I solisti del teatro. “La vacanza” che ti costringe a guardare le stelle

ROMA – Si è aperta – venerdì 12 luglio ai Giardini della Filarmonica Romana – la XXVI edizione dei “Solisti del teatro” con La vacanza di Giovanni Anversa, interpretata da Orsetta De Rossi, Sabrina Knaflitz e Pino Strabioli.

Sotto un cielo stellato, circondati dagli alberi, la fisarmonica di Marcello Fiorini ci racconta, sin dai primi istanti, la profondità e la malinconia di un testo che scava fino agli interstizi più nascosti della perdita e del lutto. Ma l’ironia e la leggerezza dei tre personaggi che animano e danno forma alle parole donano il sollievo intimo della perseveranza e del coraggio.

Le loro vite s’intrecciano una volta sola, in un’unica fuga al mare che ha il sapore rassicurante della vacanza. I tre s’incontrano al cimitero: le due donne si avvicinano l’una all’altra perché si trovano a coincidere nello stesso dolore di madri che hanno perso un figlio; la loro curiosità le porta verso l’uomo che si trova lì dopo aver perso il compagno. Si riconoscono – dentro al solco del dolore –, si scrutano l’un l’altro chiusi dentro la propria sofferenza che li avvicina, ma inevitabilmente li allontana. Le parole che s’intrecciano e li legano assumono la forma precisa delle confessioni, dell’intimità tipica dell’amicizia. Sono le parole a rompere gli argini, a mostrarli diversi eppure simili, uguali di fronte alla morte e a ciò che è andato perduto.

La fuga al mare trasporta i tre personaggi dentro l’impossibilità di vita dopo il dolore, dentro la solitudine dell’assenza, dentro l’isolamento della sofferenza; eppure li vediamo ridere, li ascoltiamo cantare, declamare gli amati versi di una vita. Il mare li pone di fronte alle proprie indulgenze, alle maternità mancate o mancanti, all’amore addormentato; ma poi li spinge a guardare il cielo, a staccare il naso dal proprio “io” annientato per tirarlo su, verso le stelle e la moltitudine di occhi immortali che li guardano e li vegliano.

L’interpretazione di Orsetta De Rossi, Sabrina Knaflitz e Pino Strabioli disegna sulla scena spoglia un cimitero, una cucina, la spiaggia. Le parole pronunciate su un palcoscenico affacciato sugli alberi nella notte di un’estate romana risvegliano fantasmi, risuonano di assenze, trafiggono in punti che tornano a dolere, accarezzano e consolano e si rivestono di vita; in quell’incantesimo che solo il teatro sa fare quando t’illude di finzione e poi ti costringe, senza preavviso, ad alzare il naso verso le stelle.

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