“Sordi? Uno stalker intelligente”. Intervista all’attore Guido Roncalli di Montorio

Nel fprossimo film l’attore romano interpreta un noto direttore Rai 

Cinema, teatro, pubblicità, televisione e molto altro: un attore multitasking che si mette in prova ad ogni nuova entusiasmante esperienza. Questo è il Conte Guido Roncalli di Montorio, legato da vincoli familiari con papa Giovanni XXIII e attualmente tra i protagonisti di “Permette? Alberto Sordi”, film-tv diretto da Luca Manfredi che ha circuitato per soli tre giorni nelle sale cinematografiche ma che approderà proprio il 21 aprile, giorno del Natale di Roma, sul piccolo schermo in prima serata Rai 1.

Roncalli, lei nella fiction sordiana è Sergio Pugliese, direttore programmi EIAR e della neonata televisione Rai nei primi anni Cinquanta, personaggio molto severo, formale e apparentemente reticente al talento del giovane Sordi… Come lo ha affrontato?

Certamente il regista Luca Manfredi, che mi conosceva e con il quale avevamo lavorato anche su altri progetti, ha pensato alla mia fisicità imponente, molto somigliante a quella del noto “sergente di ferro” che casualmente indossava anche la stessa montatura di occhiali che porto quotidianamente. Il rigore e la severità che caratterizzavano Pugliese sono sicuramente parte della mia educazione familiare ed ecclesiale, dove l’aristocrazia era molto distaccata, formale e rigida nei comportamenti relazionali, in particolar modo nei confronti degli sconosciuti. Immaginiamoci una sola persona che doveva saper affrontare certe scelte così delicate quali quelle di un palinsesto radio-televisivo… Mi è venuto cosi abbastanza facile calarmi in questo ruolo pressoché strategico per la carriera di Sordi anche se ho dovuto, per questioni temporali rinunciare alla mia amata barba…

Il contesto radio-televisivo di quegli anni quanto concedeva alla meritocrazia e quali sono secondo Lei i parametri di allora e di oggi affinché un attore riesca a coronare il suo sogno?

Posso rispondere prevalentemente sull’epoca attuale, in quanto figlio di oggi, anche se è indubbio che vivendo quest’ambiente per lavoro, ritengo che siamo decisamente peggiorati. All’epoca, un’era pioneristica per radio e tv, c’era una severità maggiore: l’Eiar e la neonata Rai erano il centro ricettivo di un mondo in cui ognuno voleva proporsi ed era necessario avere un militare intransigente alla porta… In quei tempi c’era più filtro e dovevi essere davvero bravo per emergere: oggi non è cosi, dal momento che circolano più soldi, idiozie e falsa notorietà. Anche se esistessero persone come Pugliese non si sarebbe in grado di gestire il tutto, inondati come continuiamo ad essere da un’offerta scarsa e superficiale che annienta il vero talento.

Dal punto di vista della meritocrazia il caso Alberto Sordi è esemplare: chi la dura la vince. Nel film il nostro rapporto è raccontato in sintesi ma è tutto veritiero: l’irruzione negli studi durante una prova del trio Lescano per conoscere il direttore, il tuffo in mare per salvarne gli occhiali durante una vacanza senza dubbio calcolata e non improvvisata (che costò peraltro una litigata fra Alberto e Andreina Pagnani), gesto che lo porterà a conquistare l’attenzione del capo programmi… Insomma Sordi è andato borderline al fine di conseguire i suoi obiettivi e può a mio avviso essere considerato uno stalker intelligente. Aveva una tenacia incredibile e portava allo sfinimento le persone pur di emergere, un vero e proprio rompiscatole per anni che alla fine ci è riuscito. Magari ci fosse in questo mestiere una selezione accurata: il merito sarebbe sinonimo di altissima qualità! Se sei a casa non arriverà mai qualcuno a chiamarti e il messaggio è fortissimo: il destino non ti citofona alla porta… o anche: chi non risica non rosica…

Edoardo Pesce e Alberto Sordi: aldilà della straordinaria somiglianza data da trucco e mimica e simile talento camaleontico, quali sono secondo lei i punti in comune tra i due attori e quanto le nuove generazioni, aspiranti attori in particolare, capiranno il messaggio e i valori intrinseci contenuti nel film e nella storia dell’Italiano doc?

Penso che ad aver fatto un lavoro eccezionale per questo film siano stati sia Edoardo che il regista. Così come Luca ha trovato Elio Germano per il ruolo di suo padre, Nino Manfredi (e non mi sorprende che abbia appena vinto l’Orso d’argento per un’altra incredibile interpretazione), è stato in grado di cogliere in Pesce delle incredibili affinità con lo spirito di Alberto Sordi. Interessante notare come questi due attori che ho nominato siano interpreti cinematografici e non televisivi, e credo che ci sia molta differenza. Edoardo non imita nessuno ma è restato se stesso: eppure nella mimica, gestualità, trucco e prossemica ho creduto realmente che fosse Alberto Sordi mentre recitava. 

