Focus Young Arab Coreoghraphers Italy 2017

Bassam Abou Diab Ph.Giorgio Termini

 Bassam Abou Diab  Ph.Giorgio Termini

Ai Teatri di Vetro l’ultimo appuntamento con il Progetto di integrazione interculturale rivolto alla danza

Tre Paesi del Medio-Oriente – Libano, Egitto e Tunisia, si sfidano a colpi di coreografia. Corpi sospesi, atmosfere tese, gesti intrisi di empatia dove la parola non serve a raccontare l’azione perché la trama è evocata dalla cinetica. Il movimento espresso nelle tre performance ospitate dalla rassegna romana Teatri di Vetro, diretta da Roberta Nicolai, all’interno dell’ultimo appuntamento di Focus Young Arab Coreoghraphers, un progetto itinerante che dallo scorso maggio ha ospitato in ben 11 prestigiosi festival italiani sei coreografi arabi in nome dell’integrazione e dello scambio culturale dei linguaggi artistici, è assolutamente magnetico e innovativo. Gli artisti, ospitati il 22 settembre scorso alle Carrozzerie n.o.t., si appigliano a esperienza vissute in prima persona, come le azioni del libanese Bassam Abou Diab  che in  Under the flesh costruisce un alfabeto dinamico sulle strategie di sopravvivenza durante la guerra che, in più occasioni, ha attraversato il suo Paese. Bassam ce la racconta con estrema semplicità ed ironia, avvalendosi del musicista percussionista Samah Tarabay che ad ogni suono di grancassa inscena un episodio di bomba che fa scattare nel protagonista un’intrinseca energia di superamento della devastazione di corpo e spirito. Siamo trascinati dall’agilità del danzatore ma combattuti a seguire la sua eccezionale voglia di rimettersi in gioco col sorriso dopo la violenza storica a cui è sopravvissuto.

Diversa e altamente ipnotica è invece la performance di Mounir Saeed, che dall’Egitto rivisita la Divina Commedia dantesca in un mélange musicale intriso di inni cristiani e canti orientali concepiti per fondere in un’impressione estatica la differente spiritualità delle due culture. In What about Dante il lavoro ispirato all’Inferno è combinato con lo spiritualismo del Sufismo creando una melodia tra il movimento e il suono che ci trascina in un vortice circolare fisico in cui lo stesso corpo del solista si perde nell’ultraterreno. Infine Hamdi Lakhdher (Dridi) che della Tunisia riporta visivamente la sua infanzia danzandone i ricordi con l’obiettivo di restituire la presenza fisica del proprio padre, un imbianchino, nel suo luogo di lavoro ricoperto di cartoni. Le sue braccia, protagoniste suggestive in una scena semibuia, raccontano lentamente il dolore trasformando la triste realtà della malattia terminale vissuta dal genitore in una assoluta poesia di perfetta integrazione tra suono e movimento. 

Un magico finale a tre per un’iniziativa che è sicuramente riuscita – nel lungo itinerario italiano di questi artisti del gesto –  a facilitare la mobilità, il dialogo interculturale e lo scambio di pratiche performative con molte realtà del nostro territorio, perfetta conclusione di un’esperienza artistica che nel suo insieme ha soprattutto dimostrato di raggiungere un concreto intervento di sostegno alla danza contemporanea araba ed ha rappresentato una straordinaria opportunità di conoscenza tanto per gli artisti quanto per i pubblici italiani.

Nelle foto Hamdi Lakhdher Dridi e Mounir Saeed –  Ph. Giorgio Termini 

 

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