I racconti di Versailles. La rabbia e le piume. Quindicesimo

Luigi XVI e Maria Antonietta, dopo l’incoronazione, erano ripartiti  da Reims con un tempo che si annunciava incerto. Avevano attraversato villaggi  perduti tra lande di erica, ginestre e felci, accolti dai rintocchi delle campane e dalle arringhe interminabili dei notabili di provincia orgogliosi dell’occasione in cui pavoneggiarsi.

Avvicinandosi alla capitale si erano diradati i campi incolti ed erano apparse distese di mais e di quel grano, raro e preziosissimo, che aveva scatenato rivolte. I contadini  al passaggio delle carrozze, riconoscendoli, si erano tolti il cappello; manovali impegnati a riparare una strada in corvée,  lavoro senza compenso, si erano fermati lanciando degli evviva!

 

 Viaggiarono per giorni come in trance: lui frastornato e scosso dal torpore, lei euforica all’idea dei piaceri della nuova condizione.  A volte, cullati dalle ruote, si addormentarono tra cuscini che poco attutivano gli scossoni: il re a bocca aperta, la consorte persa in un sorriso.Quel giorno, entrando a Parigi, la regina rivide in sogno il colloquio di un’ora avuto a Reims con Choiseul, strappato a  Luigi con un’astuzia di cui era fiera: sperava ancora  che il fautore del suo matrimonio, il vecchio amico, tornasse a Versailles. 

 Il rombo di un tuono la interruppe e aprì gli occhi: si accorse  che tirava vento e una pioggia fitta, fredda e rumorosa cadeva da un cielo di piombo.  

         Che succede?!

         Non preoccupatevi, è un acquazzone estivo… – rispose con calma il marito.

         Ma dove siamo?

         Non lontani dal Louis-le-Grand…

Era il college universitario dove sarebbero stati accolti con l’ultimo discorso di circostanza.

        Pfff…. – sbuffò Maria Antonietta davvero stufa.  Anche Luigi XVI non vedeva l’ora di tornare a casa, era stanco e il temporale gli aveva messo voglia  di leggere e di dormire.  Fu con distacco e noia  che ascoltarono il saluto del corpo docente, degli studenti,  del diciassettenne vestito di nero che inginocchiato sotto la pioggia, imperterrito, si inzuppò completamente pronunciando un discorso in latino. I reali rimasero in carrozza senza replicare.

      Sulla strada del ritorno Luigi ammise:

        Non ho capito una parola.

        Ma chi era il borsista che ha parlato in latino? –  chiese Maria Antonietta a Madame Campan.

     –    Maximilien de Robespierre… 

     –    Uno qualunque… – concluse il re.

***

     Rientrato a Versailles Luigi XVI per prima cosa si occupò della designazione del nuovo segretario della real casa. Impresa tutt’altro che facile perché in continuazione veniva tirato ora da questa, ora da quella parte. Maria Antonietta avrebbe voluto qualcuno del clan di Choiseul; al contrario Maureapas e  Turgot  chiedevano Malesherbes. La giovane regina si cimentava in piccoli intrighi con piacere infantile tanto da confidarsi con un diplomatico, intimo della madre, il conte di Rosenberg:

                                                                                                       13 luglio 1775

     Avrete forse sentito dell’udienza che ho dato al duca di Choiseul a Reims.(…) Crederete  che l’ho visto avendone prima parlato con il re, ma non immaginate quanto ci ho messo per non aver l’aria di chiedere  permesso. Ho detto che avevo voglia di vedere Monsieur Choiseul e che l’unico imbarazzo era sul giorno. L’ho messa così bene che “il pover’uomo” ha stabilito, lui stesso, l’ora più comoda nella quale vederci. Credo di aver usato in quel momento tutta la mia femminilità.

    Ci siamo inoltre sbarazzati del signor di La Vrillière (…). Lo rimpiazzerà Malesherbes.

(…) E per di più ho altri progetti per la testa. La marescialla di Mouchy* deve lasciare il suo incarico (…). Non so ancora chi prenderà il suo posto, ma ho chiesto al re di approfittare della transizione per far diventare sovrintendente della casa Madame de Lamballe. Giudicate dalla mia gioia. Renderò felice un’ amica intima e sarò ancor più felice di lei. E’ ancora un segreto, non ditelo all’imperatrice.

