I racconti di Versailles. Gli innamorati del Petit Trianon. Ventunesimo

Un attimo ancora maestà… ecco…. Adesso!

Elisabeth Vigée Lebrun ritoccò la tela con precisione, scostandosi per vedere il lavoro. Maria Antonietta posava da più di un’ora e cominciava a dare segni di stanchezza. Indossava un cappello di paglia con un nastro grigio-azzurro e uno di quegli abiti bianchi che al Petit Trianon erano una divisa: semitrasparenti e trasgressivi, ricordavano la semplicità della servitù.

Ammirate maestà… è finito.

    La pittrice invitò la regina a guardare. Maria Antonietta rimase in silenzio: la Lebrun era la ritrattista che preferiva tuttavia, benché la migliorasse sempre, non riusciva a vedersi bella. Alla fine sua maestà chiese:

Che ne dite di esporlo al Louvre?

Meraviglioso! – sorrise l’artista sollevata

Yolande de Polignac si fece sulla porta:

Madame è arrivato il visitatore che aspettavate….

Andate – comandò la regina.

Raccolti gli strumenti la pittrice uscì. Axel von Fersen fu introdotto da un ingresso secondario.  L’uomo di cui era innamorata la regina veniva a trovarla ogni tanto e, per giustificare le visite, lei a volte organizzava concerti e tornei di gioco. Inoltre aveva ordinato a chiunque di comparire solo se chiamato: i momenti più belli erano quelli in cui potevano restare soli.  Quando le fu vicino Maria Antonietta provò un brivido: le parve attraente senza parrucca, l’uniforme gallonata con giacca a coda di rondine.  Gli scostò un ciuffo, acconciandolo con gesto intimo. Yolande si ritirò.

Siete in grande forma Axel

E’ la felicità che devo a voi… – rispose lui sorridendo.

Da tempo volevo farvi ammirare il Petit Trianon, i lavori sono cominciati nove anni fa e non sono ancora finiti… – Maria Antonietta ordinò il parasole e lo invitò a seguirla -Andiamo.

Uscirono in incognito grazie alla premurosa regia di Yolande che, da quando era governante dei figli di Francia, alloggiava con Madame Royal e il Delfino, in camere comunicanti a quelle di sua maestà. Certe notti il suo amante Vaudreuil veniva a trovarla insieme al conte Fersen, passavano la notte con le loro innamorate e si allontanavano all’alba. I due erano discreti, la servitù fingeva di non vedere. Nessuno sospettava, meno che mai il re.

Faceva caldo. Axel osservava le labbra di lei con desiderio.

Il tempio dell’amore – disse Maria Antonietta quando vi giunsero – Mique lo ha iniziato nel 1778… vi piace quest’ombra?  

Al centro del peristilio girò su se stessa fermandosi davanti alla sua bocca: lui ebbe paura, si guardò intorno e non la baciò. Sentivano il sangue pulsare. I meli del paradiso, i roseti a fiocco di neve solleticavano le narici, l’orizzonte una distesa verde. Continuarono sino alla torre di Marlborough in costruzione, circondata da casette a cui si accedeva attraverso un ponticello.

Attorno al laghetto un fienile sarà usato come sala da ballo… – spiegò la sovrana – farò costruire una colombaia, un pollaio, un mulino, una fattoria, una lavanderia… desidero un villaggio rurale… conoscete l’incantevole quadro di Hubert Robert?

Fersen non sapeva di che parlasse:

Certamente… – mentì

La torre di Marlbrouck sarà pittoresca… guardate… un pesciolino!

Fissarono il ruscello dentro cui guizzava un corpo argenteo inseguito da una coppia di anatroccoli. All’improvviso il conte la spruzzò con dell’acqua e Maria Antonietta scoppiò a ridere. Sotto la stoffa bagnata si intravide il seno: lui finse di volerlo toccare, lei si schernì scappando, incurante della gravidanza, del caldo, degli sguardi, delle spine. Giunsero al teatro, deserto e incustodito. Entrarono estasiati dal silenzio.

A primavera ho interpretato due contadinelle… Babette e Pierrette – sussurrò sua maestà – vi piacerebbe vedermi recitare?

C’era buio, avanzarono furtivi. Fersen la prese per mano, la condusse sul palco, dietro le quinte, dietro un separé, dietro bauli e tendaggi.

   – Qui non viene nessuno… siamo al sicuro….