Numerose le fiction da lei interpretate, e molto spesso nelle vesti di personaggi strategici, come – oltre a Pugliese per la carriera di Sordi in radio – anche padre Berardo Rossi, figura-chiave dello Zecchino d’Oro e il cardinale Roncalli, tra i porporati che eleggono il nuovo Papa in “The New Pope” … Quanto le sono vicine queste figure e quante affinità con la Sua storia (attore, musicista, discendente papalino) nella preparazione di un ruolo?

Dai registi è stata sempre notata in primis la mia fisicità, giusta per il ruolo, ma sicuramente il nome mi aiuta perché fa frullare nel regista l’idea di avermi in ruoli ecclesiastici… Mi sono fatto più messe io che un prete… In me il cocktail esplosivo tra il cognome e le sembianze ha decretato il successo del rapporto fra personaggio e ruolo. Padre Berardo, direttore dell’Antoniano e creatore dello Zecchino d’oro, era invece un francescano che aveva pensato di far cantare i bambini discoli negli oratori e “corruppe” una sua parrocchiana, Mariele Ventre, che voleva fare la carriera di pianista, costretta dopo tante insistenze ad accettare e, per amore, seguire il progetto… è chiaro che mi sono appassionato subito al ruolo conferitomi ne “I ragazzi dello zecchino d’oro”, non solo perché conosco e stimo il regista (Ambrogio Lo Giudice) ma anche perché faccio parte di una famiglia di musicisti – un antenato, Ludovico Roncalli, famoso musicista del Seicento, mio fratello Diego, violoncellista, mio cugino Eugenio Finardi  e anch’io sono chitarrista: per noi lo Zecchino d’oro era fondamentale per la nostra crescita e posso dire di sapere tutte le canzoni di quell’epoca a memoria… Sorrentino ha giocato sicuramente sul mio physique du rȏle e sul cognome, che ha deciso di conservare nella sua straordinaria serie televisiva, ma sono stato anche prete per Michele Soavi nella seria “Mentre ero via”… Non possono che immaginarmi perfetto per quei ruoli che, ripeto, conosco bene vista la mia ferrea educazione cattolica.

Tra i registi e gli attori con cui ha lavorato tra cinema e tv a chi si sente più vicino nel suo modo di recitare?

Molti nomi possono senz’altro essere mio riferimento ma in linea di massima, visto il mio atteggiamento sul set, il mio carattere e la mia socievolezza, tendo ad andare in simpatia con tutti. Considero Lizzani un grandissimo signore e maestro del cinema: mi ricordo che quando ci siamo conosciuti, venne lui, già ultrasettantenne, a salutarmi alzandosi dalla sua sedia, cosa davvero anomala sul set dove il regista è il capitano assoluto: Similarmente ha fatto anche Giulio Manfredonia, con cui ho lavorato in “Cetto c’è senzadubbiamente” nel ruolo di un commercialista tedesco: Giulio è una persona a me molto cara che ha saputo cogliere la parte di “commedia” che mi caratterizza, oltre allo sguardo temibile e severo che rende rigorosi certi personaggi. L’esperienza con Sorrentino, poi, mi ha fatto vivere un momento di estasi assoluta: lavorare per “The New Pope” è stato come partecipare al Campionato del mondo: un set dove meticolosità, cura del dettaglio, fermezza e precisione erano all’ordine del giorno… Infine Luca Manfredi e Ambrogio Lo Giudice: due registi e soprattutto amici con i quali sono da molti anni in perfetta sintonia e complicità…

Tra i nuovi progetti in teatro ho letto che esiste un recital su San Giovanni XXIII, suo illustre parente… Ci può raccontare qualcosa?

In realtà il Papa Buono era un lontano cugino di mio nonno ma molto amico. Ho avuto la fortuna di scartabellare e leggere materiale inedito molto interessante nel mio archivio, che ho pensato di utilizzare non solo per questo recital ma anche probabilmente per la stesura di un libro. L’idea è nata qualche anno fa, in occasione del  50esimo anniversario dalla morte di Giovanni XXIII: avendo la fortuna di avere un fratello violoncellista, ho deciso di mettere in scena un recital dal titolo “Roncalli legge Roncalli” dove io racconto storie, leggo lettere e faccio vedere immagini dell’archivio privato e lui mi accompagna musicalmente. Sono un uomo calato nella realtà e più che un bravo cattolico mi sento un buon cristiano, ma reputo che papa Giovanni fosse davvero un santo, nato illuminato: pensi che già a 10 anni scriveva cose incredibili. Per me fare questo recital è portare in giro la parola di un uomo che è stato in grado di unire davvero tutti, a prescindere dalle generazioni, fasce sociali e credo: sento che sia il lavoro in cui mi riconosco maggiormente e spero, ma soprattutto credo, che mi accompagnerà per tutta la vita.

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