L’intervista. Mariangela D’Abbraccio, ‘musicale’ Teresa la ladra

Mariangela d’Abbraccio racconta la peculiarità innovativa della riduzione teatrale di “Teresa  la ladra”, dall’ omonimo classico di Dacia Maraini

ROMA – Dal 29 marzo al 3 aprile, al Teatro Vittoria di Roma, Mariangela D’Abbraccio torna in scena con Teresa la ladra di Dacia Maraini. L’attrice che debuttò con Eduardo De Filippo e ha lavorato con artisti come Giuseppe Patroni Griffi, Giorgio Albertazzi, Antonio Calenda interpreta il ruolo della borsaiola nata dalla penna della Maraini e poi interpretata da Monica Vitti sul grande schermo. Lo spettacolo prende forza anche dalle canzoni scritte dall’autrice e musicate da Sergio Cammariere. L’allestimento, grazie al concorso di tutte le professionalità artistiche che vi hanno preso parte, restituisce con forza, allegria e umanità la semplice simpatia di Teresa, il suo slancio, l’intelligenza della sua passione per la vita, negli anni della guerra e del secondo dopoguerra.

Teresa la ladra, una nuova ripresa dello spettacolo. Qual è il segreto di questo personaggio?

La simpatia, la gioia di vivere, il fatto che non si piega mai di fronte alle disavventure della vita. E poi la sua solarità, il suo essere così buffa, pur avendo una vita dura, che passa attraverso le sofferenze più atroci. 

Un elemento importante sono le musiche e le canzoni. Come sono nate, come avete collaborato con Dacia Maraini e Sergio Cammariere?

Sergio ha chiesto a Dacia di scrivere dei testi su alcuni momenti dello spettacolo che avevamo concordato insieme. Ha poi composto le musiche sulle parole. Hanno lavorato molto insieme Dacia e Sergio e mi hanno portato un lavoro perfetto, prodotto dalla loro complicità. I testi sono bellissimi e le musiche aderiscono meravigliosamente.

In tutto questo come si inserisce la regia di Francesco Tavassi?

È una regia divertente, funambolica, sempre piena di sorprese. Sottolinea l’anima solare e buffa di Teresa. C’è un impianto scenico, dove io giro continuamente, come la vita di Teresa, sempre randagia, in movimento. Ci sono continui passaggi: lei si trasforma, si veste, si cambia, acquista qualcosa, poi perde tutto, ricomincia daccapo. 

Siamo tutti molto in sintonia, dentro l’idea dello spettacolo: Sergio, Dacia, Francesco, io,  Alessandro Nidi che ha fatto gli arrangiamenti. Abbiamo trovato un linguaggio comune con molta facilità.

In scena lei dialoga con i musicisti.

Sì, questo è molto importante ed è un meccanismo che si perfeziona via via. Anche riprovando per questa ripresa, il loro spazio è diventato più ampio. 

Va detto che sono musicisti bravissimi: sono la band Musica da Ripostiglio insieme a Gianluca Casadei (fisarmonica) e Alessandro Ugolini (violino). Al di là del loro valore musicale, sono anche attori, sanno stare sulla scena e vivere quello che Teresa fa. Quindi diventano i miei fratelli, gente che incontro, i ladri del bar, mi rivolgo a loro come alle persone che mi circondano nella storia.  

Teresa la ladra, oltre a essere l’adattamento del romanzo Memorie di una ladra (1972), tanto amato da Pasolini, è anche un film (1973), interpretato da Monica Vitti, con la regia di Carlo Di Palma. Quanto questa pellicola è stata d’ispirazione? 

Molto, ma con l’intervento della musica lo spettacolo teatrale è diventato davvero un’altra cosa. Nessuno riesce bene a collocarlo in una categoria: alcuni dicono che si tratta di teatro-canzone (e infatti abbiamo vinto premi in quest’ambito), altri lo definiscono piccola opera musicale, piccolo musical. Il riferimento al film quindi c’è, ma la musica ci porta in un’altra direzione.

Da interprete come sta vivendo il rapporto con questo personaggio, così simpatico, così agganciante?

Bene. Sono contenta di non lasciarlo mai. Teresa io la sento, credo di capirla, comprendo le sue debolezze e ingenuità. Come altri personaggi che ho interpretato ma non tanti, un altro è quello portato in scena con Nella città l’inferno, il film adattato per il teatro sempre da Dacia Teresa mi permette di essere una donna del popolo. La scrittura drammaturgica non parla mai del popolo, se non in alcuni rari casi, come Eduardo in Napoli milionaria, che ho fatto. Spesso i testi parlano della borghesia, sono molto mentali. Mi piace, a volte, affrontare personaggi che non sono preparati intellettualmente, che non hanno dei rovelli esistenziali, hanno solo il problema di vivere, di campare, di svoltare la giornata. Si portano dietro le loro difficoltà iniziali, la loro estrazione, l’essere nati da una famiglia di ignoranti, di poveri che non gli hanno dato strumenti per capire, per difendersi nella vita. Tutto questo mi interessa molto: mi piace entrare in una mente semplice come può essere Teresa, o anche Filumena Marturano, che presto interpreterò.

È difficile la distribuzione di uno spettacolo, pur vivace e frizzante come questo? Si fa fatica a entrare nei circuiti?

Sì, faticano tutti gli spettacoli che non sono ancora riconosciuti come “grandi titoli”. Certo, il teatro è basato sul rinnovare quello che è la scrittura, i classici, quindi l’interpretazione dà ogni volta un vestito nuovo a quel testo, a quell’autore, però è fatto anche di storie nuove, di nuova drammaturgia. In Italia questo secondo aspetto non esiste. Se faccio un testo che ha un titolo affermato, i teatri si aprono tranquillamente, se propongo qualcosa di diverso dalla consuetudine, tutto diventa difficile. 

La distribuzione oggi in Italia è completamente “scoppiata”, nel senso che è ancora peggiore di quello che sto raccontando. C’è un avvento violentissimo della televisione nel circuito teatrale: quasi una “dittatura”, direi.  Parlo da persona che lavora anche per il piccolo schermo e non ha nulla contro di esso. Però oggi tutto quello che passa dalla televisione ha la strada principale. Un tempo non era affatto così. Certo, non è il caso di un testo come Filumena Marturano, un titolo che mangia tutte le regole, però nella media è così: la televisione sta ammazzando tutto quello che è il riconoscimento del valore, la meritocrazia, la carriera, le storie teatrali. Prima una persona si affezionava a una compagnia, a un attore, li seguiva: adesso non può seguire niente, perché ogni anno c’è una storia nuova a seconda di quello che fa la tv. Il mercato è scombinato: c’è un collocamento da parte della televisione in teatro. Questo monopolio è molto dannoso per la cultura.   

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