– Vi piacerebbe vedermi recitare? – madame si sentiva una ragazza del popolo che si offriva all’eroe – perché non rispondete?

   Lui le chiuse la bocca con le labbra, tastò il gonfiore del ventre. Mentre la stendeva a terra intuì finalmente che era incinta.

Diavolo! – mormorò guardandola negli occhi.

Poi le entrò dentro. “ Sono l’unico ad avere questa fortuna”, pensò possedendo la divinità che si era fatta donna.

***

Quando il ritratto di Elisabeth Vigée Lebrun fu appeso al Louvre molti gridarono allo scandalo sostenendo che la regina si era voluta immortalare in camicia come una donnaccia. Maria Antonietta diede ordine di togliere il dipinto. Con la mente a Fersen, felice come mai in vita sua, dimenticò l’incidente. L’accaduto era invece l’ennesima spia di una popolarità in picchiata, che neppure la nascita del Delfino era riuscita a sollevare.

      Nel suo boudoir al Trianon, insieme a Rose Bertin che preparava un abito per la festa campestre, e a Leonard Antié venuto a studiare un’acconciatura per i capelli sfibrati, con una crema sul volto, distesa in poltrona la regina commentava:

Proprio volubili i Francesi… aveva ragione mia madre… 

Leonard massaggiandole il viso:

Vanno dicendo che indossate abiti di lino per favorire i mercanti di Bruxelles e rovinare quelli di Lione che fabbricano seta…

Maria Antonietta scoppiò a ridere:

Rose è vero?

Purtroppo – ammise la modista 

Se vesto sontuosamente spendo troppo, se mi ritraggono con un abito semplice non va bene lo stesso… sapete che vi dico? Me ne infischio – sollevò una ciocca di capelli e guardò il parrucchiere – questa sera devo essere perfetta… ho ospiti importanti… che ve ne pare di quel conte Axel… 

De Fersen?  – fece Leonard – gli uomini hanno ragione a esserne gelosi, le donne a invaghirsene.

Sul viso di Maria Antonietta apparve un sorriso soddisfatto. 

***

L’estate del 1783 fu la più felice di tutta la sua vita. Maria Antonietta aveva scoperto l’amore, ricambiato e reso più ardente dall’impossibilità di saziarlo.  Rotto il tabù del sesso, si abbandonò al desiderio come un affamato al cibo. Il Petit Trianon divenne il suo tempio e Yolande de Polignac, che i libellisti chiamavano la “Messalina francese”, la sua vestale. Cercò un rifugio dal quale, chi si sentiva escluso, si guardava e lo avversava.  La sovrana riteneva che il mondo dovesse esaudire i suoi desideri, che tutto le fosse dovuto, non vedeva come intorno si affievoliva la fiamma che nei secoli aveva reso possibile la regalità. Quasi nessuno, però, grazie alla lealtà e all’educazione di Fersen, aveva compreso la natura della relazione e Luigi XVI meno degli altri, soprattutto perché non voleva. La fantasia popolare si era sbizzarrita con troppi amori per centrare il bersaglio: credeva all’incesto con il conte di Artois, alla relazione lesbica con la Polignac, ma un gentiluomo riservato non faceva parte del cliché.  Qualche dama che lo corteggiava si sentì persino messa in discussione dalla sua galanteria platonica.

Alla festa campestre furono molti gli invitati, non pochi gli inglesi, che dopo l’armistizio con la Francia, erano tornati in un paese di cui invidiavano lo stile di vita, che ritenevano frivolo ma sceglievano proprio per questo. Per confondere ancora di più la corte Maria Antonietta, aiutata dalla complicità di Yolande de Polignac, e dalla ignara Maria Teresa di Lamballe, aveva ordinato di aprire i salotti agli stranieri, organizzando partite di carte, di biliardo e di backgammon, al punto che circolarono voci su una presunta liaison dangereuse tra il duca inglese di Dorset – scapolo trentenne, avvenente e candidato al ruolo di ambasciatore – e la regina.  Il duca non sembrava tenerci a smentire. 

Semmai quella notte lui, il conte Alexandre de Tilly e Axel von Fersen, parlottando in un angolo e ammirando le belle signore, davano l’idea di cercare la preda. All’arrivo della giovanissima contessa di Gouvernet, il duca di Dorset le andò incontro sorridendo e le strinse la mano calorosamente, secondo l’usanza del suo paese.

