FEF 2019. Premio Ipazia alla nuova drammaturgia. I vincitori

GENOVA – La giuria composta da Silvana ZanovelloEugenio PallestriniCarla OlivariGiuliana ManganelliAngela Di Maso (Museo dell’Attore di Genova – mercoledì 20 novembre) ha decretato i testi vincitori della 7° edizione del Premio Ipazia alla Nuova Drammaturgia, nell’ambito del Festival dell’Eccellenza al Femminile 2019, dedicato al tema Il Corpo delle Donne. Primo classificato Fino a prova contraria di Paolo Sartori, secondo classificato Sindrome Italia di Tiziana Francesca Vaccaro, terzo Classificato Venerdi Santo. Dieci donne di Luciana Guido.

Motivazioni:

Fino a prova contraria – Omicidio premeditato o legittima difesa? La risposta si fluidifica e scorre nelle vene e nelle pieghe di questo monologo: il racconto di una donna che ha alle spalle trentacinque anni di umiliazioni e di soprusi e che, nel corso dell’ennesimo litigio, si trova ad affondare un coltello nel cuore del marito. La testimonianza resa di fronte al pubblico riassume i topoi più frequenti che si incontrano nei processi per maltrattamento e violenza ma li declina con una sensibilità e uno scavo psicologico lontani da ogni tentazione didascalica: come se il pubblico li ascoltasse per la prima volta. Interessante la costruzione sintattica nei quali sono quasi assenti le subordinate. La scelta non denota sciatteria ma si rivela funzionale a due diversi direzioni. I “segmenti” facilitano infatti chi si impegni in un monologo ma, come suggerisce l’autore stesso, consentono di affidare il racconto a più voci, sottolineandone la valenza di tragico fenomeno sociale, oltre che di dramma personale.

Sindrome Italia – Vita e sentimenti di una badante, vista nel rapporto con l’Italia, o per meglio dire con le diverse Italie con cui viene a contatto, ma anche in relazione al Paese che ha lasciato e ai rapporti che tenta invano di riannodare. Tra passato e presente riemergono i ricordi, come avvolti in un bozzolo di poesia e si stagliano le figure degli uomini che segnano il percorso della protagonista con un intreccio di doveri, impulsi e rinunce: il marito violento e ubriacone, il figlio fannullone e opportunista, l’immigrato che lei sente di non avere il diritto di scegliere. Lungo la traccia di questa vita spezzata, colpisce la scorrevolezza e l attenzione al mix di lingue e di dialetti che riflettono lo spaesamento e al tempo stesso la curiosa versatilità della protagonista.

Venerdì Santo – Un racconto che prende spunto da un fatto realmente accaduto durante l’occupazione tedesca di Roma durante la seconda guerra mondiale, l’eccidio di nove donne colpevoli di aver rubato farina nei depositi riservati all’esercito. Buona costruzione corale e finale tragico che arriva quasi come un colpo di scena che lo sottrae a certi stereotipi narrativi del dopoguerra. La freschezza dell’approccio, che non toglie nulla allo sfondo storico, anzi in un certo senso lo rafforza, è consentita proprio da quel tavolo, dove le nove interpreti sono intente a impastare senza che lo spettatore sia informato della provenienza di quella farina. Le donne insieme lasciano lievitare il ricordo e le speranze di tante vite segnate dalle guerre, quelle che stanno vivendo e quella d’Africa che le costringono anche a subire violenze e compromessi. Linguaggio scorrevole e antiretorico dialoghi sempre ben articolati.

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