Revenant, un’esperienza più che un film. Recensione

ROMA –  Revenant è un film che rimane profondamente impresso. Non tanto per la trama e la straordinaria fotografia di Emmanuel Lubezki. Quanto per i suoi significati reconditi. Per ciò che si cela dietro le vicende drammatiche che coinvolgono il protagonista.

Il regista Alejandro Inarritu, in una serie di interviste rilasciate in occasione della presentazione del film, ha dichiarato che con quest’opera ha voluto trasmettere il mistero che circonda la vita umana. 

Questa pellicola si basa su una vicenda realmente accaduta. Si tratta della storia di Hugh Glass, un trapper che visse a cavallo tra il 1700 ed il 1800. Nel corso dell’inverno del 1823 partecipò ad una spedizione di cacciatori di pelli nel nord degli Stati Uniti. Il gruppo di cacciatori, prima di tornare, fu attaccato e decimato da una tribù di indiani Arikara. Glass, insieme a pochi altri, tra cui il figlio mezzosangue, sopravvissero all’attacco riuscendo a scappare. Durante il ritorno, Glass venne attaccato da un orso grizzly che lo ridusse in fin di vita. I suoi compagni, preoccupati per la possibilità di subire nuovi agguati da parte degli indiani e convinti che le condizioni fisiche di Glass li potessero rallentare sulla via del ritorno, lo lasciarono insieme al figlio e ad altri due membri della spedizione, tra cui il temuto Fitzgerald, i quali si assunsero la responsabilità di custodirlo fino alla sua morte. Ma ciò non avvenne. Da quel momento in poi inizierà l’avventura di questo personaggio.

Revenant riesce a trasmettere delle emozioni intense. Come se le si vivessero in prima persona. Si compie un vero e proprio viaggio nel tempo. Che conduce gli spettatori ad avere un contatto con dimensioni dell’ esistenza umana ormai rese sconosciute dalla vita moderna e tecnologicamente avanzata di quest’epoca. Inarritu è davvero bravo, considerazione che emerge tralasciando la memoria dei sui ultimi lavori di successo. Ci si chiede poi, come un regista di origine messicana, possa aver avuto una tale sensibilità nel mettere in risalto la natura tipicamente nordica. A tratti si percepisce il respiro della foresta. Resa spesso come una quinta scenica entro cui si avvicendano i fatti umani. Testimone silenziosa e custode di segreti ancestrali. 

Queste atmosfere sono state rese in maniera così forte anche grazie all’ utilizzo sapiente della steadycam. Che insinua letteralmente lo sguardo dello spettatore all’interno delle scene, muovendosi organicamente ed in sintonia con i ritmi della storia rappresentata. La scelta delle location è stata vincente. Ed ha permesso di rendere verosimile quanto vivessero i trapper in quell’epoca. Si parla delle magnifiche desolazioni della British Columbia, del Montana e dell’Alberta. Lande incontaminate. Colte nei periodi autunnali ed invernali. La colonna sonora appartiene a due grandi compositori contemporanei, Alva Noto e Ryuichi Sakamoto. I cui lavori musicali accompagnano lo spettatore nei meandri della psiche dei personaggi, in modo particolare nelle vicende del protagonista, e nelle variazioni climatiche e paesaggistiche che si succedono nel corso della storia.

La trama del film si articola fra il tentativo di sopravvivenza di Glass e la fuga di Fitzgerald, colui che ha ucciso il figlio e che lo ha abbandonato moribondo. Fra il desiderio di vendetta dell’ uno, dunque, e la sete di guadagno ad ogni costo dell’altro. Due dimensioni che s’incrociano, si distaccano e poi si riuniscono alla fine. L’interpretazione di Di Caprio è senz’altro da sottolineare. Poiché riesce ad incarnare perfettamente lo spirito che si sarebbe potuto vivere in tali situazioni. Non da meno è l’interpretazione di Tom Hardy. Vero antagonista. La cui complessa psicologia egoistica viene espressa dall’attore con grande maestria.

Nel film è possibile trovare traccia, consapevole o meno, dell’opera di altri registi. Si percepiscono similitudini con certi linguaggi cinematografici espressi da Terence Malick. In particolare con “Three of life” e con “La sottile linea rossa”,  nell’accuratezza con cui si rende la natura protagonista silenziosa. E con la presenza del passato che ritorna nella dimensione onirica. Viene poi in mente Werner Herzog. Per la tematica. L’uomo ed il suo rapporto con la natura selvaggia. Anche se più di altri suoi film, s’intravede qualche somiglianza con “Aguirre, furore di dio”. I conquistadores persi nella foresta amazzonica ed il rapporto conflittuale con gli indigeni. 

Trailer

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