– Madame che piacere…

– Piacere tutto mio… deliziosa stretta… se stringete anche altro così…. – sorrise allusiva la Gouvernet.

Tutti scoppiarono a ridere.

Conte Axel De Fersen – continuò la contessa – quanti cuori avete infranto questa volta?

Per il momento nessuno…

Sento battere il mio… sapete che vi chiamano cuore di fuoco?

Antonietta che aveva seguito la scena si intromise prontamente e disse gelida:

La stretta di mano si usa anche in Svezia conte de Fersen?

  Davanti alla regina l’ilarità si spense e Axel titubò:

Non vi piace?

Da noi l’etichetta è diversa…

   Quindi gli ordinò di seguirla e lui obbedì. Guardandoli allontanarsi, a disagio per la propria inadeguatezza, il conte Alexandre de Tilly rimarcò:

– Uno degli uomini più belli che abbia mai visto…

Ben presto l’assiduità tra la regina e Fersen suscitò malumori tra le donne. Era un buon partito e poche si capacitavano di come l’aitante svedese durante l’estate avesse preferito la compagnia algida e impossibile di sua maestà a quella più erotica di una signora libera. Pettegolezzi sugli amori dell’ufficiale erano giunti alle orecchie attente di Antonietta che soffriva di gelosia retrospettiva e temeva potesse sposarsi. Luigi XVI lo avevano imposto le circostanze, era arrivato prima, rappresentava la ragione di stato: Fersen doveva tollerare e appartenere a lei. Ma poteva pretenderlo?

 Raggiunto un angolo appartato, sedettero su una panchina, lei lo guardò sospirando:

Ho saputo che siete stato molto innamorato della contessa di Matignon… 

Chi ve lo ha detto?

Si sa…

E’ molti anni che è rimasta vedova, acqua passata…

In America avete avuto molte amanti…

Chi lo dice?

Le cose si vengono a sapere… – disse calma sua maestà – benché si facciano pettegolezzi su di me, il duca di Dorset ama una ballerina… è risaputo… Giovanna Baccelli, la conoscete?

Maria Antonietta intendeva fugare le calunnie ma Fersen, che non si era posto il problema, rispose tranquillo:

Io amo solo voi e non lo sa nessuno….

 La regina rimase spiazzata. Si alzarono e ripresero a camminare in silenzio. Con sollievo il giovane deviò l’argomento.

 – Mio padre non mi ha ancora acquistato il grado di colonnello, sono solo diventato titolare… mi rimprovera di essere scialacquatore e perditempo!

Anche mia madre mi rimproverava, ma quando è morta mi sono sentita sola… non faccio che rileggere le sue lettere… comunque io ho scritto a Gustavo III che vi siete fatto onore nella guerra di indipendenza americana …

Dovrò andare in Svezia per capire a che punto è la faccenda…

Come farò quando partirete?

Vi scriverò… 

E se le lettere fossero intercettate? – lei lo guardò dubbiosa

Sarò prudente… vi chiamerò con altro nome…

Chiamatemi Joséphine… vi piace? – la regina gli volse uno sguardo innamorato.

Lui annuì

E’ un nome bellissimo…

***

Il 19 settembre 1783, alle otto del mattino, il cielo era chiaro e spirava un vento propiziatore. Sulla grande terrazza di Versailles Etienne de Montgolfier e la sua equipe, avevano acceso il fuoco poco prima che Luigi XVI arrivasse con la moglie, i figli di Francia e il conte di Artois. In marcia nel cuore della notte migliaia di persone erano affluite per assistere al sogno di Icaro. La pedana da cui sarebbe partita la mongolfiera ricordava una ghigliottina: la famiglia reale vi passò sotto indugiando a chiedere spiegazioni. Qualcuno, in piedi dalle quattro, sbuffò per l’attesa. Alle nove un colpo di cannone annunciò l’ascensione.  In sette minuti prese quota. Una folata di vento: “Tira! Tira! Cappotta!” venti uomini agganciati alle corde. Un secondo colpo: il fumo nero offuscò la palla. Al terzo sparo, mollati gli ormeggi, via verso le nuvole, ma il cesto pendeva pericolosamente e avrebbe sbalzato i poveri animali all’ interno! 

   Ci pensò Dio a raddrizzarlo nella traiettoria della gloria. 