   Ma il conte di Rosenberg, segretario di Maria Teresa, scelto perché riferiva sulla condotta della figlia essendo suo amico, stabilì di mostrare la lettera alla madre.

  L’imperatrice d’Austria appena lesse sbiancò: “Quel pover’uomo al re di Francia! Parla così alle varie Lamballe e Polignac quella scervellata?!”  Abilissima tessitrice di equilibri, la sovrana avvertì come una minaccia inaudita la mancanza di soggezione verso il marito: “se lei stessa non si inchina all’ autorità, che fanno gli altri?”  

   Maria Antonietta aveva scritto   senza malizia, credendolo un aneddoto divertente, canzonatorio ma pur sempre  affettuoso. Ma negli affari di stato l’intenzione non conta e Maria Teresa riunì subito il gran consiglio. 

***

   

  Quando Rose Bertin ricamava alla Meridiana, si credeva invulnerabile, sentiva che sotto l’ala protettiva di sua maestà nulla poteva accaderle. La vita della modista, difficile perché  si era fatta da sola, si dilatava in un sogno di grandezza. Aveva quindici anni il giorno in cui, arrivata dalla provincia, aveva scoperto Parigi. Più tardi, a rue Saint Honoré, accanto ai salotti a lei sconosciuti dell’ intellighentia illuminata, aveva aperto l’atelier “Il gran Mogol”. Prime clienti la duchessa di Chartres e la principessa di Lamballe. Se all’inizio si recava raramente a Versailles, adesso vi passava tanto tempo da rifiutare commissioni  convenienti,  che non incidevano sul bilancio perché faceva prezzi folli alla regina. Rose si permetteva ciò che ai ministri era negato: la privacy di sua maestà. Ne era fiera al punto da trattare con sufficienza anche i pari, che la detestavano. Una plebea a corte per “madame l’etiquette”, duchessa di Noailles, era stato l’affronto più grave mai subito: aveva protestato con sdegno ma invano. Incontrandola Rose adesso alzava il mento, impostava la voce e parlava solo se obbligata.

   Felice di ricamare fazzolettini tra la regina e la cara Lamballe, quel giorno godeva al pensiero che la pedante signora lasciasse il palazzo al seguito del consorte.

         La duchessa di Noailles ora si fa chiamare marescialla di Mouchy? – chiese la modista a sua maestà

         Madame l’etiquette è onoratissima che il marito sia divenuto maresciallo di Francia e fa di tutto per sottolinearlo.

         Non credo lasci Versailles per questo…

         E perché?

Mademoiselle Bertin indicò la principessa di Lamballe.

         E’ gelosa di madame… da quando é sovrintendente della casa non accetta di essere seconda.

La principessa sospirò.

         Non riaprite la ferita, per carità! – e gli occhi le si inumidirono

Maria Antonietta si intromise:

         Godetevi l’ala di mezzogiorno Maria Teresa! Dodici stanze, undici anticamere… tutto vostro… potrete organizzare meravigliose serate!

La Lamballe sospirò. Bussarono alla porta.

         E’ arrivato il corriere… – annunciò Madame Campan

         Fatelo entrare – e  la regina gli corse incontro .

 Riconobbe la lettera della madre, rosa, con il sigillo. L’aprì trepidante.  Leggendola il cuore prese a batterle e il volto si fece scuro : 

                                                                                      Schönbrunn 30 luglio 1775

Una lettera scritta a Rosenberg mi ha gettata nella più grande costernazione. Che stile! Che leggerezza! Dov’è finito il cuore così buono, così generoso, dell’arciduchessa Antonietta? Non vedo che intrighi, bassi istinti, spirito di persecuzione, dileggio. Tresche  come una  Pompadour, una du Barry, nulla che appartenga a una regina, una grande principessa,  una principessa della casa di Lorena e d’Austria, piena di bontà e decenza. Il vostro  successo troppo rapido e gli adulatori mi hanno fatto tremare per voi dopo quest’inverno, quando vi siete gettata nei piaceri, agghindata in modo ridicolo. Le corse da un divertimento all’ altro senza il re, sapendo che non ci prova gusto e che, per pura compiacenza, vi accompagna e vi lascia fare tutto (…). Che linguaggio! Il “pover’uomo”! Dov’è il rispetto e la riconoscenza per la sua compiacenza? Vi lascio alle vostre riflessioni e non vi dico altro, sebbene da dire ci sarebbe ancora.

