I racconti di Versailles. Platoniche braci. Diciannovesino

Il sole d’agosto splendeva sul Petit Trianon, dove Antonietta era rimasta anche dopo il morbillo. Aveva scoperto che in quel palazzetto, le cui stanze si contavano sulle dita, lontana da occhi curiosi, dalla noiosa etichetta di corte, poteva essere molto più libera, vivere come e con chi voleva, tener fuori gli scocciatori, emanare, in barba alla legge salica, che escludeva le donne, direttive in suo nome. Per ordine della regina i duchi di Coigny e di Guines, il conte di Esterhazy, il barone di Besenval, Yolande e Vaudreuil, avevano abolito ogni formalità, sedevano all’aperto comodamente vestiti, non portavano cappelli, non si alzavano all’arrivo di sua maestà, continuando le attività intraprese.

La servitù al Trianon indossava una divisa rosso-argento, aveva ordine di appartarsi e di servire solo se chiamata. Luigi XVI veniva di rado e non dormiva con la moglie, che aveva un letto a una sola piazza. Maria Antonietta trascorreva il tempo con Yolande de Polastron, contessa di Polignac, che con candore si divideva tra marito e amante. Proprio per questo la regina le apriva il cuore, senza timore di essere giudicata. 

   Quel pomeriggio le due, fatto un sopralluogo al teatro in costruzione, tornarono passando sotto le gallerie di rampicanti che riparavano dal sole. Sua maestà si toccò il viso:

Mi sono bruciata? 

Niente affatto, siete candida come la neve, come dice Madame Le Brun, avete un incarnato meraviglioso… 

Sapete che mi fa il ritratto con una rosa?  – poi, senza attendere risposta, sbuffò – il ritorno a Versailles mi deprime…

Non siete obbligata…

Oh si! Mercy, Vermond, mia madre mi rimproverano di essere fredda con il re… il fatto è che dopo l’aborto non mi va…

Fredda? – rise la Polignac – Vorrei vedere se ci fosse Fersen, perché non vi siete lasciata andare con lui?

Il mio rango non mi permette la libertà concessa a voi.

Però al re stanno cercando una favorita…

Che Luigi abbia un’amante mi fa soffrire, ma sto pensando anche al conte in guerra e ho scritto a mia madre di mediare per la pace.

***

  

 Tuttavia l’idea che il marito volgesse le attenzioni a un’altra donna, insieme alle pressioni dell’ambasciatore Mercy-Argenteau, dell’abate Vermond, dell’imperatrice Maria Teresa, la convinsero a tornare a Versailles: i suoi doveri coniugali pesavano ma erano un’ancora che non avrebbe salpato. La figlia Maria Teresa Carlotta, la “piccola madame” o “madame royale”, a otto mesi accennava i primi  passi in un abito a paniere. 

Un mattino, nella stanza dei giochi, la sollevò esibendola con orgoglio a Luigi.

– Toccate – gli disse aprendole la bocca. 

        Lui la guardò interdetto.

Che aspettate? – prese l’indice del sovrano e lo inserì tra le labbra della bambina – non li sentite?

S! Non sono completamente usciti ma ci sono! – esclamò il re estasiato tastando i dentini sotto la pelle.

Papà, papà…… – chiamò Maria Teresa Carlotta e lui la prese in braccio.

Vi stanno cercando una favorita – intervenne la regina atteggiando un broncio grazioso.

Luigi scrollò le spalle:

Come potete temerlo?

Tutti i sovrani hanno una favorita…

Non io… non sarò come i miei avi, la cosa mi fa orrore.

Volete dire che…?

Voglio dire che vi amo con tutto il cuore… a parte voi, non ho mai provato sentimenti verso nessuna donna.

Lei sorrise:

Presto vi darò un delfino…

Dovete guarire dall’aborto…

   La neonata tirò la parrucca del padre che ruzzolò sul pavimento.

– Datemi la bambina – sorrise Maria Antonietta, ma il re si scansò preoccupato:

Lasciatemela! Nelle vostre condizioni non dovete portare pesi. 

