Teatro Quirino: Guarneri, un superlativo “Mastro don Gesualdo”

Roma – Al Teatro Quirino è da poco calato il sipario sul “Mastro Don Gesualdo”: un vero e proprio capolavoro per la regia di Guglielmo Ferro con l’imitabile Enrico Guarneri. 

Una prova attoriale straordinaria, capace di incarnare la drammaticità di un “self made man” come Gesualdo Motta in una Sicilia fine ottocentesca dominata da un’aristocrazia terriera in decadenza: un manovale assurto al potere grazie al duro lavoro e al possesso della “roba” , ma privo della cultura e dell’educazione nobiliare. Ed è proprio grazie alle nozze con una nobile spiantata, che acquisterà il titolo di “signore” necessario in un ambiente ancora retrogrado, per garantirsi il diritto di partecipare alle aste pubbliche per le gabelle delle terre statali e accrescere così il suo smisurato patrimonio: una vera e propria rivalsa nei confronti dei suoi detrattori.

Ed è un flash-back l’espediente drammaturgico utilizzato dal regista per raccontare le tappe salienti della vita di mastro Don Gesualdo, ormai gravemente malato residente a Palazzo Trao, in città, in casa di sua figlia e suo genero, che mal tollerano la sua presenza. “Mettere in scena un romanzo così vasto era impossibile: ho dovuto così adattarlo drammaturgicamente per poter raccontare i personaggi principali” spiega il regista Guglielmo Ferro . Ed è dai suoi rimpianti per la vita semplice di un tempo – ormai inchiodato a una sedia – che sgorgano vividi i racconti di un tempo passato; i ricordi della sua fedele serva Diodata, dell’incontro con sua moglie Bianca Trao, dell’ostracismo da parte degli aristocratici, che lo invidiavano per le sue spropositate ricchezze: “inviso in pubblico ma ricercato nel privato per  richiedergli favori e denaro”. Emarginato nella sua stessa casa, da sua moglie prima da sua figlia poi, così come da tutta la buona società, sin dal giorno delle sue nozze con Bianca, disertate da tutti i parenti di sangue blu. E il ricordo dell’orrore di sua moglie nel toccarlo: “tanto da fargli gelare il sangue”. E questa stessa glaciale distanza anche in sua figlia Bianca. “Isabella è una Trao, non una Motta: ha una corazza sopra il cuore, è figlia dei silenzi di Bianca”. È un mastro Don Gesualdo “umanizzato” quello interpretato da Enrico Guarneri, che riesce a dar voce alla frustrazione di questo “homo novus “ emarginato per i modi autoritari e sanguigni, abituato più a stare nei campi “a travagliare come una bestia da soma” che nei salotti dei nobili, ma sfruttato da tutti per la sua “roba”. Chiarisce il protagonista: «I ricordi di don Gesualdo sono veri e propri sogni ad occhi aperti, di un uomo che vorrebbe sentirsi amato davvero dalla figlia, almeno in punto di morte». 

Una trasposizione in chiave moderna dell’originale e una maggiore caratterizzazione dei personaggi per descrivere il disagio socio-culturale di un’epoca di transizione che segna l’avvento della borghesia e di lì a poco, la fine dei privilegi dei signori, ancora veri e propri feudatari. 

Uno spettacolo imperdibile, che ancora dopo tre anni di tournée, riesce ancora a emozionare, ridando linfa a un classico senza tempo, in un mondo dove emarginato è chi pensa fuori dal coro, senza conformarsi a un modello imposto dall’alto. 

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