***

 

La sovrintendenza della real casa, in passato soppressa perché fonte di troppe complicazioni e intrighi, aveva portato molti soldi nelle casse della  principessa di Lamballe. La regina non amava rifiutare nulla ai suoi amici, figuriamoci in un momento in cui si sentiva stanca di lei. Voleva bene a Maria Teresa ma la sua arrendevolezza, il suo pudore, il suo conformismo, non la stimolavano: sperava trovasse altri svaghi, così lei sarebbe stata più libera. Non ne era consapevole ma la ricopriva d’oro per tacitare il suo senso di colpa. Interessato modo di dedicarsi, come pretendeva, al benessere dei sudditi: il popolo  erano gli intimi, chi non la conosceva non esisteva. Come non esisteva il denaro, entità astratta di cui disponeva senza averlo guadagnato: per risparmiare il re rinunciava a cagnolini e cavalli ma la regina aveva raddoppiato la scuderia. Per di più  la ristrutturazione del piccolo Trianon, grazie alle sue inesauribili stravaganze, si faceva di giorno in giorno più costosa.

 Maria Antonietta gettava soldi dalla finestra mentre Turgot, austero controllore delle finanze, inseguiva il sogno di raddrizzare i conti e riformare lo stato. 

Nei primi mesi del 1776  aveva presentato al parlamento sei editti, quattro dei quali miravano alla cancellazione della  corvée  e di alcuni vantaggi professionali. Si trattava di un passo verso la democrazia: la corvée era infatti l’obbligo a lavorare gratuitamente per il signore e, per di più,  il contrasto alle corporazioni stimolava la libera concorrenza. Il preambolo alle disposizioni di Turgot diceva: “Il re vuole assicurare a tutti i soggetti, e soprattutto ai più deboli, a coloro i quali non hanno altra proprietà che il lavoro e l’ industriosità, il pieno e intero godimento dei diritti…” 

 Ma, come ovvio, sentendosi attaccati nei loro privilegi  nobiltà e  clero protestarono e il parlamento si rifiutò di registrare gli editti, salvo il più insignificante. Luigi XVI accettò allora di imporli con il letto di giustizia. Lo scontento crebbe. Il clan di Choiseul fece pressioni perché la regina reclamasse con il re e Maria Antonietta, che non sopportava quel ministro così avaro, ne approfittò. 

Una notte, nel letto matrimoniale dove Luigi dopo aver tanto faticato si era accasciato come al solito senza concludere il rapporto sessuale, Antonietta, anche per sfogare l’ansia della frustrazione, lo aggredì:

         Non avete voluto chi proponevo io… adesso guardate che disastro!

Luigi girò il volto tutto sudato. 

         Quale disastro? 

         Ce l’hanno tutti con voi e con Turgot! 

         Siete arrabbiata perché ha detto che 150.000 luigi alla principessa di Lamballe sono troppi?

         Sono arrabbiata perché mette in pericolo la vostra credibilità!

         La principessa di Lamballe ha fatto avere al fratello 40.000 luigi di pensione…

         Chi lo ha detto?

         Monsieur Turgot.

Maria Antonietta, alla luce della candela, piazzò gli  occhi in faccia al marito.

         Monsieur Turgot ama i derelitti ma dei nostri grandissimi problemi non si preoccupa… vi rendete conto?!

         Si preoccupa invece! Qui sta l’ errore…  è convinto che la longevità della monarchia passi attraverso le riforme…

         Utopie.

         Non è utopia dire che 200.000 luigi per la vostra scuderia sono troppi!

La regina strinse il cuscino con stizza.

         Non ne posso più di uno che fa le pulci a quello che spendiamo… licenziatelo!

         Mai!

Il re si voltò dall’altra parte e si zittì. La discussione era andata oltre: non amava contraddire la consorte ma avrebbe voluto essere capito. Quel ministro a lui sembrava un uomo onesto, mosso da sentimenti nobili: tanta contrarietà, tanta irresponsabilità, era cosa triste. “Non ci siamo che io e Turgot ad amare il popolo….” sospirò rassegnato.

