Senato della Repubblica.“L’Orologio di Monaco”, Pressburger raro testimone della storia

In occasione del lancio del dvd, il film è stato presentato nella Sala Capitolare del Senato della Repubblica. Ad aprire l’incontro, il dibattito “Rivedere l’Europa” con Corrado Augias, Roberto Cicutto e Giorgio Pressburger

ROMA – Il nome che portiamo è lo scrigno di una storia che pensiamo di conoscere, solo perché ci appartiene. Ma quando le nostre storie incrociano la Storia, le fila si perdono, le radici sono da ricercare nel tempo. “A metà della mia vita sono venuto a sapere che alcuni uomini davvero determinanti per la storia degli ultimi due secoli sono nati da una famiglia che porta il mio stesso nome”, racconta la voce narrante dal nome Pressburger. Portatore di uno stesso seme che, superando i confini e attraversando il tempo, ha instillato la vita negli animi tra loro più differenti. Karl Marx, Felix Mendelssohn, Heinrich Heine, non hanno niente in comune se non il nome Pressburger. 

“Voglio iniziare con un ringraziamento al destino che mi ha fatto capire cosa vuol dire appartenere alla comunità umana dei vivi e dei morti”, racconta lo scrittore ebreo di origini ungheresi che, oggi a 78 anni e una vita da regista, scrittore e drammaturgo, rimane uno degli ultimi testimoni di guerre, tragedie e rivoluzioni del Novecento. Le rughe sul suo volto tracciano la carta geografica della Mitteleuropa. 

Da ora in dvd, il film di Mauro Caputo presentato al Festival di Roma 2014 e proiettato ieri nel chiostro del convento di Santa Maria sopra Minerva del Senato, si ispira ai Racconti triestini di Giorgio Pressburger, scritti tredici anni fa e poi dimenticati. “Racconti di conoscenti, pettegolezzi da caffè e tristi o ridanciane cronache cittadine”, così nell’introduzione alla raccolta lo scrittore definisce quelle storie di verità e finzione che abitano la sua Trieste. Topos letterario e rifugio quotidiano di Pressburger, che a metà strada tra Budapest e Roma trova in quella città di confine al centro d’Europa, il suo “monumento alla discreta, pigra, stravolta, dolente e gioiosa umanità”. Trieste. 

Nell’Orologio di Monaco, il regista triestino Mauro Caputo traduce esattamente quella dimensione italiana ma anche mitteleuropea dei racconti, quell’aria malinconia di chi fruga tra i ricordi ma anche l’umorismo di una mente arguta. La recherche di Pressburger inizia a Trieste e finisce in Sudafrica, seguendo la genealogia di un albero spoglio ma che non ha ancora perso le ultime foglie.  Tra sonorità zigane e motivi elegiaci, il ritmo è dettato però dal ticchettio dell’orologio di Monaco, che non è il carillon della Torre civica della cittadina bavarese ma il dono che un’anziana zia fece ai suoi nipoti come pegno di memoria e d’amore. Cinque orologi, per l’esattezza, che camminano, respirano, vivono insieme fino alla morte della zia. 

La propria identità dunque, si costruisce sulle ceneri del passato, che Pressburger da ebreo sente la responsabilità di raccontare. “Ciò che mi ha spinto a interpretare come personaggio principale questo documentario – spiega lo scrittore a Il Fatto Quotidiano – è l’attuale tendenza a far vivere solo il presente. Il presente in sé è solo un deserto. Si vive gettando nel proprio Io solo quello che si vede nell’istante che si sta vivendo”. Così la voce calda e gentile di Pressburger accompagna lo spettatore nell’itinerario tra i luoghi mitici di Trieste che diventa un viaggio nella memoria personale e collettiva. Se Trieste è il buen retiro dopo aver scampato i campi della deportazione e la minaccia staliniana, Budapest è invece, l’iniziazione alla vita, la sua culla ma anche il nido familiare abbandonato per andare a vedere il resto del mondo.  

Così spostandosi di Paese in Paese, di città in città, Pressburger ritrova sparsi i tasselli di un unico mosaico. Legato da un vincolo di parentela con Marx, (“odiava lo sfruttamento e le ineguaglianze”),  ma anche con il musicista Mendelssohn, il poeta Heinrich Heine, l’artista Roy Lichtenstein, il filosofo Husserl (“quello che volle salvare i fenomeni non come apparenze ma come apparizioni”). E nell’antico nome di Bratislava, Pressburg, lo scrittore riscopre il proprio nome nella toponomastica di un’Europa in cui ha sempre creduto, immaginando invano un’unione di popoli senza razzismo e senza odio. 

“Tutte le vite sono intrecciate, l’una con l’altra”, rimbomba la voce di Pressburger tra la libreria antiquaria di Saba, il cimitero ebraico che nel film di Caputo assume i toni dell’eternità e il giardino Tommasini che subito rimanda a Italo Svevo. I ricordi dell’io si confondono tra le memorie dei molti. Tutto si tiene. Ma in un moto itinerante e senza sosta, Pressburger si aggira tra la sua Trieste come un nomade cosmopolita, un apolide in cerca di identità. 

“L’uomo vive nell’oscurità ed è per questo che è eroico”, sembra dar voce alla più intima ossessione dell’uomo di lasciar traccia di sé. La disperazione di lasciare ai posteri una qualche eredità, seppur un sepolcro su cui piangere per dirla con Ugo Foscolo. 

In fondo, l’identità tanto agognata non si rivela altro che l’esperienza compiuta, l’eredità di ognuno e di tutti. È questa l’idea di eroismo che insegnano i Racconti triestini

Nella penombra del suo studio tra antiche carte e foto ingiallite, Pressburger ammette di aver sempre cercato nei suoi avi una certezza che però non ha mai trovato. La sua recherche è destinata a una fuga centrifuga che disperde parenti, ricordi, certezze. Esausto, finge di credere a Popper, “questa è la migliore società possibile finora esistita”. Non convinto però, Pressburger ammette di non poter smettere di cercare, assillato da Giambattista Vico: “tutte le epoche torneranno, tutti gli uomini sono destinati a rinchiudersi, ciascuno nelle sue solitudini, com’era all’inizio degli inizi”. 

L’Orologio di Monaco, la recherche di Pressburger attraverso il Novecento   

Titolo originale: L’Orologio di Monaco

Lingua: italiano 

Paese di produzione: Italia 

Regia: Mauro Caputo

Soggetto: Mauro Caputo, Giorgio Pressburger 

Sceneggiatura: Mauro Caputo 

Produttore: Mauro Caputo 

Produttore esecutivo: Omar Soffici

Distribuzione: 27 febbraio 2015 Istituto Luce Cinecittà

Fotografia: Daniele Trani

Musiche: Alfredo Lacosegliaz 

Interpreti: Giorgio Pressburger 

Anno: 2014

Durata: 63 min 

Genere: racconto-documentario

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