***

Alla fine d’agosto l’aria rinfrescò e piovve. Maria Antonietta trascorreva a Versailles giornate di noia: guardando oltre la finestra immaginò il canale della Manica, dove temeva infuriasse la battaglia, pregava. Sapeva che la dissenteria stava decimando le truppe francesi e quando, inaspettatamente, le arrivò la notizia che l’esercito rinunciava ad attaccare le coste inglesi sospirò di sollievo.  Il giorno che Axel Von Fersen tornò a corte e di nuovo le s’inchinò davanti, non riuscì a nascondere l’emozione. “Dio mi ha ascoltata… ”, pensò.

Il conte svedese, da quel momento, fu il suo accompagnatore sia a Versailles sia a Parigi.  Madame de Lamballe e Madame de Polignac non organizzarono mai una festa senza invitarlo: lui trionfò giocando a mosca cieca, sollevò invidie e malumori. Le male lingue vorticarono ma la regina era troppo felice per curarsene: l’inverno, per quanto grigio e freddo, passò come in sogno. Brindarono a Natale e a Capodanno, accolsero con gioia il Carnevale.

Tuttavia una notte, a un ballo all’opera di Parigi, Maria Antonietta e Fersen attirarono l’attenzione per essersi appartati da soli e troppo a lungo in un palco.

– Maurepas e Vergennes hanno esaudito i miei desideri ed io so che tutto questo lo devo a voi… – diceva il conte a sua maestà – sono felice di andare in America al seguito di Rochambeau… non vedo l’ora: amo la battaglia, la vita militare…. Vi sono molto grato…

Maria Antonietta, che aveva guidato quel progetto, ora si sentiva affranta. Il loro amore, proprio perché platonico, alimentava il desiderio più che se fosse stato consumato.  Avevano vissuto entrambi un conflitto estenuante: si sentivano attratti, ma percepivano il rischio di un rapporto impossibile. Lei aveva paura di lasciarsi andare e provava vergogna di quel turbamento.  Aggregarsi alla spedizione che lasciava la Francia nel marzo del 1780, per Fersen era un’avventura esaltante, e un modo per spegnere il fuoco che lo bruciava. La regina aveva assecondato il nuovo addio, approvandolo come sacrificio ineluttabile. Ora scopriva di volersi solo ritirare per sfogare il pianto, la disperazione, togliersi dal cuore un dolore pesante come la corona.

***

Il piccolo teatro del Trianon fu inaugurato il 1 giugno 1780. Progettato dall’architetto Richard Mique, raccolto e più semplice dell’Opera di Versailles, rispondeva alle esigenze ludiche e affettive di Maria Antonietta. Quando sua maestà entrò in quello scrigno di cartapesta, dalle pareti di moiré azzurra con sculture dorate, sentì come Fersen non ci fosse. Nonostante l’affollamento avvertì un grande vuoto: “Mi festeggiano tutti, tranne l’unica persona che vorrei con me…” pensò mentre sorrideva, salutando i pochi intimi, felici di essere stati prescelti in un’occasione che rilevava la benevolenza della sovrana, dunque il loro valore.   

 Fu un ricevimento magnifico nonostante lo scandalo per i numerosi invitati non di rango. Nella sala dei buffets tavole imbandite con ogni ben di dio: montagne di carni fredde, ruscelli di salse e intingoli, prati di verdure, torri di paté, castelli di marzapane e pasta di zucchero, piramidi di frutta fresca e vasi colmi di caramelli, confetture, canditi sotterrati nel ghiaccio. I musicisti suonarono fino a tarda notte.

Prima di andare a letto, in un angolo appartato, Yolande de Polignac diceva a Maria Antonietta:

Non temete la reazione degli esclusi?

Non m’interessa, il petit Trianon resterà un luogo mio e dei miei cari… la prima recita sarà “Il re e il fattore” … come suggeritore voglio il signor Campan…

Un domestico?  Che cosa dirà il duca di Fronsac?

La regina fece spallucce e non rispose.

***

  

  L’inverno si annunciò monotono, anche se la neve caduta presto ammantò boschi e giardini di luce. Riscaldare le sale di Versailles era difficile, tuttavia il corriere, arrivato con un dispaccio da Vienna, trovò Luigi XVI nel tepore del camino, attorniato da carte geografiche. Il re alzò il capo seccato, aprì la lettera e si rabbuiò. Fece chiamare il signore di Charmilly, suo primo valletto di camera:

Guardate…

Meravigliato il valletto, prese la missiva, dopo averla letta, assunse un’aria addolorata. 

