diventa subito frenetica: lavora moltissimo per la televisione e per il teatro recitando testi di Dostoevskij, Shakespeare e Goldoni. Anche la critica ufficiale si accorge delle sue indubbie qualità recitative. Nel 1960 debutta per il cinema con “Sotto dieci bandiere” di Duilio Coletti. Poi lavora con Luigi Comencini, Valerio Zurlini e nel 1962 ottiene il ruolo da protagonista in “Un uomo da bruciare” di Valentino Orsini e i fratelli Taviani. Volontè interpreta con grande partecipazione emotiva il sindacalista Salvatore Carnevale. Nel 1964 arriva la consacrazione grazie alla sua partecipazione al western di Sergio Leone “Per un pugno di dollari”. Volontè disegna con straordinaria efficacia la figura di un bandito messicano sadico, dedito ad alcol e droghe. L’anno seguente è sempre con Leone nel seguito “Per qualche dollaro in più”. Ormai è un attore famoso e richiesto e può permettersi di scegliere con cura ruoli e film.

Il suo impegno politico e civile è noto ed “esplode” con prepotenza nel 1969 grazie a “Indagine su un cittadino al di sopra di ogni sospetto” di Elio Petri. La situazione politica e sociale italiana è allarmante: dalla bomba di piazza Fontana, all’autunno caldo, al movimento studentesco, il Paese sembra sull’orlo della guerra civile.

Il film di Elio Petri – “Volevo fare un film sulla polizia, ma a modo mio”-  è un colpo durissimo ad uno dei simboli del potere: le forze dell’ordine. E proprio in quel periodo il commissario Luigi Calabresi era nel mirino di Lotta Continua per la vicenda della controversa morte dell’anarchico Pinelli. Il regista e lo sceneggiatore Ugo Pirro disegnarono la figura di un commissario di polizia molto simile a quella di Calabresi.

Il successo del film è straordinario, la caratterizzazione di Volontè è probabilmente la più celebre della sua carriera. Il film si aggiudica due Oscar per il miglior film straniero e per la sceneggiatura originale. Inoltre riceve dei riconoscimenti a Cannes, due David di Donatello, un Golden Globe e tre Nastri d’Argento. Gian Maria Volontè è ormai un divo del cinema italiano.

La carriera dell’attore entra nella fase della maturità. I più grandi registi lo vogliono a tutti i costi. Volontè lavora con Francesco Rosi in “Uomini contro” (1970), un lucido affresco sulla barbarie della guerra e nello straordinario e commovente “Sacco e Vanzetti” (1971) di Giuliano Montaldo. In questo dramma, Volontè raggiunge un altro vertice recitativo della sua carriera con il personaggio di Bartolomeo Vanzetti che, insieme con Nicola Sacco, fu ingiustamente condannato a morte negli Stati Uniti nel 1927.

Nel 1972 con “Il caso Mattei” di Francesco Rosi, Gian Maria Volontè tocca probabilmente l’apice artistico e creativo della sua professione. L’attore si cala totalmente nella figura di Enrico Mattei da impressionare la critica internazionale. Ogni particolare della personalità del fondatore dell’Eni è riprodotta dal genio dell’attore: espressioni, toni della voce, aspetti del carattere e delle sue gestualità. La galleria dei personaggi non si ferma e sempre nel 1972 lavora per Marco Bellocchio in “Sbatti il mostro in prima pagina”, una dura critica al mondo del giornalismo; torna con Francesco Rosi per “Lucky Luciano” (1973) e con Giuliano Montaldo in “Giordano Bruno” (1973). Gian Maria Volontè è considerato dalla critica progressista come il miglior attore drammatico del momento.

Negli anni Settanta lascia il segno partecipando a film come 

“Il sospetto” (1975) di Maselli, “Todo modo”(1976) di Elio Petri, in cui interpreta la figura dell’onorevole Aldo Moro e altre due pellicole di impegno politico e civile: “Cristo si è fermato ad Eboli” (1979) di Francesco Rosi e “Ogro” di Gillo Pontecorvo.

La sua iper-attività – nel 1975 si era iscritto al Partito Comunista, i suoi lavori teatrali uniti al crescente impegno politico di vicinanza con la sinistra extraparlamentare – cominciò ad intaccare la sua salute sino ad una serie di crisi cardiache.

Negli anni Ottanta soffre anche di una profonda depressione: il cinema non sembra offrirgli parti degne della sua arte. Partecipa al mediocre “Il caso Moro” (1986) di Giuseppe Ferrara, in cui la sua interpretazione dello statista Dc è straordinaria; al debole “Cronaca di una morte annunciata (1986) di Francesco Rosi e in “Tre colonne in cronaca” (1987) di Luigi Comencini.

Il suo ultimo capolavoro recitativo rimane “Porte aperte” (1990) di Gianni Amelio, tratto dal romanzo di Leonardo Sciascia. Nonostante i frequenti litigi con il regista, Gian Maria Volontè interpreta magistralmente il ruolo di un giudice che si batte contro la pena di morte durante il fascismo.

Nel 1991 riceve il Leone d’Oro alla carriera a coronamento di oltre 35 anni di impegno per il cinema e per il teatro. Nel 1993 è contattato dal regista The Angelopoulos per il film “Lo sguardo di Ulisse”. Durante le lavorazioni è colpito da un infarto e deve rinunciare alla parte. Al suo posto è chiamato l’attore statunitense Harvey Keytel.

Gian Maria Volontè muore a Florina, in Grecia, il 6 dicembre del 1994. I suoi funerali si sono svolti a Velletri, a non molti chilometri da Roma, sua ultima dimora.

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