Il re seguì le evoluzioni con il fiato sospeso, chiedendo gli pulissero gli occhiali. Sparita la mongolfiera verso il bosco di Vaucresson si preoccupò:

Le bestie si sono sfracellate?

Nessuno lo sapeva, correvano tutti al punto d’atterraggio.  Hans Axel von Fersen si aprì un varco al galoppo, sfidando la folla. Vide il pallone su un lato e sull’altro il canestro con i tre insoliti viaggiatori: il montone stava mangiando, l’anatra e la gallina sembravano non avere sofferto. Persino il barometro era intatto.  “Urra!”: quella sera ci sarebbe stata una grande festa.

 Ma era anche l’ultima notte che Axel avrebbe trascorso a Versailles: una chiamata improvvisa del re di Svezia, che si accingeva a fare un viaggio in Europa, lo obbligava a raggiungerlo, anticipando la partenza. 

Tornava alla realtà suo malgrado: i ricevimenti ufficiali non potevano che ricordargli come Maria Antonietta fosse la regina di Francia e non la sua amante. All’alba avrebbe lasciato il castello senza aver dormito con lei e senza salutarla. Rassegnati alla separazione entrambi fingevano di interessarsi a interlocutori che non ascoltavano.

  La cena si protrasse oltre la mezzanotte, con portate interminabili, danze e fuochi di artificio. Quell’ avvenimento mondiale, di cui persino l’Inghilterra avrebbe scritto, offuscava la guerra d’indipendenza americana. Stanco e contrariato Fersen decise di accomiatarsi. Passò a ringraziare i sovrani. 

 Si inchinò a Luigi XVI che rispose con un cenno, Maria Antonietta fu più loquace:

Partite? – si finse stupita – Per quale destinazione?

Non tornerò in patria, mi unirò alla comitiva reale come capitano della guardia del corpo di re Gustavo III.

Spero vi ricorderete della Francia…

Come posso dimenticare? Avvengono qui le cose più grandi, da oggi non dubito che saliremo su carrozze volanti… tuttavia sono un soldato.

   Proprio questo la sovrana, come molte ragazze del suo tempo, apprezzava in lui: la carriera militare evocava le gesta dei grandi imperatori, suscitava ammirazione, rispetto. Era un podio da cui innalzarsi. Suo marito invece non amava la guerra e restava indifferente a questioni che riguardassero l’esercito. Suo fratello Giuseppe II non riusciva a capacitarsi come non avesse visitato, almeno una volta, la scuola militare e il campo di addestramento. Luigi XVI, dal canto suo, definiva predatorie e amorali le iniziative espansionistiche dell’imperatore, rifiutandosi di concedere appoggio all’Austria. Giuseppe chiamava il cognato infingardo, buono a nulla e gli serbava rancore. Quando si era trovata tra i due fuochi la regina aveva sofferto. “Perché Fersen non è nato re?” pensò guardandolo allontanarsi.

Axel, nella notte stellata, prima di raggiungere l’ alloggio volle fare un giro, quasi desiderasse portarsi via umori e profumi di quell’ estate. Rifletté che era partito quindicenne con un istitutore per diventare uomo e ora che lo era sapeva che gli adulti non possono tutto. L’ ambasciatore anni prima aveva scritto di lui come dello svedese meglio accolto nel gran mondo, ma non immaginava il suo segreto! Che avventura straordinaria, insperata, tanto più che non aveva fretta di accasarsi: un favore le nozze mandate all’aria dalla signorina Necker e dalla Reyel! 

 Salì la scala di corsa, percorse l’ala degli ufficiali, dove alloggiava da tre mesi, aprì la sua stanza. Si ricordò di tutte le notti che, in segreto, l’aveva lasciata per andare da sua maestà. A ripensarci gli vennero i brividi, come si rendesse conto dell’enormità proprio nel momento del commiato: “Pazzo!  Il gioco é pericoloso: uno scandalo senza pari!  Approfittare della debolezza di sua maestà… questa è l’ultima volta che ci vediamo!”.

Si buttò sul letto in preda all’angoscia, snervato da sentimenti contrastanti, gli doleva separarsi da lei e nello stesso tempo credeva di averne il dovere. Partì all’alba, senza avere chiuso occhio.

Versailles – Le petit Trianon – Video

https://www.youtube.com/watch?v=xojrariqiCM

Condividi sui social

Articoli correlati