Il re gli disse:

Non me la sento di comunicarlo a Maria Antonietta… l’abate Vermond è la persona più adatta… ordinategli di trovarsi davanti alla regina domani, prima di colazione, ditegli di riferire con prudenza… mi faccia sapere quando sarà lì, voglio entrare anch’io un quarto d’ora dopo.

Così fu il giorno seguente. Vermond diede la triste nuova alla regina e trasecolò quando il re lo ringrazio con tanta riconoscenza, era la prima volta che sua maestà gli rivolgeva la parola. Entrando nelle stanze della moglie Luigi XVI la scoprì in lacrime e le fece una carezza:

Tonietta … 

Maria Teresa, imperatrice dell’impero asburgico, si era spenta il 29 novembre 1780 all’età di sessantatré anni. Il primo giorno del mese, per far contenti i figli, era andata a una partita di caccia con Giuseppe e con Maria Cristina, malgrado detestasse quello svago. Il 3 novembre aveva scritto ad Antonia: “Signora figlia mia diletta, ieri sono stata tutto il giorno più in Francia che in Austria ricapitolando il buon tempo andato, che ormai è davvero lontano”.  

A causa dell’idropisia, la sua leggendaria abilità politica aveva ceduto il posto a un corpo martoriato, a una mente stanca, pure quando a Giuseppe II avevano detto che sua madre stava morendo, non lo aveva creduto per il fatto semplice che lo riteneva impossibile. Con lo stesso sbalordimento reagì la sorella scoprendo in quell’istante che nessuno è immortale.  Dieci anni che non vivevano insieme, ma l’imperatrice aveva vegliato sulla sua vita e questa protezione era per lei eterna. Che non fosse vero lo capì appena la notizia la precipitò nel vuoto, sentì la propria precarietà e quella dei suoi cari: pensò ad Axel in battaglia e a sua madre, unica in grado di procurare la pace. A chi si sarebbe rivolta adesso?  Dopo quella del padre, la sua scomparsa cancellava ogni riferimento: cadde in convulsioni.

***

   

   Nei fatti la guerra generatrice di lutti era un problema non solo per Maria Antonietta ma per la Francia intera che, dai tempi di Luigi XV impantanata in una recessione senza uscita che contribuì ad alimentare la rivoluzione, ora doveva trovare le risorse per finanziare il conflitto d’indipendenza americano.

Dal 1776 la direzione della politica economica era affidata al banchiere ginevrino Jacques  Necker che in quegli anni aveva tentato misure umanitarie riducendo alcuni privilegi feudali: il pedaggio; la manomorta, cioè i beni che ai servi era vietato lasciare in eredità e il potente acquisiva; la corvée che consisteva nel lavorare senza retribuzione. Necker chiedeva l’abolizione della tortura “preparatoria” durante i processi di condannati a morte e s’ispirava a Turgot nella riforma fiscale: a tal fine progettò le assemblee provinciali, con l’ammissione del terzo stato e del diritto di voto individuale. Ma il ministro degli esteri Vergennes lo considerava un pericoloso rivoluzionario, il mentore Maurepas, temendo di essere scavalcato, lo combatteva. Contro di lui fiorirono pamphlets calunniosi.

 Necker era preoccupato e ne parlava con la moglie Suzanne, sua fedele alleata, mentre una domestica serviva il soufflé e la figlia Germaine, disorientata, osservava i genitori.

I fratelli del re mi detestano – spiegava il banchiere ginevrino – Provenza perché ho rifiutato una somma al suo intendente Cromot du Bourg…

E come mai? – chiese la moglie

La guerra rende impossibili molte elargizioni.

E Artois?

Ha più di venti milioni di debiti ma non vorrebbe mi occupassi dei suoi speculatori…

Oooh! – sospirò Susanne mentre Germaine allargava gli occhi.

Però ho un’idea per rimontare… la gente mi ama e mi appellerò a lei.

Moglie e figlia lo guardarono interrogative.

Voglio far circolare – spiegò Necker – un rendiconto finanziario di pubblico dominio… sarà il popolo a giudicare il tesoro di Francia e il mio lavoro.