***

     

   Ma, a soli due mesi da quella notte, attaccato da Maria Antonietta, dai privilegiati, poco amato dalla chiesa, respinto dai parlamenti, Turgot il 12 maggio del 1776 fu costretto a ritirarsi. In quei giorni diede le dimissioni anche Malesherbes, ministro illuminato che, nel breve periodo in cui fu in carica, si adoperò per riformare in senso più umano le carceri. La caduta di Turgot e Malesherbes a Versailles sollevò grida di giubilo, serpeggiò aria di festa, la regina tornò a sperare nel ritorno di Choiseul e partecipò più volentieri a balli e gite. A corte apparve più sovente Leonard Antié, il suo parrucchiere.  Fantasioso, galante, intraprendente, aveva lanciato con strepitoso successo la moda delle pettinature svettanti. Uno dei primi e pochissimi coiffeur maschi che aveva sbaragliato tutte le concorrenti in gonnella. 

     Quel pomeriggio d’inizio estate Leonard aveva pettinato Maria Antonietta e le amiche. Dopo una giornata di lavoro intenso, durante il quale non aveva quasi toccato cibo, stava per rientrare a Parigi ma raggiunto il suo calesse laccato si accorse che era in panne. Bestemmiò. Per fortuna poco lontano scoprì che un’altra professionista si accingeva a lasciare Versailles. La chiamò a gran voce:

-Mademoiselle Bertin! Mademoiselle Bertin! 

Sentendosi apostrofare la modista si fermò con un piede sul predellino della carrozza. Lo stupore fu grande quando vide chi correva verso di lei.

         Monsieur Antié, come mai qui? Il vostro giorno non è domenica?

-Sono dovuto venire per una commissione urgente… un ballo all’opera… mademoiselle Bertin mi si è rotta una ruota e non sarà riparata che stasera…. mi dareste un passaggio?

-Ma certo….

La sarta entrò e gli fece posto, Leonard sedette guardandosi attorno compiaciuto:

-Davvero una carrozza di gran classe!

La Bertin ordinò al cocchiere di partire e guardò il volto levigato dell’uomo:

– Il minimo per essere all’altezza…

– Avete ragione… quante spese per far bella figura! Pensare che quel Turgot ci dava dei privilegiati… -.

– Anzi i parrucchieri li ha rispettati… – disse la Bertin – voleva abolire le corporazioni tranne che parrucchieri, farmacisti, orefici e stampatori…

 Il giovane scrollò le spalle con sufficienza:

 – Figuriamoci! Sono contento che il re se ne sia liberato: quando è circolata la notizia della sua caduta, la regina, il conte di Arto, hanno giubilato!  

– Dobbiamo ringraziare Maria Antonietta per la cacciata?

– Tutti erano contro Turgot… può darsi che anche il re abbia avuto paura…

– Meglio così – concluse mademoiselle Bertin guardando il sole baluginare tra gli alberi del bosco.  

Leonard si fece più da presso e abbassò il tono:

-Ho sentito che sullo Spione inglese si criticava il re per aver prima appoggiato Turgot, aver imposto la sua volontà con due letti di giustizia e poi, in piena bagarre, al massimo della confusione, avergli ritirato l’appoggio senza neanche conoscere i difetti di queste riforme…

-Sapete com’è…. pure durante la guerra della farina non sapeva che pesci pigliare…

Leonard la guardò malizioso:

-Questa circostanza vi ha mai ispirato un pouf? Con le pettinature non ho osato… 

    – L’ho fatto… e con colori splendidi… – disse mademoiselle. 

-Avete avuto tanta audacia?

-Perché no? Non ho ottenuto il successo che desideravo, ma vi assicuro che era splendido…pizzo bianco come la farina, pajettes dorate e spighe… e tante piume rosse!

-Rosse?

-Rosse come la rabbia! Un’esplosione di piume…. un vulcano in eruzione… ve lo immaginate?

     Lui schioccò le dita. 

La rabbia e le piume …. mademoiselle Bertin, davvero eccitante! Come lo avete chiamato?

Cappello alla rivolta.

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* Marescialla di Mouchy, titolo che si era dato Madame l’Etiquette.

La moda di Rose Bertin. Video

 

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