ROMA – A vederlo così, elegantissimo nelle sale dell’Hotel de Russie di Roma, Colin Firth potrebbe davvero sembrare un agente segreto alla James Bond.
Non c’era probabilmente volto migliore per interpretare la super-spia protagonista di Kingsman, nuovo lavoro di Matthew Vaughn in uscita nelle sale italiane il prossimo 25 febbraio. E del resto, proprio Firth, nella Capitale per la presentazione del film alla stampa, è stato il primo a dire che da bambino sognava di vestire i panni di 007: “Credo che sia una fantasia molto comune – ha detto ai microfoni – ritrovarsi con poteri speciali e una missione da svolgere. Anche se devo ammettere che come agente segreto non sarei stato un granché”. Con lui, a Roma, anche Taron Egerton, che nel film interpreta la giovane recluta a cui Firth insegna tutti i trucchi del mestiere. E ad accompagnare gli attori c’erano Gary Barlow, Mark Owen e Howard Donald, i tre membri attuali dei Take That. Sono stati loro, infatti, a firmare il brano “Get ready for it” per la colonna sonora di Kingsman.
Se era ovvio che la pellicola sarebbe stata l’argomento centrale all’interno dell’incontro, è interessante notare come proprio i suoi collegamenti con la realtà in cui viviamo, abbiano destato le maggiori curiosità. Perché il film in questione, in perfetto stile Matthew Vaughn, è iperbolico, esagerato, surreale e divertente, ma non manca di toccare una serie di tematiche decisamente attuali. A cominciare dall’esigenza, sempre più diffusa, di essere connessi in ogni momento: “In questo film – ha affermato Egerton – si parla senz’altro del nostro rapporto con la tecnologia. Sono un patito di twitter, ma mi sono reso conto che spesso passo un sacco di tempo su internet a leggere cose di cui, in realtà, non mi importa nulla. È un qualcosa che mi attrae, ma che anche mi spaventa.”
Come era prevedibile, non sono mancati interventi su una delle scene più controverse di Kingsman, ovvero il massacro che avviene all’interno di una chiesa, durante una funzione religiosa. Ma a chi chiedeva se si era pensato alla recente strage di Charlie Hebdo, Firth ha risposto con decisione: “Per me – ha spiegato – si tratta soltanto di una scena di pura follia fumettistica. Sarebbe evasivo, certo, affermare che il film non ha connessioni con la realtà. Vi si trovano in base alla sensibilità di ciascuno di noi, ma le riprese sono state realizzate più di un anno fa, e io non faccio collegamenti”.
Del resto, sempre Firth ha sottolineato come si tratti prima di tutto di una storia molto classica, dove ci sono dei buoni e dei cattivi ben riconoscibili, un po’ come in un western. “I riferimenti a Bond sono ovvi – ha aggiunto – ma ci si ricollega anche al mito, e ai cavalieri delle leggende di re Artù, in cui c’è una distinzione chiara tra bene e male. Se esistesse davvero un’agenzia di spionaggio come la Kingsman, con fondi propri e con propri obiettivi, ne sarei spaventato a morte. La nostra storia vive solo nella fantasia, e la dimensione fiabesca è importante quanto quella spionistica”.
E alla fine, Firth rivela che fa parte del mito pure il noto self-control britannico, cifra distintiva dell’agente segreto da lui interpretato: “Per rendervene conto – scherza – provate ad andare a una partita di calcio o a un concerto dei Take That: scoprirete quanto anche questa immagine, alla fine, sia più legata alla leggenda che alla realtà”.