Il 19 febbraio 1781 il libraio Panckouke diede alle stampe un centinaio di pagine con il titolo di Rendiconto al re, il cui ricavato, uno scudo a copia, sarebbe andato in beneficenza come voluto da madame Necker.

Ne furono vendute migliaia di esemplari, si fecero molte ristampe. 

Caroline Chevrier, che aveva ripreso a preparare dolci per locande e caffè, ne sentì parlare ai tavoli di quelli alla moda:

Il “Rendiconto” è una vera bomba! – diceva un avvocato sventolando il volume – i segreti del tesoro sono finalmente visibili a tutti: bilancio, sistema fiscale, tassi d’interesse, rendimento delle imposte, modo di incassarle… una rivoluzione che passerà alla storia! 

Caroline si avvicinò. Un signore con i baffi declamava cifre:

Per quest’anno abbiamo 264 milioni di entrate e 254 di uscite, con un’eccedenza di dieci milioni di luigi… un piccolo tesoro!

La donna sorrise sperando in un futuro migliore e in quel momento furono innalzati calici di champagne.

 Se era fatto nuovo e democratico che la pubblica opinione si sentisse chiamata a giudicare gli avvenimenti politici, scopo del rendiconto era anche quello di manipolarla: le cifre erano truccate, non dicevano come la Francia fosse sull’orlo della bancarotta con un disavanzo di novanta milioni di luigi. Necker sperava in un balzo della sua carriera con l’ammissione al consiglio di stato.

***

Poco tempo dopo, in una mattina primaverile, Provenza, fratello ogni giorno più grasso di sua maestà, si vide annunciare l’arrivo di Cromot du Bourg, l’intendente cui era stata rifiutata una somma. Il conte di Provenza lo ricevette.

Monsieur – Cromot du Bourg gli corse incontro sventolando un libro – ho trovato! Ho trovato!

Fate vedere…

Il nobile rampollo prese il volume, lo maneggiò con precauzione sapendo quanto fosse rara quella copia delle memorie segrete di Jacques Necker sulle assemblee provinciali.

La sfogliò avidamente.

E’ integrale?

Certo

La faremo stampare e diffondere tra i parlamentari… voglio vedere cosa diranno di un borghese che per sostenere le province voleva togliere al parlamento le funzioni di depositario della legge…

La lotta per il potere, sempre più ingarbugliata, avveniva a colpi di dossier e gli affondi, mortali come quelli di una spada, non si fecero attendere. Luigi XVI questa volta montò in collera, niente gli dava più fastidio del brontolio dei suoi parlamentari. Non arrivò a licenziare il suo ministro ma si guardò bene dal colpire gli oppositori. Nuovi memoriali e libelli fiorirono contro il direttore generale delle finanze che chiese, a sua volta, di chiarire le cifre divulgate davanti a un giurì d’onore.

Dalla pubblicazione del rendiconto erano passati solo tre mesi, pieni tuttavia di avvenimenti rapidi e caotici. L’ambizioso banchiere non avrebbe retto se Suzanne Curchod, sua moglie, non lo avesse spinto standogli sempre vicina:

Il popolo ti ama e sarai ricordato come un grande, i duchi di Orleans, di Chartres, il principe di Condé stanno dalla parte tua…

Ho chiesto al re – rispose suo marito – di farmi entrare nel consiglio… nulla… altro che mandare gli autori dei pamphlets alla Bastiglia… Luigi risponde col silenzio! Lo ritengo oltraggioso… ho deciso di dare le dimissioni…

Sei proprio sicuro? – domandò titubante Susanne

Certo … rimpiango solo il bene che avrei voluto fare e che non ho potuto… ho pagato per il mio amore delle riforme!

Jacques Necker diede le dimissioni il 19 maggio 1781, di sabato a Marly. Fu Maria Antonietta a riceverlo. Gli disse con tono amabile:

Sono spiacente di non poter far nulla – sul volto della regina apparve un sorriso rassegnato:Epilogo prevedibile”, pensava, “solo la guerra non lo è…”.

Il giorno dopo la fiducia dei finanzieri vacillò: le azioni della Compagnia delle Indie precipitarono trascinandosi dietro le altre, tra cui quelle di Luigi XVI.

 

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